Pubblicazione
della Lit‑Ci. Nuova
serie. N. 139
Maggio
2008
A 60 anni dalla sua creazione
Per la fine
dello Stato d’Israele
Per la
costruzione di una Palestina laica,
democratica e
non razzista
[primo
articolo]
Il 14 maggio si sono compiuti 60 anni dalla fondazione dello Stato d’Israele,
basata su una risoluzione dell’Onu del 1947, con l’occupazione del 55% del
territorio dell’allora Mandato britannico in Palestina
La leggenda creata dal sionismo afferma che lì si unirono “un popolo senza terra” (gli ebrei) con
una “terra senza popolo” (la Palestina). La realtà,
tuttavia, era molto diversa. L’organizzazione sionista mondiale e le potenze
imperialiste (Usa ed Inghilterra), con l’avallo della burocrazia stalinista che
governava la ex Urss, utilizzarono come scusa il dramma delle migliaia di
rifugiati ebrei europei, brutalmente perseguitati dal nazismo, per trasferirne
una parte in Palestina, in modo totalmente artificiale e con grande appoggio
finanziario. È notorio che questo progetto fu sostenuto da parte di vari
milionari ebrei europei, come i banchieri Rothschild. La risoluzione dell’Onu
legalizzò quest’usurpazione.
Fu creata così un’autentica enclave
imperialista. Vale a dire, un territorio usurpato alla nazione palestinese
nella quale si insediarono migliaia di immigrati, provenienti specialmente dall’Europa
orientale, totalmente dipendenti da questo appoggio finanziario per
sopravvivere e, pertanto, disposti a difendere la politica dell’imperialismo
nella regione. Ben Gurion, uno dei principali dirigenti sionisti dell’epoca e
primo presidente di Israele, espresse con grande chiarezza questa profonda
associazione del sionismo con l’imperialismo statunitense: “La nostra più grande preoccupazione era la sorte che sarebbe stata
riservata alla Palestina dopo la guerra. Già era chiaro che gli inglesi non avrebbero
conservato il loro Mandato. Se pure si avevano tutti i motivi di credere che
Hitler sarebbe stato sconfitto, era evidente che la Gran Bretagna, anche
se vittoriosa, sarebbe rimasta molto indebolito dal conflitto. Per questo, io
non avevo dubbi che il centro di gravità delle nostre forze doveva passare dal
Regno Unito all’America del Nord, che era sul punto di diventare il primo paese
del mondo.
D’altro lato, la
Palestina non era una “terra senza popolo”, bensì la patria
storica degli arabi palestinesi, in cui aveva convissuto in pace, per molti
secoli, una minoranza di ebrei di origini arabe. All’atto della sua stessa
fondazione, Israele non si limitò ad usurpare il territorio aggiudicato dall’Onu:
il movimento sionista pianificò ed eseguì un’offensiva per appropriarsi di una
parte del settore concesso ai palestinesi (il 20% in più della superficie
totale) espellendone gli abitanti.
Lo fece attraverso le sue
organizzazioni armate e con metodi terroristici contro la popolazione civile.
Nel villaggio di Der Yasin, ad esempio, le milizie sioniste assassinarono 254
dei suoi 700 abitanti, un massacro che fu un autentico simbolo di come è stato
creato lo Stato di Israele. In tal modo, 800.000 palestinesi (un terzo della
popolazione dell’epoca) furono espulsi dalla loro terra ed iniziarono a vivere
il dramma dei rifugiati.
Non è casuale, dunque, che i
palestinesi ricordino questa data come la nakba
(catastrofe) poiché significò l’inizio di una dolorosa realtà. Attualmente, il
popolo palestinese è diviso fra coloro che vivono all’interno di Israele,
discriminati e trattati come abitanti di seconda classe; gli abitanti di Gaza e
Cisgiordania, sottomessi all’assedio ed all’aggressione permanente del sionismo,
e più di 6 milioni di rifugiati nelle nazioni arabe, che vivono in accampamenti
precari, spesso perseguitati e repressi dagli stessi governi arabi.
Per questo, da allora, il popolo
palestinese, ed anche l’insieme delle masse arabe, si sono posti la necessità
di lottare per la liberazione della loro terra espellendone l’invasore
sionista.
