L'imperialismo, fase suprema del capitalismo
Una lettura sempre attuale
L’imperialismo, fase suprema del capitalismo
Note critiche sul saggio di Lenin: un testo popolare per capire il mondo "globalizzato"
Susanna Sedusi
Lenin scrisse L’imperialismo tra il 1914 e il 1915, allorché si trovava in esilio in Svizzera, a Berna e poi a Zurigo. Nel pieno della prima guerra mondiale egli indicò la necessità di dare un giudizio veramente completo sulla guerra, andando a studiare approfonditamente la sostanza economica e politica dell’imperialismo. Lo scritto ha la forma del saggio popolare ed è ricco di riferimenti agli studi degli economisti borghesi e piccolo-borghesi dell’epoca (1) i quali avevano già individuato le caratteristiche fondamentali dell’imperialismo, sviluppatesi compiutamente nel primo decennio del XX secolo.
I caratteri dell'imperialismo
I) Rapidissimo processo di concentrazione della produzione in imprese sempre più ampie e la costituzione di monopoli. Questo fenomeno è osservabile specialmente in Germania e negli Stati Uniti d’America. L’esistenza di aziende di enormi dimensioni con rami di produzione combinati tra loro favorisce reciproci accordi e formazione di monopoli, cartelli, trust. “I cartelli si mettono d’accordo sulle condizioni di vendita, i termini di pagamento, ecc. Si ripartiscono i mercati. Stabiliscono le quantità delle merci da produrre. Fissano i prezzi. Ripartiscono i profitti tra le singole imprese ecc” (2). La concorrenza in questa fase di sviluppo del capitalismo diventa monopolio (anche se continua ad esistere) e rende possibile un enorme processo di socializzazione della produzione: in particolare delle invenzioni, della loro applicazione ai processi produttivi, del controllo delle fonti di materie prime, dei mezzi di comunicazione e dei trasporti, ecc. I profitti invece rimangono privati e aumenta a dismisura sia lo spadroneggiare dei cartelli sulle aziende minori come pure lo scontro tra di essi per l’egemonia sui mercati internazionali.
II) Processo di centralizzazione e concentrazione delle banche: esse, da semplici intermediari nei pagamenti, cominciano a trasformare il capitale inattivo in capitale che produce profitto con la raccolta delle rendite in denaro e il loro investimento nelle aziende produttive. “Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industriali, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi”.(3) Infatti, gli istituti di credito mediante le operazioni bancarie e finanziarie con le aziende (tenuta dei conti correnti e altre operazioni) sono informati sull’andamento degli affari dei singoli industriali e dei gruppi, possono controllarli concedendo loro finanziamenti o restringendo il credito, possono, in poche parole deciderne la sorte. La fusione tra banche, cioè la costituzione di consorzi di dimensioni sempre maggiori determina, la concentrazione di enormi capitali finanziari nelle mani di pochi oligarchi ed è la causa della miseria delle masse popolari e del sempre maggiore ritardo nello sviluppo dell’agricoltura. Un ulteriore sviluppo di tale processo è l’unione personale delle banche con le maggiori imprese industriali e commerciali e con le istituzioni borghesi. Tutto ciò avviene attraverso la partecipazione di funzionari di banca ai consigli d’amministrazione delle società e/o viceversa con la nomina di imprenditori, esperti di economia aziendale e di mercato, presso le istituzioni bancarie nonché attraverso la nomina di entrambe le suddette figure a cariche istituzionali nei governi borghesi locali e nazionali.
III) Si giunge pertanto ad una sorta di simbiosi tra capitale produttivo e capitale bancario e alla trasformazione delle banche in istituzioni di carattere universale, cioè al dominio di un’oligarchia finanziaria. Questo dominio è particolarmente evidente se si prende in considerazione il sistema della partecipazione alle aziende tramite il possesso delle azioni. Basta il possesso di una parte delle azioni (40%) di una società madre per avere in realtà il controllo su società a loro volta possedute in parte dalla prima (società figlie, nipoti ecc.) per avere, con un capitale limitato, il controllo di un elevato numero di aziende. Non è affatto vero che la partecipazione diffusa al capitale da parte di azionisti piccoli costituisce una sorta di democratizzazione del sistema capitalistico (come sostengono i riformisti di ogni epoca), è vero semmai il contrario in quanto i piccoli azionisti non riescono mai a contare nelle decisioni quanto i grandi.
