Partito di Alternativa Comunista

Università negli Usa: cresce il movimento a difesa della Palestina

Università negli Usa: cresce il movimento a difesa della Palestina

 

 

 

di Carlos Sapir (Workers’ Voice, Usa)

 

In tutto il Nord America gli studenti si stanno scontrando con le loro amministrazioni universitarie e la polizia contro il sostegno di queste istituzioni allo Stato di Israele e alla sua guerra genocida contro il popolo palestinese. L'esplosione di queste proteste è stata così sconcertante che i media hanno faticato a contare il numero completo di campus e di studenti che vi hanno preso parte. Persino organi di informazione solidali con la causa palestinese come Al Jazeera hanno faticato a fare un conteggio completo e accurato durante il fine settimana (al momento in cui scriviamo, si parla di 49 college e università statunitensi in mobilitazione e 10 a livello internazionale in Europa e Australia).

 

Le forme della protesta

In tutte queste università, gli studenti cercano di costruire accampamenti e occupare spazi all'aperto (o, in alcuni casi, all’interno degli edifici amministrativi). Mentre ad alcuni di questi accampamenti è stato permesso di continuare pacificamente, la maggior parte è stata immediatamente attaccata dalle forze di polizia, che spesso sono riuscite a sgomberare le tende e ad arrestare i partecipanti, ma gli studenti sono tornati in seguito rimettendo in campo la protesta.
Studenti di università come Emory (in Georgia), University of Texas at Austin e Ohio State University hanno affrontato brutali aggressioni da parte della polizia, tra cui il lancio di gas lacrimogeni, con segnalazioni di manifestanti ammanettati colpiti con il taser dalla polizia. Gli arresti sono avvenuti in più di 30 campus in tutta la nazione e sono culminati con l'arresto di oltre 300 studenti a New York la notte del 30 aprile. Tra i detenuti di New York c'erano studenti che occupavano un edificio della Columbia University e decine di manifestanti del City College.
Molte università hanno anche minacciato di mettere in discussione lo status accademico degli studenti e le loro collaborazioni di ricerca se avessero continuato a partecipare alle proteste, con alcune sospensioni già in vigore. La repressione è stata rilanciata dai politici israeliani e statunitensi, che hanno accusato gli studenti di antisemitismo (nonostante la presenza significativa di attivisti ebrei all'interno degli accampamenti stessi) e hanno accusati gli studenti di essere nazisti mentre inviavano la polizia in assetto antisommossa.

 

I motivi della protesta

Perché questo accade proprio ora? Gli accampamenti negli Usa sono sempre stati una tattica tipica degli studenti attivisti, con alcuni manifestanti che hanno esplicitamente collegato le loro azioni attuali ad altri esempi di attivismo nelle loro università in relazione all'apartheid sudafricano e ad altre cause. Accampamenti precedenti sono stati utilizzati per protestare contro l'attuale invasione israeliana di Gaza, con esempi nell’Università di Stanford (California) e allo Smith College (Massachusetts), rispettivamente a novembre e a marzo. L'attuale esplosione delle proteste deve essere attribuita in parte a una combinazione di fattori: c’è stato un tentativo di accampamento alla Columbia University che ha coinciso con la convocazione da parte del Congresso degli Stati Uniti della presidente della Columbia Minouche, Shafik, per rimproverarle di aver assunto professori che hanno denunciato l'occupazione israeliana della Palestina e di aver permesso agli studenti di protestare. La Shafik si è guardata bene dal difendere la sua università, ha fatto concessioni praticamente su ogni punto all'inquisizione maccartista del Congresso e ha proceduto a ordinare l'arresto degli studenti della Columbia che protestavano e a minacciarli di sospensione, comprese le minacce di ritorsione contro gli organizzatori studenti-lavoratori affiliati all'Uaw 2710 [organizzazione sindacale, ndt]. Gli studenti della Columbia, affiancati da membri della comunità che si sono mobilitati per la causa palestinese, sono riusciti a difendere il loro accampamento. Poi i telegiornali hanno riportato la notizia della scoperta di fosse comuni a Gaza e il movimento palestinese dei campus è entrato in azione, precipitandosi a seguire l'esempio della Columbia.

