Partito di Alternativa Comunista

Rinnovo Ccnl metalmeccanici: serve una lotta vera!

Rinnovo Ccnl metalmeccanici: serve una lotta vera!

 

 

di Massimiliano Dancelli*

 

 

 

Quando partiva la stagione dei rinnovi contrattuali e, in particolare, era la volta del settore metalmeccanico, i padroni tremavano. Bastava infatti uno sciopero in Fiat per far passare quasi integralmente le rivendicazioni avanzate dai lavoratori e dalle lavoratrici. A seguire gli altri settori si accodavano con piattaforme simili.
Erano anni in cui la classe operaia sapeva mettere all’angolo il padronato, anche perché il principale sindacato di riferimento (anche all’epoca la Fiom), almeno quando si trattava di difendere i salari e l’occupazione, pur mantenendo il suo ruolo di «normalizzazione» del conflitto, chiamava alla lotta, potendo appoggiarsi su molte avanguardie operaie politicizzate. L’esatto contrario di ciò che accade oggi: col contratto scaduto dal 30 giugno dello scorso anno (oltre sette mesi), non si è ancora conclusa la trattativa. Ciò principalmente perché Federmeccanica (le aziende metalmeccaniche legate a Confindustria) non accetta la piattaforma presentata da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil, ma anzi ne ha addirittura presentata una propria. Cerchiamo di capire il perché di questa impasse, ma, prima di analizzare nel dettaglio questa vertenza, vediamo un attimo le due proposte in campo.

 

Lo scontro sulla piattaforma rivendicativa

La piattaforma presentata dalle tre sigle sindacali, come principali rivendicazioni chiede: un aumento salariale di 280 euro (lordi) al livello C3 (il vecchio 5° livello) come recupero dell’inflazione reale; riduzione da 36 a 12 mesi per la stabilizzazione dei lavoratori precari e con ulteriori limitazioni al numero di somministrati che possono essere presenti in azienda; riduzione degli appalti e applicazione del contratto nazionale metalmeccanico (da ora Ccnl) anche ai dipendenti delle ditte appaltatrici; avvio di una sperimentazione per ridurre la settimana lavorativa a 35 ore a parità di salario. Una piattaforma debole sotto alcuni aspetti normativi e per quanto riguarda la continuità col contratto precedente, specie sul discorso del welfare aziendale e del supporto alla sanità privata, ma con una discreta salariale (anche se insufficiente in relazione all’aumento del costo della vita e delle tasse) e con la riconferma della clausola di salvaguardia sul recupero di una buona parte dell’inflazione.
Federmeccanica però, dopo aver inizialmente respinto queste rivendicazioni, all’ultimo tavolo di confronto con i sindacati svoltosi il 12 novembre 2024, ha addirittura presentato una sua contro-piattaforma che stravolge di fatto quella dei sindacati e certifica la volontà padronale di superare il Ccnl per condurre esclusivamente trattative in ogni singola azienda - come avviene già in Stellantis – di modo da poter concedere qualcosa solo dove lo ritengano possibile, cioè dove i profitti non sono in calo o sono per loro soddisfacenti. O, aggiungiamo noi, dove i rapporti di forza li costringono. La loro contro-piattaforma recita: nessun aumento salariale, ma solo recupero dell’inflazione calcolata sull’indice europeo Ipca (quello depurato dai costi dell’energia) e, quando questo supera l’1% l’eccedenza, verrà pagata solo a partire dal sesto mese successivo; la stabilizzazione dei precari non va normata nel Ccnl, ma va discussa azienda per azienda; le norme contrattuali sugli appalti vanno applicate solo nelle aziende con più di 500 dipendenti; nessuna apertura sulla possibilità di ridurre l’orario neanche in via sperimentale.