La
Lit-Ci (Lega
Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale) appoggia
incondizionatamente questa lotta del popolo palestinese contro lo Stato
sionista. In questo senso, non facciamo altro che mantenere la storica
posizione della IV Internazionale che, nel 1948, approvò una risoluzione contro
la creazione dello Stato di Israele ed appoggiò la rivendicazione palestinese
sul suo storico territorio.
Israele: agente militare dell’imperialismo
nel Medioriente
[secondo articolo]
L’obiettivo dell’imperialismo,
specialmente quello statunitense, con la fondazione di Israele, è stato quello
di avere un agente militare diretto nel Medioriente. Una regione che, oltre a
possedere le maggiori riserve di petrolio del mondo, viveva un forte processo
di lotta antimperialista e contro le corrotte “monarchie petrolifere”.
Si trattava di avere “proprie truppe” al proprio servizio contro il popolo
palestinese e le masse arabe.
Non è casuale che dalla sua
creazione, come autentico “avamposto militare”, Israele abbia sempre vissuto in
stato di guerra ufficiale o di fatto. Le azioni ed aggressioni militari di
questo Stato, dal 1948 ad oggi, sono state le seguenti:
1948: Espulsione con metodi terroristici
di 800.000 palestinesi. Guerra contro nazioni arabe.
1956: Guerra contro l’Egitto, che aveva nazionalizzato il Canale di
Suez (alleanza segreta con la
Franciala
Gran Bretagna). e
1967: “Guerra dei sei giorni” contro le nazioni arabe: occupazione
militare di Gaza, Cisgiordania, alture del Golan (Siria) e penisola del Sinai
(Egitto).
1973: “Guerra dello Iom Kippur”contro le nazioni arabe.
1982: Invasione ed occupazione del sud del Libano (sconfitto dopo
alcuni anni, Israele si ritirerà “ufficialmente” nel 2000).
1987-1989: Repressione della Prima Intifada (Gaza).
1991: Attacco aereo all’Iraq
(Prima Guerra del Golfo).
2000: Repressione della Seconda Intifada (Gaza).
2006: Seconda invasione del Libano (Israele è
stato sconfitto dalla resistenza di Hezbollah).
2006-2008: Minaccia di “attacchi aerei lampo” all’Iran.
2007-2008: Attacchi militari ed embargo a Gaza.
Uno stato militarizzato
L’obiettivo della creazione di Israele, espresso nella precedente
cronologia, spiega perché la popolazione israeliana viva sempre “sul piede di
guerra”. Al compimento dei 18 anni, ogni cittadino deve svolgere un servizio
militare obbligatorio, tre anni per i maschi e due per le femmine. Dopo di che,
rimangono come “riservisti” fino ai cinquant’anni, con un mese di addestramento
annuale obbligatorio.
Per questi “servizi militari”, gli Usa inviano “ufficialmente” 3 miliardi
di dollari all’anno ed ancora 2 miliardi ad altri vari titoli. A questo,
debbono aggiungersi i fondi raccolti dalle organizzazioni sioniste di tutto il
mondo. In tal modo, Israele riequilibra il deficit della sua bilancia
commerciale (10 miliardi di dollari) ed il suo cronico deficit di bilancio.
Allo stesso tempo, la costruzione di armamenti e tecnologia militare e di
sicurezza si è trasformata, da parecchi anni, nella principale attività
economica del paese e nella principale voce di esportazioni (12 miliardi di
dollari, il 40% del totale), dissimulata nelle statistiche come “esportazione
di alta tecnologia”.
In altre parole, la maggioranza della popolazione israeliana vive,
direttamente o indirettamente, del bilancio militare e dell’industria degli
armamenti. Per questo, le forze armate sono, in realtà, l’istituzione più
importante dello Stato. Non è casuale che la maggioranza dei leader politici
più importanti della storia del paese siano stati in precedenza capi militari.
Uno stato razzista
Un’altra grande menzogna del sionismo è che Israele è uno Stato “democratico
e progressista”. Nulla di più falso. Sin dalla sua fondazione, si è costituito
come uno Stato razzista, per la sua ideologia e le sue leggi destinate ad
espropriare le case e le terre dei palestinesi.
