DOCUMENTO A TESI
RIFONDARE L'OPPOSIZIONE DEI LAVORATORI
COSTRUIRE IL PARTITO RIVOLUZIONARIO
"E' arrivato il momento di costruire un partito autonomo.
Dobbiamo fondare un partito che
si contrapponga ai partiti pseudo-comunisti che abusano della parola
comunismo per ingannare le masse e che operano invece in accordo con le
classi dominanti.
Dobbiamo costruire un partito
che rappresenti gli interessi dei lavoratori. Un partito con un
programma rivoluzionario, nel quale gli obiettivi e i mezzi per
raggiungerli siano scelti con intransigenza e fermezza incrollabile.
Un partito nel quale tutto sia in funzione degli interessi della rivoluzione socialista."
Karl Liebknecht, 1918.
COSA VOGLIAMO DIRE CON QUESTE TESI. PREMESSA
L'esigenza di costruire un
partito rivoluzionario su scala internazionale e nazionale deriva da
alcuni elementi che possono essere così riassunti:
1) il modo di produzione
capitalistico non è più in grado di offrire all'umanità nessuna
prospettiva di progresso, esso è da tempo entrato nell'epoca del suo
declino storico. La sua sopravvivenza anacronistica può avvenire solo
al prezzo di continue guerre di rapina con cui i Paesi imperialisti si
appropriano delle risorse dei Paesi dipendenti; e con un crescente
grado di sfruttamento dei lavoratori salariati degli stessi Paesi a
capitalismo avanzato. E' in costante crescita la polarizzazione
economica su scala mondiale tra Paesi avanzati e Paesi dipendenti; e,
all'interno di ciascun Paese, tra i
pochi che detengono immense ricchezze e i molti che sopravvivono con bassi salari.
Guerre militari e guerre sociali
costituiscono oggi più che mai i tratti caratteristici di un sistema la
cui permanenza, in assenza di una alternativa socialista, condurrà alla
distruzione delle risorse del pianeta e del pianeta stesso e a nuovi e
più estesi conflitti armati, in futuro necessariamente anche tra gli
stessi blocchi imperialistici, oggi in guerra solo sul piano
commerciale ma domani contrapposti anche sul piano militare per la
conquista di nuovi sbocchi di mercato, con effetti facilmente
immaginabili. In questo senso il capitalismo rischia di costituire
davvero "la fine della storia": ma non nel senso attribuito a questa
espressione dall'ideologo Fukuyama dopo l'89, non cioè nel senso di
tappa definitiva e punto di arrivo superiore: ma in quello di tragica
fine per il genere umano.
2) bloccando lo sviluppo della
civiltà umana a un grado arretrato, il sistema capitalistico impedisce
nei fatti un progresso socio-economico corrispondente alle attuali
conoscenze scientifiche e tecnologiche - peraltro a loro volta frenate
da un sistema che investe solo su quanto produce profitto.
Con l'applicazione tecnica delle
conoscenze attuali l'uomo potrebbe essere liberato dal lavoro.
L'impiego delle tecnologie moderne in una economia pianificata (e
quindi sottratta all'anarchia economica capitalistica) consentirebbe
già oggi di eliminare su scala internazionale la disoccupazione, di
distribuire il lavoro tra tutte le forze disponibili, di ridurre a
poche ore la settimana le ore lavorative necessarie per ogni uomo.
Il sistema attuale, invece, non
può sopravvivere senza alimentare la disoccupazione; senza
intensificare i ritmi di sfruttamento; senza accrescere l'alienazione e
il suo corredo di malattie fisiche e psicologiche (in aumento
nonostante il relativo progresso medico); senza contrapporre i
proletari tra loro dividendoli e dominandoli per distinzioni di sesso e
di etnia.
3) nel suo
sviluppo il capitalismo è costretto ad alimentare, con lo sfruttamento
di classe anche la reazione della classe sfruttata. La lotta di classe
- di là dalle ridicole e ricorrenti teorizzazioni di una sua scomparsa
- continua a infiammare ogni angolo del pianeta. Essa è ineliminabile
in una società divisa in classi e può concludersi solo o con la
vittoria del proletariato (cioè della stragrande maggioranza
dell'umanità, composta da salariati) o con l'ulteriore incancrenimento
del capitalismo e con la conseguente "comune disfatta delle due classi
in lotta" (Marx).
Il succedersi periodico di fasi
di ascesa della lotta di classe e di suo riflusso, prima in un Paese e
poi in un altro; le crisi economiche e politiche che si rincorrono da
un Paese all'altro; gli scontri di piazza, le guerre civili, le
rivoluzioni che si alternano a fasi di ristagno o riflusso delle lotte,
confermano che la possibilità di rovesciare questo sistema sociale è
inscritta nella sua stessa natura, nell'impossibilità di un suo
pacifico sviluppo, nell'inevitabile ribellione delle forze produttive
contro i rapporti di produzione.
4) ogni variante politica del
capitalismo, di là da differenze superficiali, risponde ai criteri qui
descritti, che sono determinati dalla natura di classe di questo
sistema socio-economico che si riflette inevitabilmente tanto sui
regimi reazionari come su quelli cosiddetti "progressisti", tanto sui
governi di destra o centrodestra come su quelli di "sinistra" o
centrosinistra.
La lista ormai lunga di
esperimenti di governo sedicenti progressisti - in tutte le varianti
possibili - in ognuno dei continenti anche solo considerando gli ultimi
vent'anni è eloquente: la Francia di Jospin, il Brasile di Lula, il
Sudafrica di Mbeki, il "nuovo kennedysmo" di Clinton negli Usa, Blair
in Gran Bretagna, Schroeder in Germania, la Spagna di Zapatero e le
tante esperienze di "centro-izquierda" in America Latina (a partire
dall'Argentina), ecc. La politica sostanziale di questi governi si è
distinta da quella dei governi di destra o centrodestra solo in aspetti
secondari o nella terminologia impiegata per descrivere le medesime
politiche: le politiche necessarie per salvaguardare i profitti delle
classi dominanti imponendo al proletariato il costo delle crisi
economiche ricorrenti.
5) i governi "progressisti" si
sono caratterizzati dunque non tanto per l'introduzione di un
"capitalismo dal volto umano" - che non può esistere - ma piuttosto per
il tentativo di spezzare o prevenire la reazione delle classi
subalterne coinvolgendo nel governo partiti operai e sindacati, per
tentare (a seconda dei casi) di disarmare conflitti che talvolta hanno
raggiunto livelli pre-rivoluzionari (come è successo in Argentina) o di
prevenire i conflitti (è il caso dell'Europa specialmente) imponendo
una "pace sociale", che in regime capitalistico significa soltanto il
disarmo politico e ideologico di una delle due parti (ovviamente gli
sfruttati).
E' su queste stesse linee che si
sta muovendo il neonato secondo governo Prodi in cui è confluito - con
il ruolo di ammortizzare le lotte - Rifondazione Comunista, un partito
cui molti di noi hanno partecipato per anni, uscendone nel momento del
suo definitivo abbandono - anche formale - del progetto di "rifondare"
un partito dalla parte dei lavoratori.
Le manovre finanziarie del nuovo
governo italiano, le missioni militari coloniali che prepara confermano
che il suo ruolo è determinato dalla natura di classe del blocco
sociale che lo sostiene: un governo della grande borghesia imperialista
italiana impegnato nella guerra contro gli operai all'interno e nella
guerra contro i Paesi dipendenti all'estero (dall'Afghanistan al
Libano). In questo quadro, il tentativo di Rifondazione di costruirsi
come partito "socialdemocratico" (cioè garante della collaborazione di
classe ma anche di una qualche redistribuzione delle briciole del
sistema) risulta non solo inconciliabile con la prospettiva comunista
ma financo velleitario.
6) il
primo livello della lotta politica consiste dunque per i comunisti nel
lavoro costante in ogni lotta, movimento, sindacato, per propagandare e
costruire un'azione autonoma della classe operaia: autonoma dalla
classe avversaria e dai suoi governi di qualsivoglia colore politico.
E' la battaglia per difendere e
sviluppare una opposizione di classe intransigente contro ogni governo,
nazionale o locale, della borghesia; e dunque è la battaglia per
l'autonoma azione dei comunisti in contrapposizione a ogni schieramento
politico o elettorale con i partiti liberali. Una battaglia che sappia
articolare parole d'ordine immediate e di prospettiva, che concili lo
sviluppo delle lotte per rivendicazioni "minime" (occupazione, salario,
pensioni, ritmi di lavoro, ecc.) con la propaganda dell'unico altro
sistema economico, politico e sociale - il socialismo - in grado di
soddisfare le esigenze immediate e future della stragrande maggioranza
dell'umanità.
7) la battaglia per una
alternativa reale, di società, richiede non tanto l'auspicio di nuove
lotte - che, come detto, ciclicamente si riaccendono - ma la
costruzione di quello che finora è mancato: un partito in grado di
condurre queste lotte alla vittoria reale dei lavoratori, cioè alla
conquista del potere per l'instaurazione di un governo "degli operai
per gli operai" (Marx), cioè una dittatura del proletariato.
Nessuna lotta parziale, nessun
movimento possono svilupparsi in senso rivoluzionario e socialista in
assenza di un partito d'avanguardia basato sui fondamenti
programmatico-organizzativi del marxismo. Un partito radicato tra i
lavoratori e le classi sfruttate, un partito che sta in ogni lotta e in
ogni mobilitazione per svilupparla, per portare i lavoratori alla
comprensione che l'unico risultato vero e definitivo si può ottenere
nell'indipendenza di classe sviluppando l'opposizione alla borghesia e
ai suoi governi, propagandando incessantemente una alternativa di
classe, cioè un governo operaio; un partito organizzato sulla base del
centralismo democratico, fortemente coeso e disciplinato, basato su
quadri militanti e su una elaborazione e direzione collettiva (nulla a
che fare, dunque, con il partitino di Ferrando che cerca di raggruppare
un blocco senza principi politici intorno a un leader-guru, cioè
l'ennesima inutile setta).
8) noi ci definiamo marxisti
rivoluzionari, cioè trotskisti (perché il trotskismo è il marxismo
rivoluzionario della nostra epoca) perché vogliamo sviluppare un
programma. Un programma che solo il trotskismo conseguente ha difeso in
questo secolo contro la socialdemocrazia e contro lo stalinismo. Solo
il trotskismo ha difeso il programma fondamentale del comunismo, che
Lenin diceva può essere sintetizzato in poche parole: dittatura del
proletariato.
9) la prospettiva rivoluzionaria
è internazionale. Il "socialismo in un Paese solo" - che è stata più
che una teoria, la copertura degli interessi della burocrazia
stalinista che poteva sopravvivere solo nell'isolamento della
rivoluzione russa - è una contraddizione in termini.
Ma la prospettiva rivoluzionaria
su scala mondiale è possibile solo costruendo quella Internazionale
marxista rivoluzionaria che oggi non esiste, la Quarta Internazionale:
laddove il numero riassume un programma e un patrimonio a cui non
rinunciamo e quindi le basi da cui ripartiamo. Ciò può essere fatto a
partire dalla unificazione su basi programmatiche coerentemente
trotskiste delle forze rivoluzionarie che in ogni Paese si muovono
nella prospettiva comunista.
Questo è il senso delle Tesi che
qui presentiamo e del lavoro politico che stiamo sviluppando in questi
mesi di battaglia politica e di confronto congressuale in vista del
congresso fondativo di un nuovo partito.
Perché questo progetto - il
progetto comunista - possa svilupparsi e realizzarsi, sarà necessario
il concorso di centinaia e di migliaia di militanti rivoluzionari. Oggi
noi siamo solo a un primo stadio di questo lavoro: ma i possibili
sviluppi della nostra costruzione nei prossimi mesi potrebbero offrirci
una possibilità concreta di compiere, in poco tempo, dei passi avanti
molto lunghi.
Ci dovremo scontrare con gli
scettici, certamente. Lo scetticismo è una malattia antica nel
movimento operaio. Sono scettici quelli che ti dicono: sì, hai ragione
su tante cose, ma come si fa? Noi sappiamo che ci proponiamo cose
difficili eppure se non siamo scettici non siamo nemmeno sciocchi.
Pensiamo di poterci riuscire, in questa impresa, per una serie di
motivi.
Primo. Perché si libera in
Italia uno spazio storico che per anni è stato occupato abusivamente.
Per decenni c'è stato un tappo ostruente la costruzione di un partito
rivoluzionario: lo stalinismo. E dopo il crollo dello stalinismo c'è
stato un tappetto più piccolo, il Prc. Siamo stati in quel partito non
pensando mai di spostarne gli equilibri interni, ma per raggruppare, su
un programma alternativo a quello riformista del suo gruppo dirigente,
militanti e giovani. E qualcosa siamo riusciti a fare, visto che oggi
siamo qui. Oggi il Prc libera quello spazio e va a prendere lo spazio
che compete ai riformisti. Non è più - nemmeno nei simboli e nelle
forme (non lo è mai stato nella sostanza) - un partito di opposizione
di classe. Diventa a pieno titolo un partito di governo a braccetto coi
banchieri. E questo è il primo elemento - lo spazio politico nuovo -
che ci fa credere di poterci provare.
