Partito di Alternativa Comunista

8 marzo 2021: bilancio di un anno di pandemia

8 marzo 2021: bilancio di un anno di pandemia

 

 

 

di Laura Sguazzabia

 

 

 

Lo scorso anno la pandemia ci ha sorpresi proprio a ridosso di questa importante giornata di lotta, impedendoci qualunque forma di azione. Ma, a distanza di un anno, anche questo 8 marzo lo abbiamo celebrato nel pieno della peggiore pandemia del secolo, una pandemia che ha messo in luce, con maggior evidenza, le storture del sistema capitalista basato su sfruttamento, violenza, disuguaglianza e diverse forme di oppressione. 

 

Un anno terribile per le donne

Come abbiamo già più volte detto e/o scritto, il peso dell’emergenza economica, sanitaria e ambientale causata da questo sistema e accelerata dalla pandemia mondiale di Covid-19, si è scaricata soprattutto sulle donne proletarie rendendo così ancora una volta evidenti le difficoltà sociali ed economiche contro cui lottiamo ogni giorno normalmente. Ancora una volta sono state le donne a pagare di più.
Secondo le statistiche ufficiali, la maggior parte di chi ha perso il posto di lavoro nel 2020 è donna, nonostante il blocco dei licenziamenti. Quelle donne che lo hanno conservato, hanno visto ridotta, in alcuni casi drasticamente, la propria retribuzione per il ricorso massiccio alla cassa integrazione o ai congedi parentali per l’assistenza a figli, malati o invalidi.
Oltre a perdere la propria indipendenza economica, e spesso la possibilità stessa di mantenere sé stesse e i propri figli, le donne hanno subito un ulteriore sovraccarico all’abituale lavoro domestico: la gestione della didattica a distanza, la sostituzione dei servizi di assistenza, la pulizia accurata della casa per evitare maggiori rischi di contagio, il contenimento psicologico dei membri della famiglia sono compiti che hanno assorbito le donne in forma totalizzante. L'idea che i compiti domestici e di cura siano propri delle donne, e che questa sarebbe la loro funzione principale in questa società, continua ad essere accettata: non è un caso che la maggior parte dei lavori a cui le donne accedono siano collegati a questo (insegnanti, infermiere, operatrici sanitarie, addette alle pulizie, ecc). 
Le misure di isolamento sociale, inevitabili in un periodo pandemico, la mancanza di indipendenza economica, indispensabile in questo sistema, l’inconsistenza di politiche contro la violenza, hanno fatto aumentare femminicidi, stupri e altre forme di violenza con cifre che superano di gran lunga quelle del 2019 e che già in questi pochi mesi del 2021 sono allarmanti.
Rispetto a tutto questo, cosa è stato fatto? Poco o nulla. Il sistema capitalista impietosamente non si è posto nessuno di questi problemi, ha continuato a preoccuparsi unicamente del proprio profitto, combattendo le proprie battaglie per evitare chiusure o anticipare riaperture di tutte le attività lavorative, per spremere fino all’ultima goccia del sudore dei lavoratori e, a costo della loro stessa vita, per continuare a riempire le tasche dei padroni. 

 