Israele è ufficialmente uno “stato
ebraico”. Vale a dire, non è lo stato di tutti quelli che risiedono nel
paese o vi siano nati, ma possono essere considerati cittadini soltanto quelli
che si considerano di fede o di discendenza ebraica. Il 90% delle terre vengono
riservate esclusivamente agli ebrei, attraverso il Fondo Nazionale Ebraico, il cui statuto definisce queste come “terre di Israele”, le vincola a questa
istituzione ed esse non possono essere vendute, affittate e neanche lavorate da
un “non ebreo”. Ai palestinesi è
proibito comprare o anche affittare le terre annesse allo Stato dal 1948.
Sin dalla fondazione del paese, esiste un sistema di discriminazione
razziale che domina assolutamente tutti i destini delle vite palestinesi. Cosa
si potrebbe dire oggi di un paese la cui politica ufficiale fosse l’espropriazione
delle terre degli ebrei o che semplicemente proibisse a qualsiasi ebreo di
potervisi stabilire sposandosi con una non ebrea? Ovviamente, lo si definirebbe
come un flagrante caso di discriminazione antisemita tanto da poterlo comparare
col nazismo o con l’apartheid sudafricano. Tuttavia, questo criterio è legale
in Israele, grazie ad una serie di istituzioni e leggi che riguardano
soltanto i suoi abitanti non ebrei.
La Legge della
Nazionalità stabilisce
chiare differenze fra ebrei e non ebrei per ottenere la cittadinanza. Per la Legge della Cittadinanza, nessun cittadino
israeliano può sposarsi con un residente dei territori palestinesi occupati.
Ove questo accada, perde i diritti di cittadinanza israeliana e la famiglia, se
non è separata, deve emigrare.
Per la Legge del Ritorno, qualsiasi ebreo del mondo,
se si trasferisce nel paese, può essere cittadino israeliano ed ottenere un’infinità
di privilegi che i nativi non ebrei non possiedono. Però i familiari dei
palestinesi dello Stato di Israele che vivono all’estero (molti di essi espulsi
dalle loro terre in Palestina o i loro discendenti) non possono ottenere lo
stesso beneficio per il solo fatto di non essere ebrei.
La Legge
dell’Assente permette l’espropriazione
delle terre che non siano state coltivate per un certo tempo. Però mai è stata
espropriata la terra di un ebreo. La maggioranza delle espropriazioni si sono
realizzate contro rifugiati palestinesi in esilio, palestinesi abitanti di
Israele ed ogni palestinese che risiedeva sulla riva occidentale del fiume
Giordano ed aveva terre nella zona allargata di Gerusalemme.
La falsa “democrazia israeliana”
[terzo articolo]
La stampa occidentale, specialmente i media imperialisti, non si stancano
di ripetere che Israele è “l’unica democrazia del Medioriente”. Tuttavia, come può
chiamarsi “democrazia” un regime che persegue persone per la loro razza o
religione? Come può essere chiamato “democratico” un regime nel quale gli
abitanti originari espulsi nel 1948 non hanno il diritto di ritornare alle loro
case e terre e gli abitanti dei territori occupati nel 1967 non hanno nessun
diritto civile?
Un regime nel quale i pochi deputati di origine araba non possono
criticare il sionismo, sotto minaccia di pesanti sanzioni penali, oppure sono
obbligati ad uscire dal paese, come è accaduto ad Azmi Bishara. Nel quale i
pochissimi intellettuali ebrei che mettono in discussione le menzogne sull’origine
di Israele, o si oppongono alle atrocità dei governi sionisti, sono sottoposti
ad intimidazioni e messi nell’impossibilità di realizzare le loro ricerche,
come è accaduto con Ilan Pappe, che ha abbandonato Israele nel 2007 per esercitare
la docenza in Inghilterra, a causa della pressione che subiva nell’Università
di Haifa e delle minacce di morte da parte di gruppi sionisti. Nel quale il
fisico Mordechai Vanunu, per il preteso “crimine” di aver rivelato l’esistenza
di armi nucleari segrete, venne sequestrato in Europa e, dopo aver scontato 20
anni di carcere, non può uscire dal paese né rilasciare interviste.
In qualsiasi paese del mondo, questa realtà sarebbe definita come un’atroce
dittatura appena mascherata da “democrazia” ad opera degli oppressori sionisti,
la stessa “democrazia” dei bianchi sudafricani durante l’apartheid.
