In ricordo di Nedda Petroni
militante trotskista
E' morta nei giorni scorsi la compagna Nedda Petroni, con cui per anni diversi compagni oggi militanti nel Pdac hanno condiviso la battaglia politica. Vogliamo ricordare Nedda pubblicando l'intervento che Patrizia Cammarata, dirigente del Pdac, ha fatto al funerale.
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Barbarano Vicentino, 5 febbraio 2013
E’
da tempo, da molto tempo, che le condizioni di salute di Nedda avevano
interrotto la nostra abitudine, durata per anni, a sentirci, o vederci, quasi
quotidianamente, nel nostro stretto rapporto fatto d’amicizia, affetto e
militanza politica. E’ da qualche anno che trascorro le mie giornate senza una
sua telefonata, senza un appuntamento con lei, senza la possibilità di
chiederle un consiglio, un parere, su questo o quell’argomento, e senza poter
ascoltare i ricordi della sua lunga vita.
Eppure
non mi sono ancora abituata a vivere senza Nedda e, oggi, è un momento
doloroso, di separazione, d’addio.
E’
importante ritrovarci qui insieme, noi tutti che le abbiamo voluto bene e che
l’abbiamo stimata, insieme al figlio, alla sua famiglia, agli amici, alle
compagne ed ai compagni.
Ho
molte cose per le quali ringraziare Nedda, e la sento così vicina, così cara.
Ti
ringrazio Nedda perché mi hai dato l’esempio di un tipo di donna alla quale
attingere e che mi piacerebbe, a mia volta, riuscire a trasmettere alle donne
giovani che incontro, e a mia figli
Sei
stata una donna gentile e al contempo determinata, generosa ma attenta a non
farti calpestare, sincera ma attenta alla sensibilità degli altri, coraggiosa e
al contempo saggia e rispettosa, senza apparire mai conformista od ossequiosa.
Eri
estrosa ma eri anche dotata di grande rigore logico e sei stata, soprattutto,
una donna che nutriva, nei confronti delle altre donne, un’affettuosa
solidarietà.
Mi
stupivi sempre per la tua passione e il tuo entusiasmo, per l’energia che
faceva scordare i tanti anni che già avevi, che faceva dimenticare che, invece,
eri anziana, anzi “vecchia” come sottolineavi tu sempre, sfidando noi, più
giovani, e spesso dimostrando che i vecchi eravamo noi quando ci dicevamo
stanchi e la nostra pigrizia strideva vicino alla tua curiosità e alla tua
vivacità. Ricordo con precisione il tuo rifiuto di usare le parole ipocritamente,
il tuo rifiuto di usare parole diverse per edulcorare concetti che si ritengono
negativi.
“La
guerra è guerra” non è una “missione”- ci ricordavi - “i licenziamenti sono
licenziamenti, non esuberi”. “Io sono vecchia”-mi dicevi, sorridendo- e oggi,
qui, dobbiamo dire che Nedda è morta. Ma non è certo né vecchio né morto il tuo
esempio, la tua passione, la tua energia che cercheremo di far riecheggiare in
noi, nei nostri comportamenti, nelle nostre scelte.
Ti
ricordo, un giorno, quando arrivasti a casa mia dicendomi che, sì, lo avevi
fatto il volantino per la giornata del 25 Aprile e a me, che ti chiedevo: “
dammi il foglio che lo trascriviamo in computer” rispondevi: “l’ho
scritto in testa, in auto, durante il tragitto Barbarano-Vicenza. L’ho tutto
scritto dentro la mia testa. Accendi il computer che te lo dètto”. Io ti
ascoltavo, incredula e allibita, mentre mi dettavi il volantino che avevi
scritto “dentro la tua testa”, durante il viaggio Barbarano-Vicenza, con le
virgole ed i punti, ma soprattutto con lo stile che ti era proprio, con il dono
di saper esporre concetti importanti con parole semplici.