IV) L’esportazione di capitale. Essa diventa mezzo per favorire anche l’esportazione delle merci, spinge alla massima concorrenza tra gruppi capitalistici , causa guerre per la spartizione del mondo (guerre coloniali), per ottenere maggiori profitti, per conquistare il monopolio delle fonti di materie prime.
V) Nell’epoca dell’imperialismo il capitale finanziario ha profitti molto maggiori del capitale commerciale e industriale. Questi profitti si concentrano in alcuni Paesi che hanno il dominio monopolistico dei capitali finanziari. In questi Stati aumenta considerevolmente il ceto sociale che vive esclusivamente dei profitti ottenuti da rendita finanziaria, esso è chiamato il ceto dei rentier.rentiers, ovvero creditori verso una massa di paesi debitori. Oltre al ceto dei rentiers, nell’epoca dell’imperialismo, si forma uno strato superiore di lavoratori - corrotti dai margini di profitto che i capitalisti riescono ad elargire - chiamato anche aristocrazia operaia, che si pone accanto alla borghesia e piccola-borghesia in quanto a tenore di vita e rafforza l’opportunismo e il socialsciovinismo in seno al movimento operaio. Accanto al proletariato, nei paesi imperialisti aumentano i lavoratori immigrati dai paesi più arretrati, che percepiscono salari inferiori. Questi stati ottengono enormi profitti dall’esportazione di capitali e questa diventa la loro principale funzione, cioè quella di stati
La polemica con riformisti e opportunisti
Nell’ultima parte dell’Imperialismo Lenin affronta la critica propriamente politica alle correnti riformiste e.opportuniste nel movimento operaio. I suoi attacchi sono rivolti principalmente contro Kautsky, dirigente della socialdemocrazia tedesca. Contro l’imperialismo egli infatti proponeva un ritorno alla libera concorrenza e alla democrazia, contro l’occupazione coloniale propugnava l’azione pacifica del capitale; formulò la teoria dell’ultra-imperialismo intendendo con ciò essere auspicabile una fase di sviluppo del capitalismo in cui, al posto dello scontro tra capitali finanziari nazionali, si sviluppasse il pacifico sfruttamento nel mondo da parte del capitale finanziario unificato. Contro tutto questo armamentario polemizzò Lenin sostenendo che le alleanze imperialiste sono solo una pausa tra una guerra e l’altra; che “le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre forme si determinano reciprocamente e producono, su di un unico e identico terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell’economia mondiale e della politica mondiale, l’alternarsi della forma pacifica e non pacifica della lotta” (4).
L’imperialismo e le guerre coloniali che esso porta con sé sono la soluzione della borghesia alle forti tensioni sociali interne ai paesi capitalisti più sviluppati. Svelare tali contraddizioni è compito dei marxisti rivoluzionari, mentre denunciare la violenza delle annessioni coloniali, come fa Kautsky, è puro riformismo e pacifismo piccolo-borghese.
Per finire Lenin indica nel suo scritto quale posizione occupa l’imperialismo nella storia e afferma che “il monopolio, nato sul terreno della libera concorrenza, e proprio dalla libera concorrenza, è il passaggio dall’ordinamento capitalista a un più elevato ordinamento sociale ed economico” (5). Questo processo interessa i paesi dove il capitalismo ha origini più vecchie e i paesi che a mano a mano vengono attratti all’interno del sistema capitalistico. Nella fase del capitalismo monopolistico cioè dell’imperialismo il capitalismo si sviluppa molto velocemente ma il suo sviluppo da origine a differenze marcate tra paesi, a scontri per l’egemonia, a nuove guerre per la spartizione del mondo in cui, accanto alla borghesia si schierano settori del movimento operaio, guidati dai socialsciovinisti e opportunisti piccolo-borghesi. Questo legame tra imperialismo e opportunismo va denunciato a gran voce se non si vuole che la lotta contro l’imperialismo diventi solo una vuota parola d’ordine.
Note
(1) J.A. Hobson, Imperialismo, Londra, 1902 e R.Hilferding, Il capitale finanziario, Vienna, 1910.
(2) V.I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, Opere complete, Vol. XXII, Ed. Riuniti, 1966, p. 204.
(3) Ivi, p. 211.
(4) Ivi, p. 295.
(5) Ivi, p. 298.