Secondo. Pensiamo che questo
spazio politico si allargherà. Il governo Prodi si prepara a sferrare
un attacco pesantissimo ai lavoratori con la finanziaria d'autunno.
Quell'attacco produrrà una reazione. E' necessario che una
organizzazione, anche piccola, pianti subito oggi la bandiera
dell'opposizione per poter essere visibile nelle lotte di domani.
Terzo. Possiamo partire con un
patrimonio di centinaia di quadri in grado di affrontare l'impresa: con
tanti giovani, tante energie fresche pronte alla lotta.
Quarto. Pensiamo di avere infine
un'arma segreta... Che poi tanto segreta non è: il marxismo
rivoluzionario. Qualcosa che manca ed è mancato alle tante
organizzazioni e sette che pure sono state in questi anni e stanno
fuori dal Prc. Non è un patrimonio di cui vogliamo l'esclusiva: è il
patrimonio di lotte, di sconfitte e di vittorie del movimento
rivoluzionario di due secoli e noi vogliamo farlo diventare la bandiera
di una nuova generazione di rivoluzionari.
Questa è la proposta che
avanziamo a tutti i militanti comunisti che vogliono contribuire a
risolvere la crisi storica dell'umanità partendo dal compito immediato:
il processo -lungo, difficile ma indispensabile- di costruzione di un
partito comunista rivoluzionario.
Tesi 1 - LA BARBARIE DEL CAPITALISMO E L'ATTUALITA' DEL SOCIALISMO
Il capitalismo si basa sullo
sfruttamento della forza-lavoro, sulla mancata retribuzione agli operai
del lavoro effettivamente svolto: questa legge è valida ancora oggi. La
barbarie del capitalismo si esprime nella concentrazione delle
ricchezze in una ristretta minoranza di capitalisti, a danno della
maggioranza della popolazione mondiale costretta a subire una realtà
fatta di miseria, disoccupazione, precarietà. A livello internazionale,
il capitale finanziario traduce la propria volontà di dominio in guerre
di rapina per la spartizione delle zone d'influenza. Solo la
rivoluzione socialista mondiale, resa possibile dallo sviluppo delle
forze produttive, può salvare l'umanità dalla catastrofe.
Il capitalismo del terzo
millennio non presenta, a livello strutturale, caratteri diversi da
quelli individuati da Marx ed Engels nel XIX secolo: oggi come ieri, è
lo sfruttamento del lavoro la molla che fa muovere l'economia borghese.
I profitti della borghesia, cioè del padronato, anche oggi hanno come
unica fonte l'estorsione del plusvalore, ossia la non totale
retribuzione agli operai del lavoro effettivamente svolto. La barbarie
del capitalismo si esprime anzitutto nell'esistenza di una ristretta
minoranza di capitalisti che concentra nelle proprie mani immense
ricchezze, ricavate dallo sfruttamento selvaggio della stragrande
maggioranza della popolazione costretta a livelli di vita sempre più
indigenti.
Nel corso del Novecento, il
capitale ha sostituito alla libera concorrenza il monopolio, con il
conseguente dispiegamento di politiche imperialiste: le guerre
coloniali, che hanno segnato la quotidianità degli ultimi due secoli,
non sono altro che il risultato della competizione del capitale
finanziario per la definizione delle rispettive sfere d'influenza. Ieri
come oggi, capitalismo significa a livello internazionale guerra,
rapina, brigantaggio, oppressione coloniale; all'interno delle singole
nazioni miseria, disoccupazione, precarietà, discriminazione.
Gli apologeti - liberali e
socialdemocratici - del capitalismo ci spiegano che "le classi non
esistono più"; ci dicono che ogni ipotesi di trasformazione in senso
socialista della società è stata seppellita definitivamente dalla
storia; invitano le masse proletarie ad accontentarsi delle briciole e
a sopportare miseria e sofferenze per la ricchezza di pochi. Si tratta
di deliberate mistificazioni, elaborate nel nome di chi vuole che i
lavoratori, i giovani, gli oppressi continuino a pagare la crisi del
capitalismo, che sempre più mostra di essere arrivato alle soglie della
putrefazione. La borghesia, che ha celebrato il crollo dell'Urss e
degli altri Stati operai degenerati quale definitiva vittoria del
capitale, non può sfuggire agli effetti di un'economia basata sullo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo: ripetute crisi congiunturali,
bancarotte, collassi finanziari rendono sempre più instabile il sistema
economico e sociale.
Nei Paesi a capitalismo
avanzato, i governi di centrodestra e di centrosinistra tentano
inutilmente di porre un freno all'agonia del capitale, sia attraverso
politiche neoliberiste (con pesanti attacchi al costo del lavoro:
riduzione dei salari, precarizzazione dei rapporti lavorativi, tagli
allo stato sociale), sia tramite politiche di aggressione coloniale e
di sostegno all'industria bellica. Come da copione in un contesto
capitalistico, sono i lavoratori, in particolare le giovani generazioni
operaie, a pagare le spese alla borghesia: la realtà quotidiana della
stragrande maggioranza dei giovani, tanto più se donne o immigrati, è
fatta di disoccupazione, insicurezza lavorativa, retribuzioni
miserrime, flessibilità estrema dei tempi di lavoro, contratti precari,
assenza di prospettive per il futuro.
Il dispiegarsi su larga scala di
politiche di aggressione coloniale - in particolare in Medio Oriente -
e la restaurazione capitalistica nei Paesi dell'Est ha reso più
drammatico il fenomeno dell'immigrazione nei Paesi dell'Europa
occidentale: dopo una prima fase di sfruttamento selvaggio di
forza-lavoro immigrata - in virtù della maggiore ricattabilità della
stessa - sempre più il capitalismo in crisi non riesce ad assorbire il
fenomeno migratorio, con la conseguente esplosione di fenomeni di
intolleranza razziale. Per molte centinaia di migliaia di immigrati, la
strada obbligata è fatta di clandestinità, criminalità, miseria: si
tratta di fenomeni che creano forti contrapposizioni all'interno del
proletariato, con la diffusione tra i lavoratori di atteggiamenti
razzisti, di cui la borghesia si serve per consolidare la propria
egemonia.
Similmente, i diritti delle
donne subiscono attacchi sempre più pesanti, sia per il perdurare del
blocco strategico tra Chiesa e borghesia, sia per il progressivo
smantellamento dei servizi sociali (asili, ospizi, ospedali ecc), che,
associato all'aggravarsi della disoccupazione, relega sempre più le
donne al ruolo della mera riproduzione sociale: in questo quadro si
inseriscono i ripetuti tentativi, da parte dei governi borghesi, di
mettere in discussione anche alcune conquiste minimali ottenute dai
movimenti delle donne degli anni Sessanta e Settanta, a partire dal
diritto di aborto.
A chi parla di "fine della
storia" e di "morte del socialismo", noi rispondiamo che senza la
rivoluzione socialista mondiale il capitalismo trascinerà l'umanità
intera nella catastrofe. Le premesse economiche della rivoluzione
socialista hanno raggiunto ormai il punto più alto possibile in un
contesto capitalista: occorre liberare le forze produttive dalle catene
dei rapporti di produzione che ne impediscono l'ulteriore sviluppo;
occorre cioè liberare il lavoro umano dalla proprietà privata dei mezzi
di produzione, che è la condizione di esistenza della borghesia e del
suo dominio. Solo un sistema economico basato sulla soddisfazione dei
bisogni sociali, sul controllo razionale della produzione permetterà lo
sviluppo armonico delle forze produttive, con l'instaurazione di una
società in cui "il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione per il
libero sviluppo di tutti". Il socialismo non solo è fattibile, ma è
necessario: è l'unica risposta possibile alla crisi storica
dell'umanità.
Tesi 2 - LA CRISI AMBIENTALE: IL CAPITALISMO DISTRUGGE IL PIANETA
Contaminazione dell'aria e
delle acque, degradazione dei suoli, deforestazione, perdita di
biodiversità, riscaldamento globale, distruzione della fascia di ozono,
effetto serra, crisi energetica, nocività delle fabbriche, sviluppo di
tecnologie ad alto rischio, problema dei rifiuti, agricoltura
avvelenata, caos urbanistico, esaurimento delle risorse naturali sono
il portato intrinseco del modo di produzione capitalistico che regola
le relazioni natura-società sulla logica del profitto e del libero
mercato.
La crisi ecologica è una sfida
con cui il movimento operaio e i comunisti devono saper fare i conti
sul piano teorico e su quello pratico sulla base di un proprio punto di
vista critico e autonomo e di una proposta politico-programmatica. In
tal senso è indispensabile, per lo sviluppo di strumenti adeguati per
affrontare i temi ambientali, il recupero della riflessione originaria
del marxismo sul nesso capitalismo-natura a partire dalla nozione
marxiana di "ricambio organico", che definisce i modi in cui la società
articola gli scambi materiali con la natura dai quali dipendono la sua
sopravvivenza e il suo sviluppo. Nel quadro dei rapporti capitalistici
di produzione, lo sviluppo delle forze produttive (cioè la popolazione
produttiva, i mezzi produttivi, le risorse naturali disponibili, le
conoscenze scientifiche e tecniche) - a cui si deve il "ricambio
organico" tra società e natura - tende a trasformarsi in sviluppo di
forze distruttive che degradano l'ambiente. Ciò per la riduzione a
merce del lavoro umano, dell'ambiente e delle risorse naturali. Da qui
la contraddizione fra la crescente socializzazione obiettiva delle
condizioni e delle forze di produzione (che rende possibile e
necessaria la loro pianificazione sociale) e il carattere privato della
loro appropriazione e gestione, motivata dal profitto.
A fronte della crisi ambientale
gli approcci di tipo etico-culturali e il riformismo ecologista
interclassista si mostrano inadeguati e impotenti. Non sarà certo
l'affermarsi nella società di una diversa coscienza dei problemi
ambientali e di nuovi valori ecologicamente orientati che modificherà i
comportamenti degli imprenditori e che influirà sulle politiche
pubbliche delle autorità statali. I capitalisti in genere contrastano
l'introduzione di normative anti-inquinamento e di vincoli ambientali
con l'argomento della "competitività" e l'aumento dei costi, con
conseguente diminuzione dei profitti e cercano costantemente di
eluderli o di aggirarli in tutti i modi, leciti ed illeciti. Piuttosto,
settori di capitalismo si sono, questi sì riciclati, dando vita al
settore dell'ecobusiness col mercato delle "merce ecologiche" e con quello delle "riparazioni ambientali" (il "business
dello sporca e ripulisci"). Ed è altrettanto illusorio affidarsi alla
regolazione dello Stato (keynesimo ecologico) non considerando i suoi
limiti intrinseci e il suo carattere di classe. Il modo di funzionare
di questo Stato, il suo sistema amministrativo ed esecutivo, la
sua struttura, la sua logica funzionale sono infatti complementari
all'economia capitalistica.
E' per questo che la questione
dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, della
rottura dell'apparato statale borghese, e la conquista del potere
politico da parte dei lavoratori e delle classi subalterne non può
essere elusa. Questa, infatti, rappresenta la condizione necessaria per
un'economia democraticamente pianificata nella quale la proprietà
sociale delle condizioni e delle forze produttive stabilisca "dove,
cosa, come, quanto e per chi produrre" realizzando la regolazione
cosciente e razionale del rapporto tra società e natura. Ma questa
proposta di prospettiva deve connettersi alla formulazione di obiettivi
immediati e transitori che possono spostare in avanti i rapporti di
forza, attivare il protagonismo di massa, far crescere la
consapevolezza collettiva, costruire gli strumenti
dell'autorganizzazione e della democrazia proletaria, embrioni di un
possibile contropotere a fronte degli apparati del dominio borghese. Un
sistema di rivendicazioni in grado di costruire un ponte tra la
coscienza data delle masse e la comprensione da parte loro della
necessità di rompere il quadro delle compatibilità capitalistiche e di
porre il problema del potere.
Indispensabile è
l'organizzazione degli operai di fabbrica, dei lavoratori dei servizi
pubblici e delle popolazioni in comitati di tipo consiliare che, quali
reali strumenti del controllo operaio e sociale sulle attività
produttive e sull'ambiente, rivendichino: l'acquisizione di tutti i
dati in possesso delle istituzioni pubbliche preposte al controllo
della sicurezza nei luoghi di lavoro e della qualità dell'ambiente, dal
momento che in uno Stato borghese, le amministrazioni e gli istituti
pubblici non sono neutrali ma al servizio dell'economia capitalistica;
la ripubblicizzazione sotto il controllo dei lavoratori del settore e
dei cittadini-utenti dei servizi pubblici privatizzati (acqua, rifiuti,
gas); la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo
operaio e popolare degli impianti di produzione dell'energia; la
collettività ne deciderà le caratteristiche tecniche e le modalità di
funzionamento; la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il
controllo operaio e popolare delle fabbriche (chimiche, farmaceutiche,
agroalimentari, ecc) che uccidono e inquinano per la loro riconversione
in cicli produttivi ecocompatibili che eliminino l'uso e la produzione
di agenti tossici e nocivi, a garanzia della salute dei lavoratori,
delle popolazioni e dell'ambiente; il principio della piena
responsabilità riguardo alle conseguenze sociali e ambientali delle
attività industriali: chi ha tratto profitti da produzioni inquinanti
deve pagare il ripristino dell'ambiente, la bonifica del sito, la
riconversione ecologica dell'apparato industriale e i danni prodotti
alla salute dei lavoratori e delle popolazioni.
