L’impetuosa crescita della bolletta energetica:
un altro salasso per i lavoratori
di Alberto Madoglio
Il nuovo anno non inizia sotto i migliori auspici per quanto riguarda le «tasche» dei lavoratori in Italia. Si è infatti avuta conferma che dal 1° gennaio, e almeno per il primo trimestre del 2022, le tariffe relative ai servizi di luce e gas subiranno un clamoroso aumento: oltre il 50% per le prime, oltre il 40% per le seconde. Si parla, a conti fatti, di un aumento di spesa ben oltre i 1000 euro annui a famiglia.
È un fenomeno non solo italiano: aumenti più o meno simili si registrano in tutti i Paesi del Vecchio Continente. Né riguarda solo le spese per l’energia. È da almeno un anno infatti che il tema della crescita dell’inflazione fa capolino nei discorsi dei politici e degli economisti a livello globale, dopo un lungo periodo in cui la preoccupazione principale non riguardava il surriscaldamento dei prezzi, ma al contrario il loro ristagno, se non la deflazione vera e propria (cioè una loro diminuzione non temporanea o casuale).
Negli Usa il tasso di inflazione nel 2021 ha raggiunto il 6,8%, un tasso che secondo le statistiche non si toccava dal 1982. In Europa nello stesso periodo si è avuto un aumento del 4,4% (3,8% per l’Italia, leggermente sotto la media europea).
Prima degli aumenti in questione, il settore energetico aveva già registrato un incremento di circa il 30%. Se questa tendenza dovesse essere confermata, ci troveremmo in una situazione in cui i prezzi di gas ed elettricità si raddoppieranno nel giro di poco più di un anno (1).
Molti vedono in questo aumento generalizzato dei prezzi la prova che dopo il crollo del 2020 legato agli effetti della pandemia di Covid 19, l’economia a livello mondiale sta entrando in una fase di forte e prolungata crescita, quindi l’inflazione è un prezzo che bisogna pagare se vogliamo uscire dalla lunga e dolorosa fase recessiva che dura dal almeno una dozzina d’anni.
Abbiamo scritto ampiamente su quanto queste idilliache previsioni siano fuori luogo, e quanto l’aumento dell’inflazione, costringendo le autorità monetarie delle maggiori economie a decretare la fine delle politiche monetarie espansive, possa ulteriormente rallentare la crescita già a partire dal 2022.
Sulle cause più profonde di questo fenomeno, Michael Roberts in un post pubblicato lo scorso 11 ottobre, «Stagflation: a demand or supply side story» (2) sostiene che la crescita dell’inflazione sia dovuta al fatto che negli scorsi decenni non si sia assistito, a causa del perdurante calo del tasso di profitto mondiale, a un robusto processo di nuovi investimenti che potessero aumentare la produzione. Confermando la fragilità dell’ipotesi più rosea che vede nella crescita dei prezzi un sintomo di inizio di una fase economica espansiva.
Aumento della domanda, tensioni geopolitiche, speculazione finanziaria: un cocktail micidiale
Per tornare al tema di questo articolo, la crescita del costo della materia prima, il gas, è stato del 500% nel breve lasso di tempo di dodici mesi. Diversi fattori concorrono a determinare questo fenomeno: certamente la ripresa economica, anche se da sola non giustifica le dimensioni di questo aumento della bolletta; un ultimo trimestre dell’anno in cui in Europa si sono registrate temperature inferiori alla media che hanno richiesto un maggior consumo di gas; l’energia creata da fonti rinnovabili, in particolare nel fotovoltaico, ridotte rispetto alle previsioni; l’aumento del prezzo delle quote di CO2, scambiate nel mercato delle compensazioni per le emissioni più inquinanti.
Hanno influito anche questioni legate più in generale alla geopolitica. A causa delle tensioni tra Russia e Ucraina, con quest’ultima sostenuta a spada tratta dell’imperialismo Usa e, anche se in maniera più tiepida, da quello europeo, la Russia (maggior fornitrice di gas nel Vecchio Continente) al momento non ha provveduto ad aumentare le forniture di gas rispetto a quanto stabilito nei contratti finora sottoscritti. Da parte sua il nuovo governo di Berlino non ha dato il definitivo via libera al nuovo gasdotto Nord Stream 2, proprio perché questo bypasserebbe i vecchi gasdotti che attraversano l’Ucraina, rendendo il regime di Kiev più debole nello scontro con Mosca.
Contribuiscono, infine, a spiegare il fenomeno questioni che si legano allo sviluppo economico capitalista più in generale, con un calo degli investimenti produttivi nel settore di oltre il 40% - da 200 miliardi nel 2014 a 110 stimati per il 2021 (3) - e una crescita abnorme della speculazione. Nel mercato del gas, come in quello di tutte le materie prime e non solo, si è assistito negli anni alla crescita dei contratti chiamati «future», contratti nei quali solo una piccola percentuale di questi porta poi a un vero scambio di merce (4). È chiaro che questo fenomeno influisce sul prezzo della materia prima vera e propria.
