Partito di Alternativa Comunista

No all’Europa del grande capitale e del riarmo

No all’Europa del grande capitale e del riarmo

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

 

 

Sabato 15 marzo si svolgerà a Roma una manifestazione a favore dell’Europa, organizzata in seguito a un appello apparso nei giorni scorsi sulle pagine di Repubblica a firma Michele Serra. Hanno aderito all’iniziativa vari partiti di centrosinistra, Pd in testa, alcune associazioni della cosiddetta società civile, e, adesione senza dubbio degna di nota, la Cgil diretta da Maurizio Landini. Tutto questo mentre il Parlamento europeo approva un piano di riarmo (ReArm Europe) pari a 800 miliardi di euro.

 

Cos’è l’Unione europea

Ma che cos’è oggi l’Unione europea che gli aderenti la manifestazione vorrebbero per certi versi rilanciare? Almeno a partire dal 2007, anno d’inizio della Grande Recessione, causata dalla crisi americana dei mutui sub prime, e della successiva crisi dei debiti sovrani che ha colpito in particolare le economie più deboli del Vecchio Continente (Italia su tutte), l’Unione europea è stato lo strumento per imporre alle classi sfruttate europee, in accordo con i vari governi nazionali, durissime politiche di austerità che hanno impoverito decine di milioni di lavoratori. A quasi venti anni di distanza, queste misure draconiane non solo non sono state annullate ma, con l’approfondirsi ed estendersi della crisi, hanno varcato gli iniziali confini degli Stati della periferia europea, per andare a impattare sul cuore pulsante del Continente, Francia e Germania.
Non solo: l’Unione europea ha via via accentuato il suo carattere di fortezza chiusa all’immigrazione dai Paesi dipendenti, imponendo politiche razziste, xenofobe e di repressione poliziesca nei confronti dei milioni di esseri umani. Stesso discorso per quanto riguarda le politiche maschiliste, misogine e contro la comunità lgbt+.
Tutte scelte che le varie forze aderenti alla manifestazione del 15 marzo o hanno sostenuto quando erano al governo (basti ricordare i provvedimenti adottati dai governi Prodi, Fornero, Letta, Gentiloni, Renzi, Conte 2 e da ultimo Draghi) o non hanno combattuto come avrebbero dovuto (Cgil in testa).
Per quello che riguarda i due maggiori sconvolgimenti degli ultimi anni, l’Ue ha sostenuto in ogni modo l’azione genocida dello Stato sionista nei confronti della popolazione di Gaza e della Cisgiordania (lanciando negli Stati che la compongono una vergognosa e criminale campagna di calunnie e repressione contro le mobilitazioni di solidarietà con l’eroica Resistenza palestinese). Non sorprende perciò che un’associazione ultra sionista come Sinistra per Israele abbia dato la sua adesione alla manifestazione.
In Ucraina l’Ue ha rifiutato di dare pieno sostegno economico e militare alla lotta per sconfiggere la criminale aggressione imperialista della Russia di Putin, preoccupandosi più di tutto degli interessi economici legati alla ricostruzione.
E per finire, mentre continua a imporre sacrifici senza fine ai suoi cittadini, smantellando quello che rimane dello Stato sociale, stanzia centinaia di miliardi per favorire lo sviluppo degli eserciti dei vari Stati, non certo per difendere la pace, ma per essere in grado di affrontare, anche ricorrendo alla guerra aperta, la sempre più spietata concorrenza capitalista internazionale.

 

Altro che «sogno europeo»!