Tesi 3 - LE GUERRE DELL'IMPERIALISMO
La teoria imperialista di
Lenin è ancora attuale. Gli ultimi eventi ci confermano che illusorio
non è lottare per la distruzione del capitalismo, ma coltivare utopie
di riforma di un sistema sociale che in tutta la sua esistenza ha
portato l'umanità in un pozzo di barbarie senza fine e che anche oggi
alimenta un numero crescente di guerre.
Sono passati novant'anni da
quando Lenin espresse in modo compiuto la sua teoria sull'imperialismo
ed essa rimane lo strumento migliore per interpretare il mondo
contemporaneo. In tutti questi anni, vari sono stati i tentativi di
confutarla, di relegarla al ruolo di bizzarra teoria superata dagli
eventi. Dopo il crollo dell'Urss, questi sforzi hanno trovato nuovo
slancio. Secondo alcuni presunti "teorici", l'analisi leninista sarebbe
superata in quanto ci troveremmo in presenza non di vari Paesi
imperialisti ma di una sola potenza imperiale, gli Usa. Inoltre,
sarebbe venuta meno l'importanza degli Stati nazionali, ridotti ad un
ruolo marginale rispetto all'importanza delle multinazionali o degli
organismi sovrannazionali. La conseguenza politica di tali teorie
"nuoviste", legata al fallimento del cosiddetto socialismo realizzato,
è quella di ritenere il riformismo l'unica via percorribile per
migliorare le sorti dell'umanità.
Si vagheggia una riforma in
senso democratico dell'Onu e dei vari organismi sovrannazionali (Wto,
Banca Mondiale, Fmi), vista come un mezzo, in realtà illusorio, per
garantire sviluppo equilibrato e benessere generalizzato. Allo stesso
tempo, si vuol far credere che l'Europa, "con la sua civiltà
millenaria", possa svolgere un ruolo di pace, svincolandosi
definitivamente dalla tutela statunitense. Questo impianto
teorico-politico, che dovrebbe essere la quintessenza del realismo, è
in realtà un concentrato di utopie irrealizzabili (peraltro vecchie
almeno di un secolo).
La correttezza della teoria
leninista, così come di ogni altra analisi basata sul metodo marxista,
consiste nel fatto che non si limita a vedere gli aspetti esteriori,
più immediati, della realtà, ma indaga in maniera approfondita,
cercando di capire se i cambiamenti che si verificano sono un nuovo
modo in cui una vecchia realtà si manifesta, o se realmente ne
implicano una modifica sostanziale. Anche oggi, utilizzando il metodo
marxista, possiamo affermare l'assoluta validità della
caratterizzazione in senso imperialista del mondo odierno.
Lo sviluppo della produzione e
la fusione del capitale industriale con quello finanziario creano
sempre più una situazione in cui alla libera concorrenza si
sostituiscano monopoli, le cui dimensioni tendono a superare i confini
nazionali. Ma questo non vuol dire, come afferma qualche novello emulo
di Kautsky, che si vada verso la creazione di un solo grande trust
mondiale, che regoli in modo pacifico ogni attività umana e che renda
inutile la presenza di Stati nazionali. In realtà, si tratta di un
processo tutt'altro che lineare, in cui nuovi monopoli si creano, altri
muoiono e le differenze tra classi e tra diversi Paesi continuano ad
aumentare invece di ridursi. Inoltre, la creazione di grandi
multinazionali non fa venir meno la centralità degli Stati, anzi il
loro ruolo diventa sempre più fondamentale ai fini della sopravvivenza
del capitalismo.
Possiamo fare esempi in
proposito. Il fallimento dell'ultima riunione del Wto è stato causato
dal fatto che i Paesi imperialisti intendono imporre la supremazia
delle loro produzioni su quelle dei Paesi dipendenti (quelli cioè che
non sono riusciti a creare una propria borghesia in grado di svolgere
un ruolo autonomo), condannando alla miseria le loro popolazioni.
L'opposizione del governo italiano al progetto di fusione tra le
autostrade nazionali e spagnole così come la creazione da parte di
Parigi di una lista di aziende strategiche che non possono finire sotto
controllo straniero provano che anche tra Paesi imperialisti gli
interessi sono tutt'altro che convergenti e che il comune richiamo ai
valori "dell'occidente" non significa molto, se non un tacito accordo
per continuare le politiche di rapina verso i Paesi dipendenti. In
quest'ottica, il ricorso alla guerra (chiamata "guerra al terrorismo" o
"intervento umanitario") non è un incidente di percorso, ma uno dei
modi in cui la competizione tra Paesi imperialisti si palesa.
Le potenze imperialiste
presentano tra esse evidenti contraddizioni, che in questa fase si
manifestano nelle guerre commerciali, nelle manovre diplomatiche, nelle
diverse strategie di intervento militare, ma che in futuro potranno
sfociare in scontri bellici simili qualitativamente a quelli che la
storia ha registrato nel secolo scorso.
Gli Usa, avendo una netta
supremazia militare rispetto alle altre potenze, cercano di far valere
il loro potere militare nella competizione mondiale per la conferma
della propria egemonia; ma le nazioni europee non seguono politiche
sostanzialmente differenti. L'Europa non è portatrice di valori
diversi, ispirati ad una maggiore umanità (ricordiamo tutti i crimini
inglesi in India, francesi in Algeria, italiani in Libia e più
recentemente in Somalia): il suo richiamo alla diplomazia è solo
strumentale e indice di una condizione di maggior debolezza militare.
Quando non può fare diversamente usa gli stessi mezzi di Washington
(Iraq, Afghanistan, Libano).
In quest'opera criminale
l'Italia tenta di giocare un ruolo non secondario. La penetrazione in
mercati stranieri di multinazionali italiane (Unicredit, Fiat, Eni
ecc.) segue il carattere predatorio delle altre potenze, prediligendo
la presenza in Paesi dove non esistono garanzie per i lavoratori,
garantendosi così enormi sovrapprofitti. Funzionale a ciò è la facilità
con cui Roma invia truppe d'occupazione in ogni angolo del pianeta,
arrivando a sommare un numero di militari secondo solo a Usa e Gran
Bretagna.
Per questi motivi i comunisti si
schierano, in ogni aggressione imperialista, dalla parte del Paese
dipendente - al di là della natura del governo che lo guida - e per il
disfattismo bilaterale nel caso di conflitto tra due Paesi
imperialisti; in entrambi casi rivendicando la necessità di una lotta
basata su un programma conseguentemente rivoluzionario.
Una lotta che abbia come fine la
distruzione del capitalismo - alla base di tutte le barbarie che
viviamo e il rifiuto di ogni illusione riformista riguardo al ruolo
dell'Onu (responsabile delle politiche criminali dell'imperialismo,
dalla creazione di Israele nel 1948 alla guerra di Corea nel 1950 fino
all'embargo genocida in Iraq) o del diritto internazionale per la
risoluzione dei conflitti - è un punto imprescindibile per ogni
organizzazione che si definisce rivoluzionaria. In assenza di questa
prospettiva, si svilupperanno altre guerre d'aggressione (il prossimo
probabile obiettivo dell'imperialismo Usa sarà l'Iran) e, aggravandosi
la crisi e la concorrenza tra i blocchi imperialisti, si determineranno
prima o poi scontri armati tra gli stessi.
I comunisti denunciano l'altra
faccia della medaglia della guerra imperialista e cioè che essa è lo
strumento per opprimere gli stessi proletari nei Paesi imperialisti, è
la condizione in cui diventa ancora più difficile la propaganda e
l'agitazione rivoluzionaria per il diffondersi dello spirito
socialsciovinista nella società e tra gli stessi lavoratori, anche
grazie al monopolio dell'informazione detenuto dalla borghesia. Questa
utilizza gli eventi bellici per irreggimentare la società e condurre
con minore resistenza le controriforme politiche e sociali interne.
Tesi 4 - DOPO IL CROLLO DELLO STALINISMO
Il crollo degli Stati operai,
che degenerarorono in conseguenza dello sviluppo abnorme della
burocrazia parassitaria stalinista e collassarono sotto il peso delle
contraddizioni prodottesi, pur determinando una sconfitta storica per
il proletariato, ha aperto nuove prospettive per lo sviluppo di una
reale prospettiva socialista. Nuove contraddizioni tra le classi sono
esplose a livello mondiale, rendendo sempre più urgente il ritorno al
programma originale che ha permesso ai bolscevichi di conquistare il
potere
Tra il 1989 e il 1991 si sono
svolti quegli avvenimenti che hanno portato al crollo degli Stati
operai dell'Europa dell'est - governati dalla burocrazia stalinista - e
che hanno dato il via alla restaurazione capitalistica. La rapidità con
cui si è svolto questo processo ha stupito chi riteneva di aver di
fronte sistemi sociali particolarmente solidi, destinati a durare a
lungo nel tempo. In realtà la natura di questi regimi è sempre stata
caratterizzata da un'instabilità strutturale. Per diversi motivi.
Prima di tutto, per come la
burocrazia - uno strato privilegiato di dirigenti dello Stato e del
Partito - ha conquistato il potere, prima in Urss e poi nelle
"democrazie popolari": non in quanto sviluppo dialettico e naturale
della rivoluzione d'Ottobre e dei principi del marxismo, ma come sua
negazione termidoriana.
Infatti, per affermarsi ha
dovuto eliminare fisicamente tutta l'avanguardia rivoluzionaria in
Russia e a livello internazionale e, per giustificare il suo potere, ha
dovuto rompere coi principi basilari del marxismo rivoluzionario,
arrivando a teorizzare la costruzione del "socialismo in un Paese
solo", cioè la coesistenza col capitalismo internazionale. A ciò si
deve sommare la natura contraddittoria di questi Stati. La distruzione
del sistema capitalistico con l'abolizione della proprietà privata,
fattore di per sé storicamente progressivo, si è scontrato col fatto
che la pianificazione economica era fatta non per soddisfare al meglio
le necessità della popolazione, ma per tutelare gli interessi e gli
appetiti parassitari della burocrazia dominante.
Questa situazione, legata al
controllo poliziesco sulla società da parte della burocrazia, ha
portato periodicamente al verificarsi di insurrezioni operaie, i cui
obiettivi erano il ripristino di una vera democrazia operaia e di un
reale controllo dei lavoratori sull'economia e sullo Stato: Germania
Est nel 1953, Ungheria nel 1956, Cecoslovacchia nel 1968, Polonia a
cavallo tra la fine degli anni Settanta e inizio degli anni Ottanta.
Il fallimento di queste
rivoluzioni politiche per mancanza di una direzione rivoluzionaria, il
discredito che il "socialismo reale" aveva acquisito agli occhi delle
masse, l'accentuarsi di misure volte a reintrodurre in maniera sempre
più sistematica meccanismi di mercato a partire dagli anni Ottanta,
hanno creato condizioni tali per cui le contraddizioni accumulate per
decenni sono arrivate a un punto di rottura.
Nel crollo degli Stati operai,
una caratteristica comune è stata che il proletariato non solo non è
riuscito a svolgere un ruolo indipendente rispetto a quelle forze che
proponevano una soluzione pro-capitalistica al collasso dello
stalinismo, ma quasi ovunque (tranne solo in una fase iniziale in
Romania) non è stato neanche protagonista, pur in un ruolo subalterno,
di quegli accadimenti. Questo è accaduto perché in tutti i Paesi
coinvolti mancava un'organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori.
Responsabile di tale assenza principalmente è stata la repressione
stalinista, a cui si è aggiunta la politica della corrente
maggioritaria del trotskismo internazionale (il Segretariato
internazionale, poi Segretariato unificato, di Pablo, Mandel e Maitan),
che negli anni Cinquanta ha teorizzato l'inutilità della costruzione di
partiti basati sul programma della Quarta internazionale nei Paesi
operai, sperando in una spontanea evoluzione a sinistra, in senso conseguentemente rivoluzionario, della burocrazia stalinista.
Tuttavia, il crollo dello
stalinismo è stato fin da subito un processo non lineare. Per un verso,
lo sviluppo abnorme della burocrazia parassitaria che ne fu la
caratteristica espressione, unito al peso delle esplosive
contraddizioni che si produssero, ha determinato il crollo degli Stati
operai degenerati; tuttavia, il crollo di questi, coniugandosi alla
restaurazione del capitalismo, ha segnato una sconfitta storica per i
lavoratori, non solo nei Paesi coinvolti nel processo. Il mercato e la
democrazia borghese hanno portato a un crollo verticale di salari,
all'aumento della disoccupazione, alla distruzione dello stato sociale
e in più in generale di ogni conquista rivoluzionaria dei lavoratori.
Nell'ex-Urss e ex-Jugoslavia si
sono verificate sanguinose guerre tra le diverse nazionalità che fino
ad allora avevano convissuto in Stati multinazionali: ciò è stato
effetto non del riaffiorare di un atavico odio etnico artificialmente
represso, ma del repentino venire meno dei legami sociali fin lì
esistenti. In una situazione in cui decine di milioni di persone
sprofondavano in uno stato di assoluta indigenza, poche élite
accumulavano ricchezze esorbitanti. Si trattava prevalentemente di
ex-burocrati che si convertivano rapidamente nella nuova classe
borghese. E' stata confermata la previsione di Trotsky secondo cui se
la burocrazia stalinista non fosse stata eliminata da una rivoluzione
politica si sarebbe trasformata nel soggetto che avrebbe permesso la
restaurazione del capitalismo.