Sciopero sì, ma non per propaganda

L’8 marzo è da sempre una giornata di lotta, nonostante i tentativi di svuotamento del suo significato originario, portati avanti dalla borghesia che ha cercato di farne una festa, un’occasione di mercato con omaggi di fiori e cioccolatini. Da qualche anno, a livello globale, è stata lanciata la parola d’ordine dello sciopero, riproponendo in concomitanza con questa giornata il rilancio di uno strumento di lotta, da sempre parte della tradizione operaia.
L’idea di organizzare uno sciopero in relazione al problema della violenza subita dalle donne ci è sembrata un’idea giusta che ha dimostrato notevoli vantaggi: ha permesso alle donne di riattivarsi e di ricominciare a partecipare, riappropriandosi delle strade e delle piazze, dopo anni in cui il dibattito sulle questioni femminili è rimasto legato all’ambito accademico; ha consentito di superare le barriere nazionali rendendo effettivamente la questione dei diritti delle donne una questione mondiale, oltre a legare così l’oppressione delle donne alle altre forme di oppressione, come il razzismo e l’omofobia, utilizzate in questo sistema per dividere i lavoratori e poterli sfruttare meglio; infine, per sua natura, potenzialmente potrebbe permettere il superamento dei limiti che hanno caratterizzato manifestazioni precedenti, promosse da donne appartenenti a schieramenti sociali e politici diversi: donne borghesi, parlamentari (di centrodestra e di centrosinistra), ministre, sindacaliste. È stato un errore in passato impostare le manifestazioni a difesa dei diritti delle donne in quel modo: non esistono interessi comuni tra le donne proletarie e le donne borghesi. Le donne proletarie sono doppiamente oppresse, perché subiscono lo sfruttamento del lavoro e la violenza di genere. Tra loro, le donne immigrate proletarie sono quelle che vivono la condizione più dura, dovendo anche subire discriminazioni razziste. Diversamente, le donne della classe borghese non sono sfruttate ma sfruttatrici poiché condividono con i loro compagni l’idea che questo sistema funzioni e vada preservato. Per questo, pensiamo che rispondere alla violenza di genere con uno sciopero consenta di impostare da un punto di vista di classe il problema, prendendo atto che la lotta contro la violenza e il femminicidio è anche lotta contro il sistema economico e sociale che li genera: il capitalismo.
Tuttavia, perché uno sciopero sia un’azione efficace e non pura propaganda, è necessario che si configuri come un'astensione reale dal lavoro per tutti, donne e uomini: deve essere uno sciopero generale a difesa delle donne lavoratrici, a cui devono essere chiamati a partecipare – esprimendo solidarietà alla nostra condizione –  anche gli uomini della nostra classe, la classe lavoratrice. Per permettere una reale partecipazione anche delle tante donne che non hanno un contratto di lavoro regolare – ma che magari lavorano in nero o svolgono lavoro domestico non retribuito – lo sciopero deve coniugarsi con l'avvio di un percorso di lotta in grado di estendersi a tutti i settori del proletariato. Lo sciopero deve cioè essere costruito dal «basso», su una piattaforma che avanzi e rilanci richieste che partono dai bisogni delle donne e degli uomini della classe lavoratrice.

   

Come proseguire nella lotta?

L’adesione allo sciopero in questo 8 marzo è stata fortemente limitata dagli impedimenti alle manifestazioni di piazza, impedimenti legati alla diffusione, ancora altissima, della pandemia, e in Italia dall’applicazione della legge 146/90 che, limitando il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ha escluso dallo sciopero generale la scuola, uno dei settori in cui la presenza femminile è più massiccia (l’80% del personale scolastico è composto da donne) e che ha subito maggiormente le conseguenze dell’epidemia.
All’appello a scioperare hanno però risposto molte di quelle aziende che hanno animato gli scioperi di marzo 2020, quegli scioperi partiti dal «basso» appunto, dalle necessità reali di donne e uomini, necessità di tutela della propria salute, oltre che della propria vita.
Non possiamo fermarci alle scadenze del calendario, seppure significative e cariche di storia: occorre continuare la lotta che da sempre, e negli ultimi anni in particolare, ha caratterizzato questa data, per difendere i diritti che tanta parte del movimento femminista ed operaio ci hanno garantito non tanto e non solo in quanto donne, ma soprattutto in quanto proletarie, oppresse e sfruttate. In questa lotta noi chiamiamo alla partecipazione gli uomini della classe lavoratrice perché con la loro azione esprimano solidarietà alla nostra condizione e perché solo con l’unione delle nostre lotte sarà possibile sconfiggere l’oppressione e lo sfruttamento. Non lasciamo che il maschilismo, l’omofobia, il razzismo, le manovre di assestamento e di austerità che scaricano la crisi economica mondiale sulle spalle dei lavoratori, dei giovani senza lavoro, e soprattutto dei settori maggiormente oppressi come le donne, dividano la classe per incrementarne lo sfruttamento e per favorire l’arricchimento di pochi a danno di molti.
Come ci ha dimostrato in questo anno di pandemia, il capitalismo ha altri interessi da tutelare e nessun governo si farà carico dei nostri problemi: il maschilismo, così come il razzismo o l’omofobia, è un’arma importante per il capitalismo che, per questo, non ha nessuna intenzione di privarsene. Non possiamo illuderci, ma continuare a lottare: a noi donne proletarie, il compito di unire la classe per l’abbattimento di questo sistema verso un mondo dove essere «socialmente uguali, umanamente differenti e totalmente liberi».  

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