Il genocidio dei palestinesi
Israele deve esercitare una permanente violenza contro la popolazione
dominata. Al fine di mantenere il suo carattere coloniale e razzista, non può tollerare
nessuna resistenza interna, né minacce alle sue frontiere. Il suo stesso
carattere lo porta ad essere espansionista ed a reprimere qualsiasi minimo
dubbio sulla sua natura.
Per questo, Israele ha sempre praticato una politica di “pulizia etnica”
dei palestinesi, sradicandoli dalle loro terre ataviche o reprimendo duramente
sia quelli che vivono all’interno delle sue frontiere sia quelli nei territori
di Gaza e Cisgiordania.
Circa 11.000 prigionieri politici palestinesi imputridiscono nelle
carceri sioniste, centinaia di essi sono bambini e donne. Una di esse ha
partorito, ammanettata, nella prigione, dove resta con suo figlio; 70
prigionieri hanno già scontato più di 20
anni di carcere. La tortura è praticata con l’autorizzazione della
magistratura e gli “omicidi mirati” di combattenti nei Territori sono una
routine quotidiana.
La Lit-Ci definisce lo Stato
israeliano come “nazista” perché quando si perseguita un popolo intero, con l’obiettivo
di eliminarne l’identità, di renderlo schiavo o espellerlo dalla sua terra, non
c’è altro nome che meglio possa esprimere quest’essenza politica. La terribile
contraddizione storica è che sono i discendenti dei perseguitati in Europa dal
nazismo quelli che ora applicano questi stessi metodi contro un altro popolo.
La sua popolazione, educata per
essere sempre al servizio dell’esercito, accetta con naturalezza, ad
asfissiante maggioranza, questa realtà di aggressioni militari ai palestinesi
ed ai popoli arabi e questa politica genocida, poiché solo la forza delle armi
può garantire la sopravvivenza dell’enclave coloniale.
Gaza: territorio palestinese indipendente
La crescente difficoltà dell’imperialismo
e di Israele per sconfiggere la resistenza palestinese li ha portati a
sostenere, nel 1993, gli Accordi di Oslo. In essi, l’organizzazione Al Fatah e
l’Olp, fino ad allora indiscussa direzione del popolo palestinese, riconobbero
l’esistenza dello Stato di Israele e ne legalizzarono l’usurpazione della
maggioranza del territorio palestinese. In tal modo, abbandonarono e tradirono
la lotta del loro popolo. In cambio, ebbero la promessa che in futuro sarebbe
stata permessa la nascita di uno “Stato palestinese” e la creazione immediata,
a Gaza ed in Cisgiordania, della Anp (Amministrazione Nazionale Palestinese).
Si trattava, in realtà, di piccoli territori isolati, simili ai bantustan
sudafricani all’epoca dell’apartheid.
Nel 2006, l’organizzazione Hamas ha
vinto le elezioni della Anp. Il suo trionfo è stato dovuto al fatto che ancora
manteneva nel suo programma la proposta della fine dello Stato di Israele e l’appello
a lottare contro di esso. La vittoria elettorale di Hamas ha messo in crisi la
politica degli Accordi di Oslo ed ha mostrato il rifiuto maggioritario del
popolo palestinese di detti accordi. Ha evidenziato anche il profondo
logoramento della direzione di Mahmud Abbas e di Al Fatah, trasformata oggi in
un agente incondizionato di Israele e dell’imperialismo.
Al di là degli intenti
conciliatori di Hamas, che, a metà del 2007, ha fatto appello a formare un “governo di
unità nazionale” con Al Fatah, la situazione è sfociata in scontri aperti fra
entrambe le forze ed in un colpo di stato organizzato da Abbas per sostituire
Hamas e prendere il controllo totale del governo. La reazione delle masse di
Gaza ha spinto Hamas ad espellere da questo territorio l’apparato militare di
Abbas e la polizia di Al Fatah. È stato un grande trionfo delle masse
palestinesi perché hanno liberato Gaza dal controllo di Israele e dei suoi
agenti, trasformandola così, nei fatti, in un territorio palestinese
indipendente, quantunque in condizioni di isolamento molto difficili.