Da un altro punto di vista,
proprio il modo particolarmente violento e brutale in cui si è attuato
il ritorno al libero mercato ha fatto sì che fin da principio si
manifestassero resistenze al corso intrapreso dalla storia. Facciamo
alcuni esempi. In Romania all'inizio degli anni Novanta i minatori
hanno manifestato e si sono scontrati con quei settori della società,
per lo più studenti, che chiedevano un passo deciso nelle riforme di
mercato. In Albania nel 1997, dopo la truffa delle "società a
piramide", vi è stata una vera e propria rivoluzione, con la creazione
embrionale di un contropotere consigliare, sconfitta anche grazie
all'intervento delle truppe imperialiste italiane e all'assenza di una
direzione conseguente. In Russia tutta l'era eltsiniana è stata
caratterizzata dall'opposizione dei lavoratori alle privatizzazioni del
governo, opposizione che neanche il golpe contro il Parlamento del 1993
e l'instaurazione di un regime bonapartista sono riusciti del tutto a
fermare.
Possiamo dunque affermare che il
ritorno al capitalismo non ha dato i frutti sperati ai suoi
sostenitori, non ha segnato l'inizio di una nuova era di sviluppo e di
benessere, anzi: chi auspicava che la creazione di nuovi mercati
avrebbe evitato l'insorgere di crisi nel mondo capitalista è stato
smentito. La restaurazione del capitalismo e il conseguente
rafforzamento dell'imperialismo ha segnato una sconfitta per il
proletariato internazionale. Al contempo, tuttavia, il crollo dello
stalinismo e il fallimento del mercato hanno mostrato che la vera
alternativa per l'umanità può venire solo da una rivoluzione che
riprenda gli originali principi del bolscevismo, difesi e sviluppati
dall'Opposizione di sinistra e dalla Quarta Internazionale delle
origini. In questo senso non è contraddittorio affermare che da questa
sconfitta possono emergere nuove vittorie.
Tesi 5 - LA RIVOLUZIONE PERMANENTE NEI PAESI DIPENDENTI RICHIEDE ALTRE DIREZIONI
Storicamente, lo sviluppo
della borghesia imperialista è in rapporto diretto con il saccheggio
dei Paesi dipendenti. Per questo la lotta di liberazione dei popoli
oppressi non può avvenire che all'interno di un processo di
"rivoluzione permanente", che sviluppi - senza soluzione di continuità
- le rivendicazioni democratiche in lotta per il socialismo e per la
dittatura del proletariato. A tal fine sono necessarie direzioni
politiche differenti da quelle attuali, che sono piccolo-borghesi e
nazionaliste, subalterne all'imperialismo: servono partiti
indipendenti, basati sul programma marxista rivoluzionario.
Lenin fa notare in Imperialismo, fase suprema del capitalismo
come il capitale abbia aggiunto ai numerosi antichi moventi della
politica coloniale la lotta per le materie prime, per l'esportazione di
capitali, per le sfere d'influenza, cioè per le regioni che offrono
affari vantaggiosi, concessioni, profitti monopolistici, la lotta per
il territorio economico in generale e per indebolire i diretti
concorrenti imperialisti. Con l'inizio della decolonizzazione a metà
del Novecento, le ex-colonie hanno conquistato formalmente
l'indipendenza politica dai loro oppressori, ma non hanno spezzato il
dominio economico e finanziario cui restano soggette. Le direzioni
nazionaliste, proprio per difendere i propri interessi di classe, non
potevano andare oltre le rivendicazioni democratiche immediate, finendo
per sacrificare anche queste all'alleanza con l'imperialismo. Questi
Paesi, pertanto, dopo aver raggiunto l'indipendenza formale sono
rimasti ostaggio dei Paesi imperialisti, che li controllano tramite un
intricato sistema finanziario fatto di debiti, di investimenti di
capitali, ecc. Lo stalinismo in questa deriva delle rivoluzioni
anticoloniali porta enormi responsabilità proprio per aver sottomesso,
prima e dopo i processi di liberazione nazionale, i lavoratori e le
masse popolari alle direzioni nazionaliste borghesi. Ecco perché solo
una direzione proletaria, un partito comunista che salvaguardia la
propria indipendenza politica e organizzativa, può a partire dalle
rivendicazioni democratiche (riforma agraria, reale indipendenza
nazionale, assemblea costituente, diritti civili, ecc) dirigere il
processo rivoluzionario fino alla rottura con l'imperialismo e avanzare
nella rivoluzione socialista in un quadro di rivoluzione permanente. E'
insomma confermata la validità della teoria della rivoluzione
permanente di Trotsky che affermava: "Per i Paesi (...) coloniali e
semicoloniali, la teoria della rivoluzione permanente significa che la
soluzione vera e compiuta dei loro problemi di democrazia e di libertà
nazionale non è concepibile se non per opera di una dittatura del
proletariato, che assuma la guida della nazione oppressa e, prima di
tutto, delle sue masse contadine" (da Che cos'è dunque la rivoluzione permanente? Tesi, 1929).
Se è vero che oggi nessun Paese
possiede colonie paragonabili a quelle dei secoli scorsi, è altrettanto
vero che il mondo non è mai stato così diviso tra potenze e Paesi
dipendenti. Dal Medio-Oriente all'America Latina, sono sempre più
numerosi i popoli che chiedono un futuro diverso dal presente fatto di
fame, miseria, disoccupazione, guerra. Tra questi, quello palestinese è
uno dei popoli più direttamente esposti e sottoposti al dominio
imperialista. I palestinesi vedono tuttora negato persino il diritto
alla formale indipendenza nazionale; essi sono vittime di un vero e
proprio caso di colonialismo, seppur di tipo stanziale.
La seconda Intifada e la recente
vittoria elettorale del Movimento di Resistenza Islamico sunnita Hamas
hanno mostrato, nonostante tutto, come il popolo palestinese rifiuti la
politica capitolazionista e la corruzione dell'Anp guidata da Al Fatah,
rivelando la determinazione a continuare la lotta di liberazione. Al
contempo, sappiamo che in nessun modo la direzione islamista di Hamas,
già addivenuta ad accordi con Al Fatah, può rappresentare a pieno le
legittime aspirazioni storiche delle masse palestinesi. Da qui la
necessità di una direzione proletaria conseguente anche in Palestina.
Anche l'Iraq si trova oggi sotto diretta occupazione militare da parte delle potenze occidentali.
Tuttavia il disegno imperialista
di una rapida sottomissione del popolo iracheno al proprio dominio ha
incontrato sulla sua strada una resistenza armata radicata nel popolo
non prevista. La resistenza irachena ha anche costretto gli Usa a
desistere sino ad oggi dall'aggressione all'Iran o alla Siria.
E' dovere di ogni comunista
sostenere queste lotte di liberazione (Palestina e Iraq),
indipendentemente dal giudizio che diamo delle loro direzioni; sia
perchè ogni sconfitta dell'imperialismo è un colpo al sistema
capitalista e stimola la ripresa del movimento operaio mondiale; sia
perché solo partecipando alla lotta in un fronte unico contro
l'imperialismo - mantenendo la propria indipendenza politica e
organizzativa - è possibile sottrarre alle direzioni nazionaliste,
piccolo-borghesi e fondamentaliste, le forze proletarie, da indirizzare
verso la costruzione di partiti comunisti. E' questa l'unica garanzia
di uno sviluppo socialista della lotta attuale che, viceversa, sarebbe
frenato dalla presenti direzioni, capitolando immancabilmente, prima o
dopo, in subalternità all'imperialismo. La lotta per un'altra direzione
è altresì l'unico modo per arginare l'influenza del fondamentalismo
islamico (che oggi è egemone dopo la crisi delle direzioni
piccolo-borghesi e staliniste) tra le masse di questi Paesi.
Anche l'America Latina è
attraversata da forti movimenti antimperialisti: le sollevazioni
popolari succedutesi in Argentina, Venezuela e Bolivia a partire dal
2001 e lo sviluppo di grandi movimenti di lotta in Brasile hanno
ampiamente dimostrato come questi popoli cerchino una soluzione alla
propria povertà o rovina economica causata dall'imperialismo.
Questo diffuso sentimento
popolare ha portato al potere, in mancanza di un forte e radicato
partito marxista rivoluzionario, forze populiste (Chavez e Morales),
socialdemocratiche (il Pt di Lula) e liberali che hanno di fatto
favorito la relativa stabilizzazione del dominio borghese. Così i vari
Kirchner e Lula si sono dimostrati i più fedeli esecutori del pagamento
dei debiti esteri, riversandoli ovviamente sulle spalle dei lavoratori
e rinunciando a qualsiasi misura progressista in favore delle masse.
Lo stesso Chavez, ponendo piena
fiducia nelle forze militari ed evitando di espropriare i grandi
magnati (a partire da quelli del petrolio), ha minato in più di una
occasione lo stesso potere conquistato alle elezioni parlamentari,
rifiutando categoricamente di armare il proletariato e di avviare una
seria politica di nazionalizzazioni sotto controllo operaio.
Evo Morales, infine, giunto al
potere in Bolivia tramite elezioni ma al termine di una vera e propria
insurrezione armata, sta già ampiamente mostrando di tradire la causa
per la quale è stato eletto, limitandosi a rinegoziare molto cautamente
alcune concessioni per lo sfruttamento del gas naturale da parte delle
multinazionali imperialiste.
Pur in situazioni diverse, la
lezione anche dall'America Latina è la stessa: senza una direzione
trotskista, nessun superamento del sistema di dipendenza è possibile.
Nessuna rivoluzione può fermarsi a metà del guado, la direzione delle
lotte può essere solo del proletariato che, raggruppando attorno a sé
le masse popolari, avanza verso la rivoluzione socialista, trascina
altri Paesi dietro il proprio esempio, in un quadro di rivoluzione
permanente. O la direzione di queste lotte sarà una direzione
socialista e internazionalista (solo il sostegno delle masse dei Paesi
a capitalismo avanzato può farle vincere definitivamente) o sarà
impossibile che una direzione borghese rompa i legami con i capitalisti
stranieri.
Tesi 6 - ITALIA: I DUE POLI DELL'ALTERNANZA BORGHESE
In seguito alla restaurazione
del capitalismo in Unione sovietica e dopo il fenomeno "tangentopoli",
in Italia si è assistito a un rivolgimento politico all'interno dello
stesso schieramento borghese. L'affermazione del maggioritario, la
nascita di nuovi partiti, la trasformazione del Pci in Pds (ora Ds)
hanno aperto la strada all'alternanza di governi di centrodestra e
centrosinistra. La politica economica di entrambi gli
schieramenti (dal primo governo Berlusconi all'attuale governo Prodi) è
stata caratterizzata da un comune filo conduttore: la difesa dei grandi
gruppi capitalisti italiani di fronte alla crisi congiunturale
attraverso politiche antioperaie.
Tra la fine degli anni Ottanta e
i primi anni Novanta, con la restaurazione del capitalismo in Unione
sovietica e negli altri Stati operai degenerati dell'Europa orientale,
la borghesia europea ha inaugurato un nuovo corso politico, nei
confronti dei vari partiti stalinisti, sia dei partiti di derivazione
socialdemocratica e socialista. Con il trattato di Maastricht del 1992,
la nascita dell'Unione europea e l'introduzione dell'euro nel 2002, il
capitalismo dei principali Paesi europei (Francia e Germania in primis)
ha cercato di cavalcare il fallimento del Patto di Varsavia nella
direzione del rafforzamento del polo imperialista europeo. In questo
quadro, s'inserisce l'assunzione da parte dei partiti ex-socialisti ed
ex-comunisti (stalinisti) di una nuova veste: in alcuni casi si sono
trasformati in rappresentanti diretti - con un'evoluzione da partiti
operai borghesi a partiti liberali - degli interessi delle varie
borghesie nazionali (si pensi alla socialdemocrazia tedesca con
Schroeder, ai socialisti francesi con Jospin, ai laburisti inglesi con
Blair, al Pds in Italia); in altri, sono nati nuovi partiti che hanno
assunto il ruolo classico della socialdemocrazia (come nel caso della
Pds tedesca e del Prc in Italia).
Nel nostro Paese, la fine del
blocco sovietico, associata alle vicende di "tangentopoli", ha
significato un rivolgimento politico all'interno dello stesso
schieramento borghese: quasi tutti i vecchi partiti sono scomparsi o
hanno subito trasformazioni, a partire dalla dissoluzione della Dc e
del Psi, dalla nascita di Forza Italia e Lega Nord, fino alla
trasformazione dell'Msi in An. Soprattutto, in seguito alla caduta del
muro di Berlino, nel 1990 il XIX congresso del Pci ha sancito il
passaggio al Pds (poi Ds), con l'abbandono anche nel nome di ogni
riferimento al comunismo e l'assunzione di un programma liberale di
rappresentanza diretta degli interessi della borghesia italiana. Con
l'affermazione, nel 1993, di un sistema elettorale prevalentemente
maggioritario, per più di un decennio si sono susseguiti governi di
centrodestra e di centrosinistra: nonostante si sia parlato di fine
della "prima Repubblica", in realtà si è trattato di semplice "cambio
d'abito istituzionale" da parte dei medesimi gruppi capitalisti che dal
dopoguerra ad oggi detengono le redini dell'economia italiana.