Di fronte a questi dati difficilmente confutabili, alcuni tra gli aderenti si appellano a un ritorno alle origini del «sogno europeo», che, a detta loro, se non fosse stato tradito (senza però spiegare le ragioni di questo presunto tradimento), avrebbe permesso di vivere un’epoca di pace, sviluppo e fratellanza tra i popoli e le classi sociali del Vecchio Continente.La realtà però è ben diversa da questa idilliaca narrazione. Fin dalle loro origini (Comunità Economica Carbone Acciaio, Euratom, ecc), le varie istituzioni che si sono succedute e trasformate nel tempo sono state lo strumento che le potenze imperialiste continentali, all’indomani della seconda guerra mondiale, hanno utilizzato per mantenere il loro potere che era stato messo in forte pericolo dall’emergere di movimenti rivoluzionari in Francia, Italia e Grecia. E per evitare che la classe operaia occidentale emulasse i successi ottenuti dai movimenti rivoluzionari nei Paesi dell’Europa orientale che, seppur in maniera deformata burocraticamente, avevano espropriato la borghesia e distrutto le sue istituzioni statali.
Che i propositi di pace e fratellanza propagandate dalle borghesie europee fossero un solenne imbroglio lo dimostra la tenacia con la quale alcune di queste lottarono per mantenere il loro impegno coloniale (la Francia in Vietnam e Algeria, il Belgio in Congo). Imperi che vennero smantellati solo grazie alla eroica e per nulla pacifica lotta di liberazione nazionale di quei Paesi.
Altra ricostruzione storica per lo meno fantasiosa è quella che vuole che gli indubbi progressi nelle condizioni di vita della classe operaia europea siano stati il risultato di una sorta di generosità delle borghesie europee, determinate a dividere con i lavoratori parte delle loro ricchezze, concedendo un solido e diffuso welfare state. In realtà ogni progresso in questo ambito fu il prodotto di lotte che i proletari condussero fin dalle prime settimane dopo la fine del secondo conflitto mondiale, e che costarono enormi sacrifici in termine di sudore e sangue versati in dure battaglie di classe.

 

Nessun sostegno all’Europa del grande capitale!

Questa breve e senza dubbio incompleta cronistoria del progetto di Unione europea dimostra come i lavoratori, i giovani, le donne, gli immigrati non possano in nessun modo aderire a un progetto europeo che, fin dalle sue origini, negli anni Cinquanta del ventesimo secolo, non è stato altro che lo strumento del loro sfruttamento e della loro oppressione.
Quale sarebbe dunque l’alternativa da contrapporre a questa idea di Europa? Come lottare contro sciovinismo, protezionismo e chiusura «patriottica» dei confini? Questa Europa, pur con mille difetti, sarebbe forse un progresso rispetto ai particolarismi etno-nazionalistici? Tutt’altro. È proprio questa Europa che, con le sue politiche economiche e sociali, ha favorito la crescita di movimenti reazionari come quelli rappresentati da Meloni, Salvini, Le Pen, Orban, Abascal e Weidel.
Sono i comunisti, i rivoluzionari, a essere i veri difensori delle masse popolari d’Europa. L’unica Europa che difendiamo è quella che si è manifestata nelle barricate del Quartiere Latino e nei milioni di operai in sciopero nel maggio del 1968; nell’Autunno Caldo del 1969 in Italia; nella Rivoluzione dei Garofani del 1974; nello sciopero durato un anno dei minatori inglesi; nell’inizio di una rivoluzione politica, per costruire uno Stato operaio non dominato dalla burocrazia stalinista, a Budapest nel 1956, Praga nel 1968 e Danzica nel 1980.
E, per arrivare ai giorni nostri, nelle mobilitazioni contro il governo Macron nel 2023; in quelle contro i diktat imposti dalla Troika (e sostenuti dalla sinistra di Siryza) ai proletari in Grecia nel 2015, e che oggi tornano a infiammare le piazze di Atene e Salonicco; nelle mobilitazioni per l’indipendenza nazionale della Catalogna; in quelle contro i governi conservatori di Johnson e Sunak; nelle lotte degli studenti e dei lavoratori in Serbia contro un governo al soldo del capitale europeo; nei giovani e negli operai in armi in Ucraina che lottano contro le armate di Putin e che siamo certi un domani si opporranno alla sempre più probabile capitolazione del governo guidato da Zelensky; nelle mobilitazioni delle donne polacche nel 2020 per difendere il diritto di aborto.
Quella per cui ci battiamo è un’Europa non più dominata dal capitale e dalla finanza, in cui gli operai, una volta espropriata la borghesia e distrutte le strutture del suo dominio, grazie alla presenza nei vari Paesi di direzioni politiche rivoluzionarie organizzate a livello internazionale, creino l’unica garanzia per una pace duratura: gli Stati Socialisti d’Europa.

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