Sconfiggere Gaza a qualsiasi prezzo
Questa situazione era del tutto
intollerabile per uno Stato come Israele, che ha iniziato un’azione combinata
di attacchi militari, prima per distruggere le infrastrutture per la
generazione di elettricità e per la somministrazione di acqua e dopo con
bombardamenti diretti sulla popolazione civile ed un embargo serrato per
impedire l’ingresso di alimentari, medicinali e combustibili. Occorreva
sconfiggere a qualsiasi costo la resistenza del popolo di Gaza obbligandolo ad
arrendersi.
L’estrema crudeltà di questa
politica israeliana, il suo embargo ed i suoi attacchi genocidi, non sono altro
che la continuità dei numerosi crimini che i sionisti hanno commesso nei
sessant’anni di esistenza di Israele. Questa politica ricorda, sotto vari
aspetti, quella che i nazisti usarono contro gli ebrei, durante la Seconda Guerra
Mondiale, specialmente la creazione del Ghetto di Varsavia che, nel 1943, si
sollevò contro l’occupazione nazista. Addirittura, un ministro del governo
israeliano di Ehmed Olmert, è arrivato a parlare di fare un “olocausto” a Gaza.
Però, se la sollevazione del
Ghetto di Varsavia fu violentemente schiacciata, la resistenza delle masse di
Gaza si mantiene in tutta la sua forza. Pochi mesi fa, esse sono giunte ad
abbattere i muri di una parte della frontiera con l’Egitto ed hanno obbligato
il governo di questo paese, la dittatura proimperialista di Hosni Mubarak, a
lasciar passare, per qualche tempo, la popolazione palestinese affinché si
approvvigionasse di alimentari e medicinali. Al tempo stesso, questa resistenza
prosegue anche in un attacco fatto con missili approssimativi contro il
territorio israeliano e riesce a tenere testa ad alcune incursioni delle forze
militari sioniste, come nel caso dell’imboscata in cui sono stati uccisi tre soldati
israeliani.
60 anni dopo, l’unica soluzione continua
ad essere una Palestina unica, laica, democratica e non razzista
[quarto articolo]
La Lit-Ci rivendica che l’unica
soluzione reale alla situazione di conflitto permanente della regione è la
costruzione di una Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista, parola d’ordine
fondativa dell’Olp, nel decennio del 1970.
Ci opponiamo alla proposta dell’Onu
dei “due Stati”, uno ebreo ed un altro palestinese, rivendicata, con qualche
variante, da diverse organizzazioni di sinistra. In primo luogo, questo “Stato
palestinese”, limitato alla Striscia di Gaza e ad una parte della Cisgiordania,
non avrebbe nessuna possibilità reale di autonomia economica o politica. L’accettazione
di questo “mini-Stato” significherebbe, inoltre, negare il “diritto al ritorno”
nella loro patria dei milioni di rifugiati poiché le loro case e terre
espropriate permarrebbero in Israele. Dal punto di vista militare, questo
piccolo Stato vivrebbe assediato da una permanente minaccia di aggressione da
parte di un nemico armato fino ai denti.
In questa Palestina Unica, Laica,
Democratica e Non Razzista, senza muri né campi di concentramento, potranno
ritornare i milioni di rifugiati espulsi dalla loro terra e recupereranno i
loro pieni diritti i milioni che vi rimasero e che oggi sono oppressi.
Potranno rimanere in essa anche
tutti gli ebrei che siano disposti a convivere in pace ed in eguaglianza. In
questo senso, facciamo appello ai lavoratori ed al popolo israeliano ad
aggiungersi a questa lotta contro lo Stato razzista e gendarme di Israele.
Benché sappiamo che, per il carattere della maggioranza della popolazione ebrea
e israeliana che abbiamo segnalato, è molto probabile che solo una minoranza
accetti questa possibilità e che la grande maggioranza sarà disposta a difendere
fino alla fine, con le armi in pugno, l’attuale Stato sionista.
Però la costruzione di questa
Palestina unita, basata su un recupero del suo territorio storico, ha il suo
principale ostacolo nell’esistenza dello Stato di Israele, come enclave coloniale
e stato gendarme dell’imperialismo. Per questo, La Lit-Ci afferma che non vi sarà
pace in Medioriente, né un’autentica soluzione per il popolo palestinese, fino
a che lo Stato di Israele non venga definitivamente sconfitto e distrutto.