La borghesia italiana, a partire
dai grandi gruppi bancari e Confindustria, si è adattata ai vari
governi in carica: primo governo Berlusconi (1994); governo Dini
(1995); primo governo Prodi (1996) seguito dal governo D'Alema (1998);
secondo governo Berlusconi (2001). La politica economica di questi
governi, indipendentemente dallo schieramento, è stata caratterizzata
da uno stesso filo conduttore: la difesa dei grandi gruppi capitalisti
italiani di fronte alla crisi congiunturale attraverso politiche
antioperaie. Le ricette, attraverso cui far pagare la crisi ai
lavoratori, si sono basate sui medesimi ingredienti: smantellamento
dello stato sociale con pesanti tagli a sanità, istruzione, servizi
sociali; innalzamento dell'età pensionabile; precarizzazione selvaggia
dei rapporti lavorativi; drastica diminuzione del potere d'acquisto dei
salari; incentivi alle imprese e privatizzazioni degli enti pubblici.
In occasione delle recenti elezioni del 2006, la crisi del
berlusconismo si è tradotta in una presa di posizione esplicita di
Confindustria, per voce di Montezemolo, a favore dello schieramento di
centrosinistra, e dell'Unione e in un sostegno alla futura costituzione
di un "partito democratico" che faciliti l'alternanza.
Ciò che ha indotto i principali
gruppi capitalistici del Paese a cambiare cavallo è stato anzitutto
l'incapacità del governo delle destre di garantire quella pace sociale
necessaria al capitalismo per continuare a produrre profitti sulle
spalle dei lavoratori senza turbolenze. L'incapacità del governo
Berlusconi di attuare politiche concertative - di ottenere cioè il
consenso delle burocrazie sindacali, a partire dalla Cgil, alle
politiche liberali - si è tradotta nell'esplosione di forte proteste
sociali: dalla discesa in campo di milioni di lavoratori a difesa
dell'art. 18 alle lotte ad oltranza degli operai di Melfi, degli
autoferrotranvieri, degli studenti, degli abitanti di Scanzano. Non è
un caso che le grandi famiglie del capitalismo italiano e le grandi
Banche - da Montezemolo a Tronchetti Provera, da Banca Intesa a
Unicredito, dalla Banca San Paolo a Monte dei Paschi - abbiano plaudito
alla vittoria, sebbene di misura, dell'Unione. L'inserimento del Prc
nella compagine di governo è un nuovo elemento strategico: Rifondazione
comunista svolge un ruolo di copertura di sinistra delle politiche
filo-padronali del governo, col ruolo di pompiere del conflitto
sociale. Se da un lato la borghesia mira a ricomporre, con la
concertazione, la frattura tra Cgil e governo al fine di controllare e
zittire le lotte operaie, dall'altro lato ha bisogno, tanto più in una
fase di crisi economica, di prevenire la possibile esplosione di
conflitti non immediatamente circoscrivibili nel fronte sindacale, a
partire dai movimenti giovanili contro la guerra e contro la precarietà
(si veda l'esempio francese). L'assunzione diretta da parte del Prc di
responsabilità di governo, con Bertinotti presidente della camera e
Ferrero ministro, è una carta che la borghesia italiana intende giocare
al fine di consolidare il proprio dominio: una vittoria per il
padronato, una sconfitta per un'intera stagione di lotte e di conflitti
sociali.
Tesi 7 - ITALIA: UNA STAGIONE DI LOTTE
Le lotte operaie degli ultimi
anni dimostrano l'inconsistenza delle teorizzazioni sulla fine della
lotta di classe e della scomparsa della classe operaia. Una giovane e
combattiva classe operaia è scesa in campo nonostante i tradimenti
delle direzioni sindacali e politiche. Nella costruzione del partito
rivoluzionario, lavoreremo per l'unificazione delle lotte e per
guadagnare le avanguardie del proletariato al programma socialista.
Contro le teorie di sedicenti
intellettuali della "sinistra" che ci dicono che la nostra è l'epoca
della fine della lotta di classe e della scomparsa della classe
operaia, le lotte degli ultimi anni in Italia dimostrano che essa
esiste e, oggi più che mai, scende in campo a fronte del degrado delle
condizioni di lavoro che vedono precarietà, licenziamenti, salari
sempre più ridotti, aumento dello sfruttamento che si manifesta
attraverso l'aumento dei ritmi di lavoro, delle ore lavorate e degli
infortuni, in un quadro di disarticolazione costante delle conquiste
sociali e sindacali ottenute dal movimento operaio in lunghe stagioni
di lotta.
Basta solo ripercorre gli anni
più recenti per accorgersi che, ad ondate, si sono avute significative
mobilitazioni che hanno interessato diversi settori di lavoratori, dai
metalmeccanici, ai lavoratori dei trasporti, delle pulizie, agli
immigrati, agli studenti e ai lavoratori della scuola, accanto a lotte
territoriali legate a fenomeni di svendita e massacro dei territori e
di attacchi alla salute pubblica.
Tra le vertenze più
significative vanno evidenziate le lotte degli autoferrotranvieri
diffuse in tutta Italia, protrattesi come reazione all'accordo firmato
dai sindacati concertativi con scioperi spontanei e ad oltranza; la
resistenza operaia contro la crisi della Fiat nel 2003; le lotte
contrattuali dei metalmeccanici nel 2003 con ampia mobilitazione e
sciopero generale; la vertenza Alitalia nella quale i lavoratori,
contro lo smembramento aziendale e conseguente espulsione della forza
lavoro, occupano le strade e l'aerostazione; i ventuno giorni di lotta
degli operai della Fiat di Melfi che all'insegna dello "sciopero
prolungato fino alla vittoria" mettono in discussione il modello di
fabbrica integrata dove vigono, col consenso di sindacati, sfruttamento
alla catena di montaggio, gabbie salariali, deroghe al divieto di
lavoro notturno per le donne; la radicalizzazione delle lotte con
picchetti e scioperi ad oltranza alle acciaierie Ast di Terni contro la
dismissione e la delocalizzazione; e ancora le sessanta ore di sciopero
nel 2005 metalmeccanici per il rinnovo della parte economica del
contratto nazionale con 250 mila lavoratori in piazza.
E più recentemente: lo sciopero
e la manifestazione di 30 mila lavoratori delle pulizie, settore nel
quale più del 70% dei lavoratori è precario e vive pesanti condizioni
di lavoro; la vertenza dei lavoratori precari del call-center Atesia
che nell'indifferenza delle istituzioni borghesi, dei sindacati
concertativi e delle forze politiche della sinistra governativa, si
mobilitano e si autoorganizzano contro i licenziamenti e gli accordi
firmati dai sindacati confederali e contro le politiche del ministro di
"sinistra" Damiano.
Sono soltanto alcuni esempi di
lotte operaie che in realtà hanno avuto e tuttora hanno una diffusione
con piccole e grandi vertenze in tutta Italia e alle quali vanno ad
aggiungersi le battaglie condotte da un nuovo movimento degli studenti
che è sceso in piazza nel novembre 2005 contro la riforma Moratti dopo
aver occupato atenei in tutta Italia, le innumerevoli mobilitazioni
degli immigrati contro la legge Bossi-Fini e per la conquista dei
diritti sociali e le rivolte popolari contro il temoinceneritore di
Acerra voluto da Bassolino, contro il deposito di scorie nucleari
deciso dal governo Berlusconi a Scanzano, contro il ponte sullo Stretto
di Messina e contro la Tav in Val di Susa.
Ma quali sono le caratteristiche
di queste lotte? Innanzitutto è scesa in campo una nuova generazione di
lavoratori, combattivi, che vivono oggi, più dei loro padri, lo
sfruttamento, la precarietà, la mancanza di tutele. Si sono scelti
metodi di lotta radicali, fuori dalle regole, come blocchi stradali,
picchetti, sciopero prolungato. Si sono verificati scontri con le
burocrazie sindacali, in un più generale rifiuto della concertazione,
con esiti in qualche caso drammatici come il licenziamento di alcuni
operai della Fiat di Pomigliano d'Arco che si erano opposti all'accordo
firmato dai sindacati.
Ma alcune di queste lotte hanno
messo a nudo il conflitto tra i lavoratori e le loro direzioni
sindacali o politiche, cosa che ha prodotto spesso sconfitte. I
sindacati concertativi e forze politiche come il Prc, solo a parole
vicine ai lavoratori, hanno contenuto e deviato le potenzialità
emergenti da queste lotte e, persino di fronte ad un governo
reazionario come il governo Berlusconi, hanno voluto percorrere tutte
le tappe necessarie per confezionare il compromesso di classe
realizzatosi poi nel governo Prodi, rinunciando ad una lotta
concentrata per la caduta del governo.
Di fronte al tradimento delle
direzioni riformiste e sindacali è necessario costruire una direzione
alternativa dei movimenti di lotta che inevitabilmente si svilupperanno
anche in futuro date le contraddizioni dell'attuale fase storica.
Proprio quella classe operaia, che come abbiamo visto non è scomparsa,
può essere soggetto di cambiamento se diventa "classe per sé", se
utilizza cioè coscientemente la sua centralità nel processo produttivo,
assume un ruolo politico e si contrappone alla classe dominante per
rovesciarla. Questo processo si intreccia con l'azione determinante del
partito rivoluzionario che deve intervenire in ogni lotta con un
programma transitorio che faccia comprendere ai lavoratori la necessità
della conquista del potere.
Tesi 8 - ITALIA: IL NUOVO GOVERNO PRODI, AL SERVIZIO DELLA BORGHESIA
Il governo Prodi fin da
subito mostra chiaramente il suo carattere di classe: è un governo
della borghesia italiana, voluto da Confindustria, che intende
scaricare i costi della crisi del capitalismo sui lavoratori, come
dimostra la finanziaria da 32 miliardi di euro. E' un governo di guerra
e di rapina, che rinnova le missioni coloniali (Afghanistan) e invia
militari in Libano a difesa di Israele. Nessun cambio di rotta rispetto
al governo Berlusconi è previsto nelle politiche sociali: ancora una
volta si annunciano tagli alla spesa pubblica nei settori del Pubblico
Impiego, Sanità, Enti locali e Pensioni.
Il governo dell'Unione è nato
traballante, con pugno di voti di scarto rispetto al centrodestra, con
la conseguente instabilità in sede parlamentare (soprattutto al Senato,
dove la differenza di voti è minima). Il deludente risultato
elettorale, nonostante l'appoggio esplicito all'Unione da parte del
padronato italiano per voce di Montezemolo e Confindustria, si spiega
con l'incapacità - dopo cinque anni di devastati politiche antioperaie
del governo Berlusconi - di intercettare il disagio dei milioni di
lavoratori e giovani immiseriti e indeboliti da selvagge politiche
antioperaie. Ma il nuovo governo Prodi, se non gode di un'ampia
maggioranza parlamentare, ha invece le idee chiarissime sul programma
che intende attuare: un programma di lacrime e sangue, di pene e
sacrifici per i lavoratori. Già prima delle elezioni il programma
dell'Unione era scritto nero su bianco: nessun sostanziale cambio di
rotta rispetto alle politiche berlusconiane, solo qualche accorgimento
per far dormire sonni più tranquilli a Confindustria e al capitalismo
italiano; un programma della borghesia per la borghesia, contro i
lavoratori.
Se il governo Prodi non può
contare su una larga maggioranza in parlamento, può tuttavia presentare
al padronato italiano delle valide credenziali. E' infatti un governo
basato sulla concertazione, cioè sulla svendita delle ragioni dei
lavoratori sull'altare degli interessi di Confindustria. La Cgil, come
annunciato esplicitamente da Epifani nelle conclusioni dell'ultimo
congresso, fa da garante delle politiche antioperaie dell'Unione, nel
tentativo di offrire ai padroni quella "pace sociale" che Berlusconi
non ha saputo garantire: alle apparenti critiche di Epifani alle prime
manovre del governo (che si spiegano col solito balletto concertativo:
le burocrazie sindacali fanno la voce grossa all'inizio, per poi
millantare, agli occhi dei lavoratori, inesistenti conquiste strappate)
è seguito l'appoggio alla Finanziaria.
Similmente, l'ingresso di
Rifondazione comunista in questo governo - seppur con un ininfluente e
grottesco ministero "alla solidarietà" (Ferrero) - ha lo scopo
di garantire una copertura "a sinistra" al governo di banchieri e
industriali. In questo modo, Rifondazione passa dall'altra parte della
barricata, con il triste ruolo di ammortizzatore delle lotte sociali.