 

Le caratteristiche degli accampamenti

Gli accampamenti hanno avuto dimensioni diverse, con i più grandi che hanno raggiunto una presenza prolungata di centinaia di studenti, sostenuti da molti altri studenti che hanno svolto il lavoro logistico di trasporto di cibo e provviste per garantire la loro presenza: la protesta è cresciuta fino a comprendere migliaia di persone durante le manifestazioni organizzate a loro sostegno. I tentativi di accampamento organizzati da pochi studenti sono stati in genere rapidamente dispersi dalla polizia; altri studenti attivisti isolati hanno unito le forze per partecipare ad accampamenti nelle università vicine.
Gli accampamenti hanno chiesto alle università di aderire alla campagna internazionale di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) e di interrompere i legami con le istituzioni e i produttori di armi israeliani, denunciando la continua complicità delle università e del governo statunitense nel genocidio in atto a Gaza. Gli accampamenti sono stati incoraggiati e coordinati dal National Students for Justice in Palestine e hanno ricevuto anche il sostegno dei sindacati di facoltà, dei sindacati degli studenti laureati e delle organizzazioni per le libertà civili, con la formazione di una coalizione nazionale di difesa delle libertà civili basata sui sindacati.
Al momento in cui scriviamo, il 1° maggio, la maggior parte delle università che in precedenza avevano negoziato o ignorato pacificamente le proteste sono passate a chiedere l’invio di grandi contingenti di polizia pesantemente armati per disperdere violentemente gli accampamenti.

 

Quali prospettive?

In concomitanza con il rapido avvicinarsi della fine delle attività accademiche (che vanno dalla fine di aprile all'inizio di giugno), il movimento si trova ora di fronte al compito critico di capire come consolidare la protesta prima che la popolazione studentesca lasci i campus per l'estate. Sebbene questo abbia portato alcuni a lanciare affrettati appelli per una «escalation» da parte del piccolo nucleo di organizzatori già disposti a sacrificare la propria carriera o addirittura la propria vita per la liberazione della Palestina, sembra improbabile che le attuali forze - studenti e docenti che nel migliore dei casi hanno il sostegno dei sindacati degli studenti-lavoratori, ma molto più spesso non dispongono di un'organizzazione più ampia al di là del loro nucleo di attivisti pro-Palestina - siano in grado di esercitare da sole un'influenza sufficiente per modificare in modo apprezzabile la politica universitaria (per non parlare di quella statunitense o israeliana).
Piuttosto che lasciare che questa scintilla di resistenza si spenga, dobbiamo conservare le nostre forze e continuare a portare nuove persone nel movimento di solidarietà con la Palestina. L'eroismo spontaneo degli accampamenti studenteschi sta ispirando strati più ampi di persone ad agire per la Palestina. Gli attivisti devono attivarsi per estendere ad altri settori sociali la protesta, per ampliare e rafforzare la lotta nel campus e oltre. Questo significa avere piani concreti per continuare l'attività di solidarietà con la Palestina per tutta l'estate: conferenze, incontri didattici, proteste e tutte le strade possibili per coinvolgere nuove forze e aiutare a rafforzare gli attivisti attualmente sul campo.
La classe operaia di tutti gli Stati Uniti è in fermento per ciò che vede accadere in Palestina e nei campus universitari, anche se non tutti sono pronti a unirsi agli accampamenti. Mentre gli studenti di Yale e UConn hanno organizzato accampamenti nel fine settimana del 27 febbraio, la Connecticut Palestine Solidarity Coalition ha organizzato una marcia di migliaia di persone, una delle più grandi che lo Stato abbia mai visto. Le persone sono giustamente indignate per la repressione della protesta pacifica, una libertà democratica che credevano di avere ma che ora vedono cancellata da una polizia pesantemente armata.
C'è la possibilità di collegare il movimento studentesco con le più ampie lotte sindacali attraverso campagne di difesa - che includano l'approvazione di risoluzioni, firma di petizioni e la mobilitazione fisica con picchetti per le libertà civili - e azioni di massa che chiedano l'immediata cessazione dei finanziamenti statunitensi a Israele e la caduta di tutte le accuse contro i manifestanti.