Cioè, fino a che il cancro imperialista che corrode la regione non sia
estirpato definitivamente. Qualsiasi altra soluzione significa la sopravvivenza
del “cancro” e la continuazione della sua azione letale e distruttiva. Questo
compito storico, equivalente a quello che fu la distruzione dello stato nazista
tedesco o di quello dell’apartheid sudafricano, è all’ordine del giorno.
Al tempo stesso, la Lit-Ci afferma che la lotta
per una Palestina Laica, Democratica e non Razzista è una parte fondamentale
delle lotte delle masse arabe ed un passo verso la costruzione di una
Federazione Socialista delle Repubbliche Arabe.
È possibile sconfiggere Israele
Fino ad alcuni anni fa, il
compito di sconfiggere Israele sembrava impossibile, dopo le sue schiaccianti
vittorie militari fino al 1973. Questa è stata la scusa che hanno utilizzato
molti governi arabi e la direzione di Al Fatah per giustificare la propria
capitolazione ad Israele ed il loro tradimento della causa palestinese.
Sappiamo che la lotta contro un’usurpazione
coloniale è sempre molto difficile. Per esempio, l’indipendenza dell’Algeria
richiese anni di ribellione popolare, azioni di guerriglia ed una campagna
mondiale di appoggio per ottenere di sconfiggere non solo l’esercito francese
ma anche i gruppi fascisti, come l’Oas, ed obbligare i coloni imperialisti
francesi ad accettare la loro sconfitta.
Però la realtà è molto cambiata
dal 1973: le due Intifada palestinesi e la ritirata dal Libano, nel 2000, sono
stati i primi sintomi dell’indebolimento di Israele. In modo ancora più
evidente, la sconfitta delle truppe sioniste nel Libano di fronte alla
resistenza diretta da Hezbollah, nel 2006, ha posto la sconfitta e la fine dello
Stato di Israele come un compito possibile ed attuale.
Un indebolimento che si è
espresso anche nella reazione della popolazione israeliana e nella profonda
crisi politica che si è aperta nel paese. Per la prima volta, l’esercito sionista
è uscito chiaramente sconfitto e logorato dal suo fallimento, mettendo in
dubbio la sicurezza, fino ad allora assoluta, che esso era “invincibile” di
fronte a possibili insurrezioni ed attacchi armati dei popoli arabi.
Al tempo stesso, l’immagine
mondiale del sionismo, come un movimento “progressista” e, perfino, “socialista”,
crolla miseramente, mostrando la sua autentica natura. La distruzione causata
nel Libano e l’azione genocida a Gaza hanno fatto sì che sempre più spesso
intellettuali e settori medi, che prima simpatizzavano con Israele, ora lo
critichino e lo denuncino con forza. Ciò ha permesso campagne di boicottaggio
molto più efficaci, come in Inghilterra, ed azioni vittoriose, in Spagna,
contro concerti musicali promossi da Israele. L’isolamento del sionismo è
sempre più crescente nel mondo, specialmente nei settori operai e nei movimenti
sociali.
Quest’indebolimento, inoltre, si
produce nel quadro di una crescente crisi della politica di Bush nella regione
(la “guerra contro il terrore”), impantanata in Iraq ed in Afganistan e
profondamente messa in discussione negli stessi Usa. Israele è un tassello chiave
del dispositivo militare imperialista in Medioriente e, come tale, sarà difeso
fino all’ultimo dagli Usa. Però questa complessiva situazione apre una nuova
occasione nella regione, perfino sul terreno militare.
L’appoggio della popolazione
egiziana ai palestinesi che cercavano di approvvigionarsi e l’impossibilità
dell’esercito egiziano di reprimerli; l’utilizzo, da parte dei gruppi della
resistenza palestinese a Gaza, di tattiche ed armi come quelle usate con
successo da Hezbollah in Libano; tutto ciò mostra che la situazione si fa più
acuta in tutta la regione.
Questi fatti rendono possibile ed
attuale il compito storico di sconfiggere lo Stato razzista di Israele, a
sessant’anni dalla sua creazione. La condizione per questo è lo sviluppo di una
lotta politica e militare unificata del popolo palestinese e dell’insieme delle
masse arabe e musulmane. La
Lit-Ci impegna tutte le proprie forze in appoggio a questo
compito.
San Paolo,12 maggio 2008
Segretariato Internazionale della Lit-Ci