Ancor prima che il governo
nascesse, l'Unione, con l'avallo di Rifondazione comunista, ha
garantito che la Tav in Valsusa si farà. Similmente, nessun cambio di
rotta significativo è previsto per le altre misure contro le quali si
sono battuti i movimenti in questi anni. Non solo è stato il primo
governo Prodi a introdurre i Cpt (i lager disumani nei quali vengono
rinchiusi gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste), ma anche ora
la logica dell'esclusione che accomuna la legge del centrosinistra
(Turco-Napolitano) e quella del centrodestra (Bossi-Fini) non verrà
abbandonata. Similmente, nella scuola e nell'università ci si limita a
semplici "accorgimenti" alla controriforma Moratti (come la
reintroduzione della commissione mista agli esami di maturità), senza
mettere in discussione né l'autonomia e la parità scolastiche (è stato
proprio il centrosinistra a introdurre i finanziamenti pubblici alle
scuole private), né il doppio canale che obbliga alla formazione
professionale i figli dei lavoratori, né l'intromissione delle aziende
nell'istruzione, né i tagli alla ricerca e del personale (sono ormai
sicuri ulteriori tagli degli insegnanti nelle scuole medie).
Ma sono soprattutto la politica
economica e quella estera del governo i segni più inequivocabili del
carattere di classe del governo. Il Ministro dell'Economia, Tommaso
Padoa-Schioppa ha iniziato una campagna stampa per il rientro di
"disavanzo e debito entro i parametri europei". La manovra finanziaria
di fine giugno è stata solo l'anticipo della stangata dell'autunno.
Quella di giugno è stata descritta come una "manovrina" di circa 8
miliardi di euro, che taglia 500 milioni di euro per i contratti
integrativi del pubblico impiego e che, combinata ai decreti leggi
liberalizzanti, colpisce alcuni settori della piccola borghesia a tutto
vantaggio dei grandi gruppi economici e finanziari. La finanziaria
dell'autunno ha invece un sapore molto più amaro: i tagli strutturali
previsti alla spesa pubblica nei settori del Pubblico Impiego, Sanità,
Enti locali e pensioni si abbatteranno come un uragano in quel che
rimane dello stato sociale, il salario indiretto sarà falciato e
peggioreranno le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse
popolari. Dopo aver ulteriormente taglieggiato le pensioni pubbliche
già preparano lo scippo definitivo del Tfr/Tfs. E' una finanziaria che
serve a rilanciare il capitalismo italiano nei mercati europei col
sangue dei lavoratori, che prende risorse a chi ha poco per offrire
incentivi a chi ha già molto.
Tutto questo avviene mentre
D'Alema e Parisi rinnovano la missione in Afghanistan (dove centinaia
di civili continuano a morire sotto i bombardamenti dei liberatori
"occidentali") e inviano navi militari, aerei da guerra e migliaia di
militari in Libano per disarmare Hezbollah e il popolo palestinese e
difendere Israele, l'avamposto che l'imperialismo statunitense ed
europeo utilizzano per garantirsi il controllo di una regione cruciale
per le sue ricchezze naturali (petrolio ecc.).
Tesi 9 - RIFONDAZIONE COMUNISTA: QUINDICI ANNI DI RIFORMISMO
Il Prc non è nato da una
pulsione nostalgica e artificiosa, ma da una necessità reale. La crisi
congiunta dello stalinismo e l'esigenza di ricostruire un movimento
operaio autonomo e indipendente hanno offerto un inedito spazio di
rappresentanza politica e sociale, occupato in questi anni da un
apparato dirigente che, perseguendo costantemente - dall'opposizione al
governo - la collaborazione di classe con la borghesia liberale, ha
realizzato una rifondazione mancata.
Rifondazione comunista si
attestò come una vera novità nel quadro politico italiano, attirando
settori importanti dell'avanguardia del movimento operaio e attraendo
ex militanti dell'estrema sinistra che fino a quel momento non avevano
trovato un reale spazio di rappresentanza. La natura politica del Prc è
stata, fin dall'inizio, caratterizzata dalla tradizione del suo gruppo
dirigente che, seppur rappresentativo di un'area minoritaria del
vecchio Pci critica della parabola liberal-democratica, riproponeva
l'essenzialità della tradizione togliattiana, con tutto quello che ha
significato quest'eredità sulle impostazioni politico-programmatiche:
accettare e promuovere le alleanze con la cosiddetta borghesia
democratica e progressista.
Questa la contraddizione di
fondo: il Prc nasceva ed assumeva un ruolo centrale come risposta al
fallimento della prassi riformista del Pci, anche se il suo apparato
dirigente si apprestava per cultura, impostazione e tradizione a
rifondare il partito comunista sulle stesse basi di quel fallimento. Il
Prc veniva di fatto obbligato dal quadro politico italiano, tra il 1991
e il 1995, a collocarsi all'opposizione, concepita come processo
d'accumulazione di forze da investire sul terreno contrattuale per
rinsaldarsi sul piano istituzionale. Dopo il fallimento nel 1993 della
sinistra d'alternativa (semi-blocco d'opposizione con la rete di
Orlando), nel 1994 stringeva l'accordo col Polo Progressista, embrione
del centrosinistra (oggi Unione), candidandosi esplicitamente a
partecipare, in caso di vittoria, a un governo borghese.
Solo la sconfitta impedirà un ulteriore slittamento nell'area governista!
Il progetto era maturo:
consolidarsi come forza critica a sinistra del centrosinistra. Tutto
l'investimento nel polo progressista sfumò per volontà dell'allora Pds
impegnato nella formazione di un'aggregazione politica meno composita,
col proposito di governare le politiche del capitalismo italiano: un
polo confindustriale, liberale e di massa. Nel 1995 l'opposizione
contro il governo Dini (lotta alla finanziaria e alla controriforma
pensionistica) era giocata dal Prc prevalentemente su un piano
istituzionale.
In questa fase, Rifondazione
riprende oggettivamente vigore attraendo le simpatie di una larga base
della sinistra: un'opposizione e una conflittualità, però, sindacale e
non politica (tant'è che a livello locale il Prc entrava in molte
giunte di centrosinistra), investita nel vuoto di rappresentanza di
classe determinato dalla concertazione sindacale nata dagli accordi
confindustriali del 1992. L'accumulo di questa massa d'urto fu, poi,
investito nel 1996 nell'accordo di desistenza col centrosinistra e il
voto al governo Prodi rappresentò la definizione di un intero corso
politico, definito, non a caso, dal logo del III congresso
"dall'opposizione al progetto".
Nel governo Prodi (che portò a
casa veri e propri bottini per la borghesia italiana), il Prc investe
ciò che di più spendibile aveva realizzato precedentemente
dall'opposizione: una pratica contrattualistica in netta competizione
con le rappresentanze sindacali. Ma, progressivamente, si diluirono i
contorni del contrattualismo bertinottiano, sino ad indurre Bertinotti
nell'autunno del 1998 a uscire dal governo Prodi, rilanciando, però, un
governo di decantazione istituzionale con la speranza di ripartire con
un nuovo accordo di legislatura, che non si realizzò solo per
l'intervenuta scissione dell'area controllata da Cossutta. Il
Prc, costretto di nuovo all'opposizione del governo d'Alema, nato dopo
l'esperienza prodiana, si attestava come la principale forza politica
contro la guerra imperialistica nel Kossovo, riscuotendo un'enorme
visibilità nella base della sinistra italiana e nel movimento
pacifista. Ma anche in questa fase il Prc non ruppe col centrosinistra,
tant'è che assunse come parola d'ordine il richiamo all'Onu come forza
di pace, non la necessità di una confederazione Jugoslava e socialista
dei Balcani; astenendosi persino sulla mozione del governo d'Alema che
prevedeva la momentanea sospensione del conflitto bellico.
Non è un caso che la mancanza di
una rottura definitiva anzitutto con l'apparato liberale dei Ds è stata
il terreno privilegiato in cui si sono rinsaldati il nuovo compromesso
alle regionali nell'aprile del 2000 (con 14 accordi su 15) e la non
belligeranza alle politiche del 2001. La crisi di egemonia sociale
delle politiche liberiste, ben collaudate negli anni novanta dal
centrosinistra, incontrò la nascita di un movimento
anti-globalizzazione e pacifista che, dopo la manifestazione di Genova
nel luglio del 2001 e nonostante la reazionaria campagna d'ordine del
governo Berlusconi, fu il detonatore della nascita di un conflitto
sociale con reali basi di massa.
Un nuovo vento si alzò nelle
piazze italiane e una nuova generazione sollevò la testa dopo anni di
passivizzazione. Giovane è stato il movimento antiglobalizzazione.
Giovane è stato il movimento pacifista. Giovane è stata quella classe
operaia che ha rotto la concertazione sindacale ed è tornata a
protestare nelle piazze. Un nuovo vento di lotta che ha attraversato i
settori più sensibili del mondo del lavoro e della società civile:
dalle mobilitazioni degli autoferrotranviari, dei lavoratori Alitalia,
all'eroica resistenza degli operai di Melfi; dalla lotta della
popolazione di Acerra contro il termoinceneritore, alla battaglia
contro la Tav. Ma l'enorme potenzialità che questo movimento ha
espresso, ha incontrato un appoggio truffaldino dell'apparato del Prc.
Un patrimonio di lotta utilizzato da Bertinotti come carta di credito,
dote preziosa per realizzare un nuovo compromesso di classe alle
politiche del 2006 per entrare nel governo borghese dell'Unione e
rifondare una forza socialdemocratica che affianchi la parallela
rifondazione liberale di un "partito democratico" per garantire il
dominio della borghesia cosiddetta "progressista": il "modello
Marchionne" indicato da Bertinotti.
Quindi anni di riformismo che,
tanto più oggi, in cui il Prc ha assunto responsabilità centrali nelle
politiche antipopolari che il governo dell'Unione sta perseguendo
(finanziaria lacrime e sangue; avvio della riforma pensionistica,
attacco allo stato sociale; finanziamento della guerra imperialistica
in Afghanistan e in Libano), segnano la fine di una rifondazione negata
dalla collaborazione di classe, che impone alle avanguardie del
movimento operaio italiano di riavviare il processo di ricostruzione
della rifondazione comunista che o è rivoluzionaria o non è.
Tesi 10 - QUINDICI ANNI NEL PRC, PER COSTRUIRE UN ALTRO PARTITO
La costruzione di un partito
autenticamente comunista non avviene mai in forma artificiosa
attraverso scorciatoie e semplificazioni: è anzitutto frutto di una
battaglia teorico-politica il cui esito è la creazione di un corpo
selezionato di militanti attivi e di quadri che si costituiscono in
avanguardia del proletariato. Il partito rivoluzionario che vogliamo
costruire non è uno sterile atto di auto-proclamazione, ma l'esito di
una lunga battaglia di frazione dentro il Prc sul terreno delle
impostazioni programmatiche e organizzative del marxismo
rivoluzionario, che al contempo, come dimostra la scissione dal
ferrandismo, ha costituito uno strumento di chiarificazione e selezione
militante.
Con questa prospettiva, la tendenza che si formò intorno alla rivista Proposta per la rifondazione Comunista,
dopo la scissione dalla sezione italiana del Segretariato unificato
sulla base di un dibattito e di una scelta d'orientamento della propria
tendenza internazionale, partecipò da subito alla nascita del Prc,
cogliendo la rilevanza di un processo di ricomposizione del movimento
operaio e ritenendo che ignorare questo fatto avrebbe disperso
un'occasione storica d'investimento delle posizioni marxiste
rivoluzionarie a vantaggio di un puro auto-conservatorismo.
La formazione di una tendenza
rivoluzionaria dentro il Prc, che si è costruita sul terreno del
marxismo conseguente, si caratterizzò da subito per una dura battaglia
politico-programmatica alternativa ai gruppi dirigenti del Prc,
entrando costantemente nella contraddizione di fondo che ha
caratterizzato questo partito: vocazione governativa dell'apparato e
della sua burocrazia e radicalità della parte più sana della sua base.
Una battaglia che aveva come fine non quello di conquistare un'area
d'influenza e di consenso all'interno del Prc in una logica
istituzionale ed elettoralistica, ma quella di costruire, dalle
impostazioni teorico-programmatiche, un'organizzazione di militanti e
di quadri (non limitandosi alla mera battaglia delle idee e al
riconoscimento formale e platonico dei rapporti d'organizzazione).
Questa prospettiva programmatica
ha segnato tutta la nostra vicenda politica all'interno del Prc, in
opposizione non solo al gruppo dirigente maggioritario ma anche
all'opportunismo che ha caratterizzato l'esperienza delle attuali
"tendenze critiche" (Ernesto, Erre-sinistra critica e, per motivi
differenti, Falcemartello). Fin dal primo congresso del Prc, a
differenza di altre aree, l'originario raggruppamento che si era
formato intorno all'associazione Proposta poneva, come risposta alla
crisi storica dello stalinismo e del riformismo, la necessità di una
rifondazione comunista rivoluzionaria. Al secondo congresso,
quest'impostazione, che di fatto ha rappresentato la centralità della
nostra lotta di frazione all'interno del Prc, entrava, nel 1994, in
collisione frontale con la formazione del "polo progressista". Si
trattava di una battaglia di tendenza che costruiva basi più solide nel
1996 al terzo congresso, dove la lotta al governo Prodi si combinava
con la costruzione di un'area di più ampio dissenso, che sulla base di
una piattaforma programmatica sempre più compiuta e articolata
(autonomia del movimento operaio; polo di classe anticapitalistico;
rifiuto della collaborazione con i governi della borghesia come punto
irrinunciabile dell'azione dei comunisti) al quarto e al quinto e tanto
più al sesto congresso ha rappresentato una base di riferimento
essenziale per la costruzione nel 2002, dopo un lungo processo di
chiarificazione e separazione da altre aree critiche e confuse,
dell'Amr Progetto Comunista: questa, indubbiamente, ha costituito
l'arena politica e organizzativa da cui è nata l'Associazione Progetto
Comunista-Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori, costituitasi come
strumento fondativo di un vero partito comunista in Italia.