 

No alle strumentalizzazioni!

Allo stesso tempo, dobbiamo diffidare dei tentativi di incanalare questo movimento nelle strumentalizzazioni elettorali per eleggere rappresentanti del Partito democratico. Il Partito Democratico è il partito che ha sostenuto lo sforzo bellico israeliano fin dall'inizio. I politici hanno già iniziato a fare il loro gioco di prestigio con il movimento. L'ex rappresentante del Texas Beto O'Rourke ha commentato di essere «orgoglioso» degli studenti della Ut Austin che si oppongono alla repressione della polizia, la deputata democratica Aoc ha visitato l'accampamento della Columbia, la rappresentante del Massachusetts Ayanna Pressley ha rilasciato una dichiarazione in cui esorta le forze dell'ordine alla «moderazione», ecc. Se da un lato non è necessario rifiutare a priori queste dimostrazioni di sostegno, che contribuiscono a dare legittimità e difesa al movimento, dall'altro dobbiamo anche comprendere con chiarezza che questi gesti servono per portare acqua al mulino del Partito Democratico.
Non possiamo ottenere la fine dei finanziamenti a Israele, o anche solo la fine della repressione delle proteste da parte della polizia, eleggendo personaggi che ora appaiono indipendenti ma che poi verrebbero costretti ad adattarsi alle decisioni dell'apparato di partito, approvando un bilancio militare dopo l'altro. Abbiamo bisogno di proteste di massa radicali e ripetute nelle strade, che mantengano alta la pressione e dimostrino che, mentre il Partito Democratico sostiene la guerra, la volontà della maggioranza della società non lo fa.
Per evitare il Partito Democratico e il vicolo cieco del martirio per amore del martirio, dobbiamo organizzare manifestazioni di massa e ottenere il sostegno dei sindacati a rivendicazioni chiare e di principio sulla Palestina e sulle libertà civili.
La dissonanza tra le convinzioni della gente sulla «libertà di parola» nel capitalismo e la realtà della risposta delle università al dissenso crea le condizioni per l’agitazione e deve essere sfruttata. Organizzando manifestazioni di massa con richieste fondamentali sulla libertà di parola, sulla libertà accademica, sulla fine della guerra a Gaza e sulla fine dell'apartheid possiamo coinvolgere enormi strati di lavoratori preoccupati dagli attacchi ai diritti democratici e metterli in contatto con organizzatori che possano aiutarli a mettere in moto il prossimo ciclo di manifestazioni. Facendo ciò con richieste chiare sulla fine delle spedizioni di armi a Israele e sulla concessione di pieni diritti democratici a tutti i palestinesi, posizioniamo il movimento su basi che non possono essere adattate a una piattaforma del Partito Democratico che continua a sostenere l'apartheid israeliano.
Al di là di come continuare a mobilitarsi per i prossimi mesi, il carattere non organizzato di tutte queste azioni nelle università, privo di una direzione centralizzata democraticamente eletta, mostra la necessità di formare un movimento contro la guerra combattivo, radicato nei sindacati e nelle organizzazioni studentesche che possa fornire un terreno di organizzazione democratica della lotta a livello nazionale. La democrazia non è solo un diritto astratto che chiediamo al governo: è il nostro migliore strumento per sviluppare il pensiero politico e la nostra migliore difesa contro le infiltrazioni. Mentre paranoia e segretezza possono andare di pari passo, un processo decisionale politico aperto e democratico ci garantisce il controllo della nostra politica, sottoponendo le proposte al vaglio e alla deliberazione del movimento stesso. Una coalizione di questo tipo è ciò di cui abbiamo bisogno per riunire i gruppi studenteschi e i sindacati al fine di discutere come unire al meglio le nostre forze e porre fine alla guerra contro la Palestina.