Per quanto riguarda l’Italia notiamo come i produttori di energia da fonti rinnovabili beneficino di una sorta di rendita supplementare. Pur avendo costi di produzione nettamente inferiori rispetto a chi utilizza gli idrocarburi, grazie al fatto che il prezzo generale ha come riferimento quello del gas, possono ottenere guadagni extra (5). Le multinazionali del settore sono le maggiori, per non dire le sole, beneficiarie di questa situazione. Sempre l’articolo citato ci informa che A2A, impresa di energia quotata in Borsa e proprietà tra gli altri dei Comuni di Milano e Brescia, ha visto i profitti aumentati del 17% nell’ultimo trimestre. Per l’Enel, che produce da fonti rinnovabili oltre la metà dell’elettricità, possiamo immaginare che la rendita differenziale di cui parlavamo sopra avrà fatto esplodere i guadagni. Infine l’Erg ha rivisto al rialzo le previsioni di profitti per il 2021.
Il disastro delle privatizzazioni rende non più rinviabile l’alternativa socialista
Tutto ciò dimostra in maniera incontrovertibile come la politica di privatizzazioni e liberalizzazione nel settore energetico non abbia procurato che disastri per le classi popolari mentre ha riempito le tasche degli azionisti e speculatori di borsa, e che la presenza dello Stato in queste imprese privatizzate non è garanzia che queste abbiano a cuore gli interessi dei settori più poveri della popolazione.
Possiamo immaginare cosa questa situazione provocherà nelle decisioni economiche che il governo dovrà prendere nel prossimo periodo.
Le imprese che sono colpite anch’esse dall’aumento del prezzo di gas e elettricità, chiederanno e, siamo certi, otterranno aiuti e agevolazioni dallo Stato, con la minaccia di ridurre o chiudere la produzione e quindi licenziare lavoratori a decine di migliaia. Questo, nonostante abbiano avuto negli anni miliardi di sussidi sotto varie forme, comprese quelle per l’«efficientamento» energetico, utilizzati a quanto pare per garantire dividendi agli azionisti anziché conservarli per situazioni in parte impreviste come quella attuale. Faranno di tutto per rinviare il rinnovo dei contratti di lavoro in molti casi scaduti da anni e imporre una ulteriore politica di moderazione salariale, sempre sotto il ricatto di ricorrere a licenziamenti o cassa integrazione.Da questo punto di vista possono ringraziare le burocrazie sindacali per aver negli anni sottoscritto accordi che prevedevano il recupero del potere d’acquisto di salari e stipendi, depurato però dagli aumenti legati all’energia o agli alimenti, guarda caso le due voci che impattano maggiormente sulle entrate dei proletari in ogni angolo del pianeta e che in questo periodo contribuiscono maggiormente alla crescita dell’inflazione
Come devono rispondere i lavoratori a questo ennesimo pesante attacco alle loro condizioni di vita?
Con una serie di rivendicazioni che facciano cadere sulle spalle dei padroni il costo dello shock dei prezzi dell’energia.
È necessario rivendicare la nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio delle imprese energetiche (Eni, Enel, A2A, Hera ecc.); la creazione di un ente nazionale che produca e distribuisca l’energia nell’interesse dei lavoratori non dei capitalisti; l’abolizione del segreto bancario, per permettere ai lavoratori di conoscere chi negli anni si è arricchito speculando sui prezzi delle materie prime.
Rivendicare la scala mobile dei salari e dell’orario di lavoro, per rispondere all’aggressione che i padroni si apprestano a lanciarci con la scusa dell’aumento dell’inflazione.
Ma non basta. Aumento dei prezzi di generi alimentari ed energia, utilizzo di fonti rinnovabili non inquinanti a discapito di quelle derivanti dall’uso degli idrocarburi, difesa dell’ambiente, dei salari e del lavoro, sono questioni intimamente legate fra di loro.
È impossibile risolvere uno di questi problemi senza affrontare immediatamente anche gli altri. E questo non è fattibile in una società fondata sul profitto.
Solo una lotta per il rovesciamento rivoluzionario di questo sistema economico e sociale, sola la lotta per una società socialista può rispondere in maniera positiva alle esigenze di milioni di lavoratrici e lavoratori in Italia come nel resto del mondo.
Note
1) «L’inflazione Usa vola al 6,2%. Italia sotto la media UE con +3,8», QuiFinanza, 29 dicembre 2021, disponibile al link https://quifinanza.it/soldi/video/linflazione-in-usa-vola-al-62-italia-sotto-la-media-ue-con-38/574035/
2) Disponibile al link www.thenextrecession.wordpress.com
3) Gian Paolo Repetto, «L’escalation dei prezzi è davvero passeggera?», 7 dicembre 2021, disponibile al link
www.rienergia.staffettaonline.com
4) Per il petrolio, ad esempio, si stima che solo il 2% dei contratti future termini con la consegna fisica di barili di petrolio. «I future sul petrolio. Cosa sono e come investire», Wall Street Italia, 4 febbraio 2016, disponibile al link https://www.wallstreetitalia.com/guide/guida-petrolio/i-futures-sul-petrolio-cosa-sono-e-come-investire/
5) V. Malagutti, «Profitti a tutto gas», L’Espresso, 2 gennaio 2022.