In definitiva, tutta la nostra
esperienza dentro il Prc - l'azione di raggruppamento rivoluzionario e
la lotta di frazione intrapresa per oltre quindici anni - è stata
segnata dalla necessità di ricostruire un'autentica rifondazione
comunista, con la consapevolezza che, in assenza di un recupero dei
fondamenti politico-programmatici del marxismo rivoluzionario, sarebbe
nata una rifondazione mancata.
Un' impostazione, quest'ultima,
non certamente frutto di un'improvvisazione, poiché la storia del
comunismo conseguente si è mossa costantemente su questo terreno: Marx
ed Engels nella Prima Internazionale fecero una dura battaglia per il
ritorno al Manifesto del partito comunista; Lenin e Rosa
Luxemburg dalla sinistra della Seconda Internazionale, in forma
certamente creativa e innovativa (si pensi al concetto di imperialismo
e allo sviluppo della teoria leniniana sul partito e sulla questione
nazionale), fecero una consistente battaglia per il recupero del vero
Marx contro tutte le deformazioni revisionistiche, riformiste e
centriste: senza quel recupero dei fondamenti marxisti non sarebbe nato
il partito bolscevico come partito dirigente della rivoluzione di
ottobre; così come l'Opposizione di sinistra delle origini e
successivamente la Quarta internazionale solo recuperando i fondamenti,
che la socialdemocrazia e lo stalinismo avevano distrutto,
attualizzarono il marxismo.
L'esperienza pratica della
sinistra rivoluzionaria, che per quindici anni ha lottato dentro il
Prc, dimostra, seppur in embrione, che la costruzione di un partito
autenticamente comunista passa attraverso innumerevoli prove prima di
divenire il partito della rivoluzione proletaria. Con questa
consapevolezza e prospettiva storica, abbiamo ritenuto che la scissione
dalla frazione Ferrando e la nascita dell'associazione Progetto
Comunista-Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori fossero indispensabili
per realizzare, sulle basi programmatiche del leninismo, la scissione
dal Prc.
Dopo un comune lavoro di
costruzione della sinistra rivoluzionaria, di cui la nascita dell'Amr
Progetto Comunista ha rappresentato un risultato importantissimo, nel
momento in cui s'imponeva la scissione dal Prc con la componente
Ferrando, sono emerse, a partire dal terreno della politica
organizzativa, fratture insanabili: il partito perseguito da Ferrando
non era il partito leninista formato da militanti coscienti e da quadri
ben saldi; ma un partito che non distingue militanti e simpatizzanti,
raccolto attorno al guru, così come testimonia il neonato ferrandiano
Movimento per la costruzione del Partito comunista dei lavoratori,
confuso sul terreno programmatico, senza nessun riferimento al
trotskismo, né nel programma né nei simboli.
Ben diverso è il partito che
vogliamo realizzare: esso ambisce, per dirla con Lenin, a "ricostruire
il mondo (...) a mettere fine alla guerra imperialista mondiale che non
può terminare con una pace veramente democratica senza la più grande
rivoluzione proletaria della storia. E' tempo di gettar via la camicia
sporca, è tempo di mettersi la camicia pulita". E' tempo della nascita
del partito della rivoluzione proletaria.
Tesi 11 - L'INCONSISTENZA POLITICA DELLE "SINISTRE CRITICHE", INTERNE ED ESTERNE AL PRC
L'ingresso del Prc nel
governo confindustriale guidato da Romano Prodi ha avuto il merito di
rivelare la reale natura socialdemocratica e governista di questa forza
politica, mettendo allo stesso tempo in luce la sostanziale
subalternità delle correnti di minoranza all'attuale maggioranza uscita
vincitrice dal sesto congresso del partito. Questo evento ha inoltre
modificato, semplificandolo, l'intero quadro politico italiano: alla
sinistra dei gruppi socialdemocratici tradizionali (Sinistra Ds, Pdci,
Prc), si è aperto uno spazio inedito per la rappresentanza coerente
degli interessi delle classi subalterne.
Ernesto ed Erre sono le due
principali minoranze presenti all'interno di Rifondazione comunista. A
lungo unite nella gestione degli interessi del partito alla maggioranza
dell'attuale Presidente della Camera, esse sono state costrette, dal
precipitare degli eventi e dalla rapidità della svolta governista
attuata dalla maggioranza stessa, a dotarsi di un'"anima critica" che,
con il sostegno esplicito alla nascita del governo-Prodi e alle prime
misure volute da esso, di critico ha ormai solamente le sue condizioni.
Nella sostanza, esse non rappresentano nessuna alternativa reale
all'attuale gruppo dirigente: su tutte le questioni principali - quelle
cioè che storicamente hanno segnato il confine fra le forze
opportuniste e quelle genuinamente rivoluzionarie: guerra, sostegno ai
governi borghesi e alle loro misure anti-operaie, ecc - si sono infatti
schierate a favore delle decisioni prese dal Prc e dalla coalizione
alla quale appartiene; degli interessi materiali che questa coalizione
rappresenta, quindi collidenti, per loro natura, con quelli dei
lavoratori, degli immigrati e dei popoli oppressi, sacrificati ancora
una volta sull'altare della collaborazione di classe.
La vicenda del rifinanziamento
della missione militare in Afghanistan è esemplificativa in questo
senso: dopo aver a lungo sostenuto che il "no alla guerra" avrebbe
dovuto essere uno dei tratti distintivi della politica estera del nuovo
governo e che senza di esso non ci sarebbe potuta essere nessuna
convergenza con questo, hanno fatto, nel volgere di pochissimo tempo,
una imbarazzante marcia-indietro che li ha portati a rinnegare le loro
precedenti affermazioni, fino ad arrivare al voto favorevole in
Parlamento al rifinanziamento di una spedizione militare che ha come
unico scopo quello di far valere gli interessi di un capitalismo
italiano impegnato a non lasciarsi sfuggire parte del bottino derivante
dalle aggressioni e dallo sfruttamento delle risorse dei Paesi
coloniali. Lo stesso hanno fatto con la missione in Libano: l'Ernesto
con convinzione; Erre con qualche mugugno: entrambe, comunque, non
arrivando mai a mettere in discussione il leale sostegno al governo
imperialista.
Facendo una similitudine: se il
Prc all'interno dell'Unione ha la funzione specifica di mediare con il
mondo del lavoro e di far sì che esso possa accettare senza troppe voci
discordi quelle politiche che vogliono veder peggiorate le sue
condizioni di esistenza, le minoranze, all'interno del Prc hanno la
funzione analoga di far accettare al corpo del partito quelle politiche
e quegli attacchi, di modo che il dissenso possa spostarsi da questioni
di vitale importanza ad altre che di importanza ne hanno molta di meno.
Per concludere, siamo sicuri che la vita di queste due correnti come
entità autonome e riconoscibili all'esterno sarà breve, se mai c'è
stata. Non si può dar man forte ai governi borghesi nelle istituzioni e
criticarli sui giornali o nelle piazze: o si sta da una parte o
dall'altra. I dirigenti di queste aree sembrano già aver scelto di
stare dalla parte sbagliata.
A fare "opposizione interna"
resta solo il piccolo gruppo di Falcemartello, che non si capisce quale
prospettiva sia in grado di offrire a quei militanti disillusi che
cercano di convincere (pare con scarsi risultati) a rimanere nel Prc.
In un recente editoriale un dirigente di questa area, Claudio Bellotti,
assicura che un giorno "centinaia e migliaia di compagni si porranno
con noi la stessa domanda e daranno la stessa risposta". Come sempre
ignorando che il ruolo dei comunisti - appunto ruolo di avanguardia -
non sta nell'aspettare che emerga "un giorno" una risposta di classe,
ma consiste piuttosto nell'indicarla per tempo, la risposta comunista.
Significativo è il fatto che, in occasione del finanziamento della
missione in Afghanistan, la posizione di Falcemartello rispetto al
governo si traduceva nel ritenere "impraticabile" - perché, a loro
dire, "non comprensibile agli occhi delle masse" (!) - l'ipotesi di una
rottura del Prc con il governo Prodi... cioè con il governo della
borghesia italiana!
Discorso a parte merita il
neonato Movimento per il Partito comunista dei lavoratori di Ferrando,
uscito di recente dal Prc e impegnato nel costruire un soggetto
alternativo ai due poli della borghesia. Se il tratto distintivo delle
minoranze del Prc era quello di accodarsi supinamente alla volontà dei
Bertinotti e dei Giordano di turno, quello del Mpcl è di non avere un
programma riconoscibile. Ciò e senz'altro il risultato delle modalità
di aggregazione e di costruzione del partito esplicitamente teorizzate
dal leader: forza aperta a tutte le posizioni (anche opposte tra loro),
con un unico punto aggregante, l'opposizione ai governi di centrodestra
e centrosinistra (ma anche questa discriminante è in realtà una mera
enunciazione di principio senza traduzione coerente nella prassi, come
dimostra l'adesione a Mpcl di ex dirigenti opportunisti desiderosi di
riciclarsi e ben convinti della necessità di alleanza di governo con la
borghesia, almeno a livello locale). In pratica - e con un po' di
sforzo - la volontà generale che unifica il corpo-partito si riesce
anche a trovare: la negazione del leninismo e del bolscevismo nella
concezione della formazione e della strutturazione del partito.
L'aggregazione senza principi e priva di discriminanti politiche se in
un primo momento avrebbe potuto dare qualche frutto dal punto di vista
puramente numerico (cosa peraltro non avvenuta vista l'assenza di una
struttura organizzativa), alla lunga rischia di minare la solidità di
questo Mpcl, sempre più rassomigliante a un piccolo Arlecchino. La
rinuncia palese al patrimonio teorico e simbolico del trotskismo - cioè
del marxismo conseguente - è la prova dell'allontanamento del Mpcl -
nella prassi e nella teoria - dal marxismo-rivoluzionario. Dietro la
fumosa eloquenza del suo principale esponente questa organizzazione
nasconde il nulla o, peggio, l'opportunismo rivelato anche dalla
lettera inviata da Ferrando al Manifesto in cui egli precisa
senza possibilità di equivoco interpretativo che in caso di elezione a
senatore si sarebbe dimesso per non far pesare un suo eventuale voto
determinante e dunque per non far cadere il governo Prodi.
Oltre a queste formazioni più in
vista, esistono tanti piccolissimi gruppi che ruotano nella galassia
del movimento operaio ma che, per limiti propri, ad oggi sono dotati di
scarsa capacità di attrazione. Questi si possono - per semplificare -
suddividere in grandi famiglie, accomunate da un atteggiamento
settario: quella stalinista, o maostalinista, e quella bordighista.
Alla prima appartengono tutte quelle organizzazioni (Pmli su tutte) che
si caratterizzano per una retorica fumosa e per l'incomprensione di
alcuni elementi fondamentali (natura di classe delle formazioni
politiche, dialettica partito-classe, sviluppo dei processi
rivoluzionari) che spesso degenerano in analisi del tutto fuori dalla
realtà. Alla seconda appartengono quei gruppi (Lotta Comunista,
Battaglia comunista, Programma Comunista ecc) che, nonostante la
conservazione di parte del bagaglio analitico del
marxismo-rivoluzionario, con la loro pratica eludono la necessità della
costruzione di un partito che intervenga nelle lotte sulla base di un
programma transitorio. Da qui il rifiuto del parlamentarismo e (in
qualche caso) del lavoro nei sindacati; da qui il loro distacco dal
cuore pulsante di una classe che viene vista più come entità astratta
che come terreno nel quale svolgere il lavoro politico quotidiano.
Tesi 12 - IL RUOLO DEI DIVERSI SINDACATI
Nell'ultimo ventennio il
combinarsi di crisi capitalistica, stangate padronali e governative,
collaborazione di classe della burocrazia sindacale Cgil, Cisl e Uil,
mancanza del partito rivoluzionario, ha determinato un quadro
articolato di presenza sindacale di sinistra. L'opposizione da parte
del nuovo sindacalismo al modello concertativo non ha incrinato però la
forza della Cgil, mentre nel complesso delle sinistre sindacali - che
continuano a mancare di una volontà unitaria di battersi contro la
politica economia del governo - emergono spinte delle diverse
burocrazie riformiste e centriste a interloquire con le forze della
sinistra di governo in una logica di "pressione".
Il Congresso della Cgil del
giugno 1977 e la successiva Conferenza Nazionale di Cgil, Cisl e Uil
del 1978 all'Eur evidenziavano la determinazione da parte delle
burocrazie sindacali riformiste nel superare il modello sindacale
rivendicativo, affermatosi nelle lotte operaie e popolari degli anni
Sessanta e Settanta. Gli anni Ottanta sono segnati da gravi sconfitte e
arretramenti: l'accordo del 31 luglio 1992 segnava il culmine di questa
offensiva con l'eliminazione della scala mobile dei salari. Con
l'accordo del 23 luglio 1993 iniziava ufficialmente la fase del modello
contrattuale concertativo: il sindacato si faceva carico degli
"interessi generali" e delle "compatibilità di sistema". Si apre un
quindicennio che, a fronte dell'attacco congiunto di padronato e
governi, vede il sindacato gestire la pace sociale e contratti a
perdere. Le conseguenze sono note: perdita costante dei salari, dei
diritti e delle tutele.