 

Dagli anni Settanta ad oggi

Il livello di protesta degli ultimi mesi è stato così alto che sia i sostenitori che i detrattori lo hanno paragonato agli anni Sessanta. Le opportunità di organizzazione politica sembrano nascere ovunque. Le lezioni più essenziali del movimento contro la guerra includono lo sviluppo di coalizioni coordinate a livello nazionale, aperte e democratiche, capaci di organizzare e mobilitare centinaia di migliaia di persone attraverso discussioni collettive, che sono state essenziali per la sua crescita.
Nel corso del movimento contro la guerra in Vietnam ci sono stati numerosi esempi di coalizioni di questo tipo. Uno di questi è stato il Comitato di Mobilitazione Studentesca (Smc), che comprendeva tutti coloro che si impegnavano per un'azione di massa a più ampio spettro possibile e per la richiesta di base «Riportate a casa le truppe ora!». L'Smc è stato un fattore importante nell'organizzazione di storiche mobilitazioni di massa e scioperi studenteschi, tra cui quello del 26 aprile 1968, che vide oltre 100.000 studenti delle scuole pubbliche (superiori e universitarie) in sciopero nella sola città di New York.
L'organizzazione dello sciopero studentesco è stata descritta dal partecipante Fred Halstead: «la conferenza del 27-29 gennaio 1968 del Comitato di mobilitazione studentesca per porre fine alla guerra in Vietnam è stata la più grande fino a quel momento e la più importante conferenza contro la guerra di quel periodo. Si registrarono più di 900 studenti e giovani provenienti da 110 college e 40 scuole superiori in circa venticinque Stati. Erano rappresentate anche alcune scuole medie. L'età media era di vent'anni, con meno di una dozzina di iscritti oltre i trenta».
Il movimento contro il Vietnam continuò a crescere, non solo nelle dimensioni delle manifestazioni, ma anche nella partecipazione all'organizzazione e alla discussione a tutti i livelli, con la conferenza del Smc del 1970 che contava 3500 partecipanti. Queste coalizioni coordinate a livello nazionale e organizzate democraticamente - insieme alle realtà della guerra e alle stesse mobilitazioni di massa - contribuirono a creare un contesto in cui il movimento contro la guerra fu in grado di conquistare ampie schiere di soldati in servizio attraverso la propaganda diretta e la costante crescita di sentimenti antibellici pubblicamente dichiarati in tutto il Paese.
Abbiamo bisogno di spazi di movimento che permettano una discussione e un processo decisionale politico e democratico e che accolgano anche persone che non si considerano ancora socialiste o antimperialiste, perché solo così il movimento può diventare qualcosa con il potere di cambiare la società e non solo una riunione per attivisti che sono già impegnati a entrare in azione quando il momento lo richiede. Movimenti come questo sono stati il terreno d'incontro storico di studenti e lavoratori dove possiamo coordinare al meglio una lotta vincente. È ciò che ha dato al movimento contro la guerra in Vietnam la forza di resistenza che ha contribuito alla decisione di ritirare le truppe americane e ha lasciato un'impronta culturale così grande che ancora oggi la gente la usa come punto di riferimento.
Il compito è quello di andare oltre i paragoni retorici con le generazioni di lotta passate, di imparare effettivamente dai successi di quell'epoca e di cogliere le opportunità attuali per superarle e conquistare un futuro senza apartheid o capitalismo.

 

Porre fine agli aiuti statunitensi a Israele!

Porre fine alla guerra a Gaza!

Smettete di arrestare i manifestanti! Liberi tutti! Niente polizia nel campus!

Reintegrare tutti gli studenti e i docenti che rischiano ritorsioni!

Per una Palestina unica, democratica e laica!

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