 

Una questione di rapporti di forza

Questa trattativa segue ormai il trend consolidato da tutti i rinnovi contrattuali delle diverse categorie dove assistiamo a trattative lunghe con poca speranza di ottenere un risultato reale, oppure firme rapide al ribasso per i lavoratori: nel 2009 Fim e Uilm firmarono separatamente dalla Fiom proprio per non prolungare oltre la trattativa.
Questo accade, secondo noi, per una questione di rapporti di forza che vede i padroni in una posizione di vantaggio per due motivi. Il primo è la crisi del settore manifatturiero (con l’automotive in forte calo produttivo) e del capitalismo in generale che non si è ancora ripreso dal crollo del 2008, che consente ai padroni di porre ai lavoratori il ricatto occupazionale: o firmi alle mie condizioni o la fabbrica chiude e addio posto di lavoro!
Il secondo motivo che fa pendere la bilancia dei rapporti di forza dalla parte dei padroni è la quasi totale rinuncia alla lotta da parte delle organizzazioni sindacali, sia per volontà esplicita dei burocrati che le dirigono, sia a causa di tutta una serie di accordi scellerati fatti con Confindustria quali il «Patto per fabbrica» o l’«Accordo sulla rappresentanza», che ostacolano le azioni di sciopero nei sei mesi antecedenti e nel mese successivo la scadenza del contratto.
La volontà politica delle tre organizzazioni sindacali confederali, da trent’anni a questa parte, di voler intraprendere a tutti i costi la via della concertazione e abbandonare progressivamente la lotta, ha creato le condizioni per i numerosi attacchi del padronato a diritti e salario. In fabbrica ci sono sempre più lavoratori precari che sono più ricattabili, e questo favorisce le divisioni tra lavoratori, quindi intacca la capacità di lottare e scioperare uniti. Gli operai sono sempre più delusi e demoralizzati e le burocrazie usano questa condizioni, di cui tra l’altro sono responsabili, per addossare ai lavoratori le colpe dell’impossibilità di organizzare scioperi e azioni di lotta prolungate. Se a ciò uniamo la mancanza anche di una direzione politica che abbia a cuore i loro interessi, comprendiamo perché molti lavoratori hanno guardato, sbagliando, al partito reazionario di destra della Meloni.

 

Serve tornare alla lotta

Ora, dopo la presentazione della contro-piattaforma da parte di Federmeccanica, le tre organizzazioni presenti alla trattativa hanno deciso di rompere il tavolo e dichiarare lo stato di mobilitazione. Sono stati organizzati degli scioperi, uno di otto ore che si è tenuto a dicembre e un altro di quattro ore svoltosi a gennaio. Dopo l’ennesimo No di Federmeccanica, è stato convocato un’ulteriore sciopero a febbraio.
L’astensione dal lavoro di dicembre ha avuto un’alta adesione (attorno al 90%), così come è andato molto bene lo sciopero del solo settore automotive che portò 20.000 lavoratori in piazza, segnale che in ogni caso i lavoratori e le lavoratrici, al netto delle problematiche che elencavamo prima, quando sono chiamati a difendere il loro salario e il loro posto di lavoro rispondono «presente!».
Il problema è che dopo otto mesi di trattativa le azioni di lotta dovevano essere più incisive e la speranza è che almeno si possa recuperare il tempo perduto intensificando ora le giornate di sciopero, perché, se i lavoratori metalmeccanici perdono la partita sul rinnovo di questo contratto, potrebbe essere l’inizio della fine per il contratto nazionale e un duro colpo per la ripresa del potere d’acquisto dei salari.
Un appunto lo dobbiamo fare anche alle direzioni del sindacalismo di base, che, sebbene siano poco rappresentate nel settore metalmeccanico e non siano presenti al tavolo della trattativa, dovrebbero sostenere la lotta sul rinnovo del contratto, presentare una loro proposta e unirsi agli scioperi per renderli più forti, proponendo di intensificare l’azione e la convocazione degli stessi.
Infine, la lotta dei metalmeccanici va unita a tutte le vertenze in corso, dalla sanità al pubblico impiego, fino al movimento a sostegno della Palestina, a quelli delle donne e degli studenti sul cambiamento climatico, per convergere in un unico sciopero generale prolungato. Solo così si potranno sovvertire i rapporti di forza e far sì che i padroni tornino a tremare quando arriva la stagione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici.

 

*lavoratore metalmeccanico

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