E
ancora tanti altri ricordi…
Sai
Nedda, quando sono titubante perché mi capita di dover affrontare un viaggio da
sola, una situazione nuova, il tuo sorriso mi riappare, vicino, e ti vedo come
allora, che guardi l’orario dei treni in qualche stazione, trascinando la tua
valigia, o ti vedo arrivare con la tua auto, parcheggiando in modo improbabile,
dopo aver fatto chilometri per strade sconosciute per arrivare in tempo, sempre
puntuale, alla riunione, all’assemblea, alla conferenza, in qualche grande
città o in qualche sperduto paesino.
Condividevamo
l’esperienza d’essere donne e d’essere figlie, entrambe, di “un operaio
specializzato” e condividevamo il fatto d’essere, entrambe, comuniste.
La
malattia ti ha isolato, negli ultimi anni, da importanti avvenimenti politici e
questo tuo forzato, ma purtroppo necessario, isolamento, ti ha impedito di
vivere e poter comprendere fino in fondo, con la passione e la ricerca della
verità che ti hanno sempre contraddistinto, l’evoluzione della situazione
politica, sia nazionale sia internazionale, le scelte opportunistiche dei
partiti vecchi e nuovi, dei sindacati, dei movimenti, lo scoppio della crisi
internazionale del capitalismo, le rivoluzioni del Nord Africa e del Medio
Oriente. Una situazione politica nuova che, io credo, ci avrebbe viste ancora
insieme nella militanza politica.
Un
giorno, eravamo a Roma, non ricordo per quale Congresso o assemblea o
manifestazione, e Nedda mi "strappò" una promessa. Mi disse che le
sarebbe piaciuto che, alla sua morte, fosse letto uno stralcio di una lettera
che Pietro Tresso, il grande dirigente trotskista fondatore della Quarta
Internazionale, scrisse nel 1942 alla cognata.
Nedda
mi disse che le piacevano quelle parole e che nei concetti espressi da quelle
parole si identificava.
Io
mi ritrassi, come si fa quando si finge di non sapere che tutti dobbiamo morire
e le dissi le solite frasi ipocrite del tipo: "perché pensi alla morte,
che pensieri ti vengono”, ecc.. ma poi, data la sua insistenza, ricordo che
la rassicurai in tal senso dicendole, in tono semiserio, che, va bene, se non
fossi morta prima io, me ne sarei ricordata…
Oggi
è arrivato il momento di ricordare e mantenere la promessa e, per le
coincidenze che la vita spesso ci riserva, voglio anche ricordare che è proprio
in questo 2013 che di Pietro Tresso si celebrano i 70 anni dal suo assassinio e
i 120 dalla sua nascita, avvenuta il 30 gennaio 1893 a Magrè di Schio, in provincia
di Vicenza.
Ecco,
Nedda, in questa giornata, in cui ti salutiamo, possano riecheggiare, come
desideravi, le parole del compagno Pietro Tresso:
“…E’ proprio perché siamo ancora giovani che ci ritroviamo fuori dalle diverse chiese. Le stesse aspirazioni che ci hanno spinto, fin dalla giovinezza, all’interno di un partito, ce ne hanno spinto fuori quando si sono trovate in disaccordo con quelle che vengono definite le necessità pratiche. Se fossimo invecchiati avremmo ascoltato la voce dell’esperienza, saremmo diventati saggi, ci saremmo adattati, come molti altri, all’astuzia, alla menzogna, al sorriso ossequioso verso i vari “figli del popolo”,... Ma questo ci è stato impossibile. Perché? Perché siamo rimasti giovani. E per questo sempre insoddisfatti di ciò che è e sempre aspiranti a qualcosa di meglio. Quelli che non sono rimasti giovani sono diventati, in realtà, dei cinici. Per loro gli uomini e tutta l’umanità non sono che strumenti, dei mezzi che devono servire i loro scopi personali, anche se questi scopi vengono mascherati con frasi d’ordine generale; per noi gli uomini e l’umanità sono le sole vere realtà esistenti”.