Tra la fine degli anni Ottanta e
gli anni Novanta l'opposizione al modello sindacale concertativo
porterà alla costituzione di nuovi sindacati di sinistra. La Cub-Rdb,
maggiormente radicata nel pubblico impiego, è la più consistente, altri
sindacati minori sono organizzati sul modello Cobas.
Il secondo governo Prodi, nato
sullo sfondo di una persistente crisi del capitalismo italiano
associata al serio dissesto del bilancio pubblico, ritiene essenziale,
per attuare una politica di risanamento finanziario e rilanciare il
capitalismo italiano nei mercati europei e internazionali nella pace
sociale, aggiornare il modello contrattuale concertativo; una richiesta
condivisa dagli industriali, dalle banche, dai grandi commercianti e
sopratutto dalla burocrazia sindacale riformista in Cgil. La
Confindustria pone come obiettivo centrale della nuova concertazione il
recupero "di efficienza, produttività e redditività" dell'impresa
attraverso l'abbattimento del costo del lavoro, una maggiore
flessibilità e precarietà del lavoro salariato. Il tutto nel quadro di
un "patto costituzionale" che definisca regole e sanzioni, tali da
limitare lo stesso diritto di sciopero in tutte le categorie. E' lo
svuotamento del contratto di lavoro.
Il governo dell'Unione procede
sulla linea tracciata: la manovra finanziaria d'estate è solo
l'anticipo della stangata autunnale. Il Dpef per il 2007-2011 è
centrato sul risanamento finanziario dello Stato e sul rilancio del
capitalismo italiano. L'inflazione programmata dal governo continuerà
ad essere la camicia di forza di sempre che comprime il salario e le
lotte dei lavoratori. I tagli strutturali previsti con la finanziaria
del 2007 alla spesa pubblica nei settori del pubblico impiego, sanità,
enti locali e pensioni si abbatteranno come un uragano su quel che
rimane dello stato sociale, il salario indiretto sarà falciato, mentre
preparano lo scippo definitivo del Tfr/Tfs. Nessuna reale soluzione
alla disoccupazione dilagante nel mezzogiorno, al lavoro precario, alla
condizione dei lavoratori immigrati. Le condizioni di vita dei
lavoratori e delle masse popolari peggioreranno. Dall'altra parte
Confindustria ottiene quanto richiesto: taglio del cuneo fiscale per le
imprese e messa in conto dell'abolizione dell'Irap. La crisi ancora una
volta viene scaricata sui lavoratori e sulle masse popolari, alla
burocrazia sindacale riformista della Cgil e ai partiti della sinistra
di governo spetta il compito di garantire il consenso sociale ad una
politica di "lacrime e sangue" a senso unico.
Il maggiore sindacato del Paese,
la Cgil, assieme a Cisl e Uil si dichiarano soddisfatti della nuova
fase concertativa e partecipano ai tavoli programmatici (mezzogiorno
ecc) operativi in preparazione della finanziaria. La sinistra sindacale
in Cgil, la Rete 28 aprile, all'assemblea nazionale del 12 giugno 2006
a Roma, ha presentato un documento (con circa 60 firme, espressione
della sinistra riformista di Cremaschi, a cui si accodano Falcemartello
e Grisolia del Mpcl), assolutamente debole e vago nell'analisi e nella
proposta organizzativa e rivendicativa di fase. In quella sede siamo
stati l'unica organizzazione a fornire ai lavoratori un contributo di
analisi e una proposta programmatica rivendicativa alternativa. Il
portavoce nazionale della Rete 28 aprile in Cgil, Giorgio Cremaschi,
dopo aver annunciato di fronte ai primi atti di politica economica del
governo Prodi la necessità dello sciopero generale nel caso in cui le
indicazioni contenute nel Dpef avessero trovato applicazione nella
Finanziaria per il 2007, ha effettuato al Comitato Direttivo Nazionale
della Cgil, riunitosi il 18 settembre, una doppia capriola. Infatti, si
è astenuto, assieme agli altri esponenti della Rete 28 aprile in
quell'organismo, proprio sul "documento Cgil Cisl Uil sulla Finanziaria
2007". Un documento non solo di sostegno alla Finanziaria 2007 ma anche
per l'aggiornamento del patto concertativo con governo e padronato. In
questa capriola lo ha accompagnato il segretario nazionale della Fiom
Cgil, Rinaldini, che sul documento ha votato a favore, nascondendosi
dietro la foglia di fico della consultazione dei lavoratori.
La Cub-Rdb, dopo aver protestato
per non essere stata convocata dal governo il 12 giugno in occasione
della presentazione alle parti sociali della manovra finanziaria
estiva, ha organizzato una assemblea pubblica in presenza di esponenti
della sinistra di governo per presentare una proposta di legge per la
stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione; nel
contempo ha annunciato uno sciopero dei precari pubblici per il 6
ottobre: una prassi sindacale non concertativa, benché di pressione
sulla sinistra di governo. In questo quadro è importante l'iniziativa
lanciata dallo Slai Cobas all'assemblea nazionale del 13 maggio a Roma
per una manifestazione in autunno contro la politica economica del
governo sulla base di alcune rivendicazioni immediate unificanti.
Nel complesso le sinistre
sindacali mancano di una piattaforma unificante di fase, di una volontà
unitaria di battersi contro la politica economica del governo, mentre
emergono spinte da parte delle diverse burocrazie sindacali riformiste
e centriste a interloquire attraverso molteplici percorsi con le forze
della sinistra di governo. Il tutto in un contesto di oggettiva
debolezza della sinistra sindacale di classe.
Tesi 13 - I RIVOLUZIONARI DI FRONTE ALLO STATO BORGHESE. LA LOTTA PER IL POTERE
Il compito fondamentale dei
comunisti resta ancora oggi quello espresso nel Manifesto di Marx ed
Engels: guadagnare la maggioranza del proletariato, nel corso delle sue
lotte quotidiane, alla comprensione dell'impossibilità di riformare il
capitalismo e alla conseguente necessità di conquistare il potere
politico attraverso il rovesciamento dell'ordine borghese. Solo la
trasformazione del proletariato in classe dominante (cioè la dittatura
del proletariato) potrà aprire una strada di progresso per l'umanità
che conduca infine all'eliminazione della società divisa in classi e
alla cancellazione di ogni forma di oppressione.
Come scrisse Lenin: "La
necessità di educare sistematicamente le masse in questa (...) idea
della rivoluzione violenta è alla base di tutta la dottrina di Marx e
di Engels. Il tradimento della loro dottrina, perpetrato dalle tendenze
socialscioviniste e kautskiane (...) si esprime (...) nell'oblio di
questa propaganda".
La rimozione della teoria
marxista dello Stato si accompagna sempre con la riacquisizione delle
teorie riformiste (spesso presentate come una "novità" contrapposta al
"vecchio", alle "teorie novecentesche"). La differenza tra riformisti e
comunisti non è una differenza di percorsi per arrivare a una nuova
società (da una parte la via pacifica, legale del riformismo;
dall'altra quella demodé
La questione dell'atteggiamento
verso lo Stato ha sempre costituito un discrimine tra riformisti e
rivoluzionari. Così come la cartina di tornasole se immersa in una
sostanza acida diventa rossa e in una basica azzurra, così il rosso dei
rivoluzionari appare immediatamente quando ci si accosta al tema
decisivo dello Stato. Non è un caso che proprio a questo tema Lenin
dedicò il suo libro più importante (Stato e rivoluzione),
scritto nel corso della rivoluzione del 1917 per riarmare teoricamente
il partito bolscevico e prepararlo all'Ottobre. Lo fece ristabilendo la
reale dottrina di Marx ed Engels, ripulendola dalle incrostazioni
revisioniste. Oggi noi dobbiamo fare lo stesso lavoro ma raddoppiato
perché oltre alle falsificazioni dei riformisti si sono aggiunte quelle
dello stalinismo. Non si tratta di tornare al "Verbo" ma di capire come
nelle posizioni leniniste (e prima in quelle di Marx) si rispecchiano
le lezioni dell'intera esperienza storica del movimento operaio.
Per il marxismo lo Stato è il
prodotto dell'antagonismo delle classi. Non è cioè un'entità "neutra"
bensì uno strumento di parte, che serve a imporre il dominio di una
classe su un'altra; lo strumento grazie al quale la classe dominante
conserva il controllo dei mezzi di produzione.
Il potere dello Stato (da quello
democratico-parlamentare alla dittatura militare e al fascismo) si
fonda su "gruppi di uomini armati" (polizia, esercito), e sui guardiani
(magistratura, carceri) di una legislazione corrispondente agli
interessi della classe dominante.
Il fatto che lo Stato non sia
neutrale nello scontro tra borghesia e proletariato comporta
l'impossibilità di "conquistarlo" (magari attraverso una vittoria
elettorale) per "convertirlo" a un uso diverso. Se a determinati
rapporti di proprietà e produzione corrisponde una specifica struttura
statale, allora il proletariato che cerca di rovesciare quei rapporti
necessita di uno strumento affatto diverso. Ne consegue che i comunisti
si danno come obiettivo quello di infrangere lo Stato: "spezzarlo",
secondo la formula che Marx analizzò nell'esperienza della Comune di
Parigi del 1871 che costituiva appunto "la forma finalmente scoperta"
attraverso cui i lavoratori potevano esercitare il loro dominio, unendo
in un unico organismo il potere legislativo ed esecutivo. Spezzare lo
Stato, dunque, attraverso una rivoluzione (peraltro è questo l'unico
senso che può avere la parola, salvo riferirsi al moto dei corpi
celesti) e sostituirlo con un altro Stato, un altro dominio: al posto
della dittatura della classe borghese (esercitata da pochi uomini sulla
stragrande maggioranza), la dittatura del proletariato (esercitata
dalla maggioranza della popolazione contro una esigua minoranza). Una
dittatura, certo, perché solo in questo modo una rivoluzione può
difendersi dai tentativi della borghesia di riprendersi il potere; ma
una dittatura che a differenza di tutte quelle conosciute nella Storia
mira ad estinguersi, insieme con l'estinzione della società divisa in
classi.
L'essenziale dell'insegnamento
della Comune (che fu sconfitta per l'assenza di un partito marxista),
cioè la rivoluzione per "spezzare" lo Stato e sostituirlo con una
dittatura operaia, fu indicato dall'Internazionale Comunista dei primi
anni (prima dello stalinismo) come fondamento programmatico valido per
i partiti comunisti di tutto il mondo, a prescindere dalle differenze
esistenti tra un Paese e l'altro. Gli insegnamenti delle due "Comuni"
(quella perdente di Parigi e quella di Pietrogrado, vincente perché
diretta da un partito marxista) furono condensati nelle Tesi
dell'Internazionale sul parlamentarismo, mentre fu respinta ogni teoria
volta a presentare questi assi cartesiani come prodotto di una
inesistente "specificità russa" a cui contrapporre una "rivoluzione in
Occidente" -intesa come graduale riforma dello Stato per i Paesi a
capitalismo avanzato.
La concezione marxista dello
Stato e della rivoluzione non significa (a differenza di quanto si
vuole far credere con certe caricature) una passiva estraneità agli
strumenti della democrazia borghese in attesa di un messianico evento
rivoluzionario. Per i marxisti la rivoluzione va preparata anche usando
le istituzioni borghesi, cioè le elezioni e i parlamenti. Ma -e qui sta
la differenza con i riformisti- i comunisti partecipano alle elezioni
per fare propaganda al programma rivoluzionario e stanno in quelle aule
per prepararne la distruzione. Se eletti in assemblee rappresentative
agiscono non come legislatori tra i legislatori ma come propagandisti
di un'altra democrazia; in questo senso la loro partecipazione alle
istituzioni che è secondaria rispetto alla battaglia principale nei
luoghi di lavoro, nei sindacati, nei movimenti.
I comunisti, che pure
partecipano -se possibile- alle assemblee rappresentative, non possono
per nessun motivo far parte dei governi di qualsiasi grado. Non per
ossequio a qualche "comandamento" marxista ma perché -come l'intera
esperienza storica ha dimostrato- l'opposizione a ogni governo borghese
è il requisito indispensabile (ancorché non sufficiente) per liberare
le masse dalle illusioni in uno Stato e in una Democrazia "al di sopra
delle parti", riformabili e riempibili a piacimento di contenuti di
classe diversi, come bignè che possono essere riempiti di crema o di
cioccolato. Ecco dunque che l'opposizione a ogni governo borghese è
l'unica strada attraverso cui far arrivare i lavoratori a un programma
di indipendenza di classe e per questa via costruire -sulle macerie del
capitalismo- l'unico governo in cui possano entrare i comunisti: un
governo dei lavoratori per i lavoratori.
La battaglia contro la
partecipazione ai governi nel sistema capitalistico ha per questi
motivi sempre costituito il mezzo per liberare le masse dall'influenza
dei riformisti che (ecco il senso dell'espressione leniniana: "agenti
della borghesia nel movimento operaio") cercano di convincere con la
loro azione la classe operaia dell'inutilità di prendere il potere e
quindi la subordinano ai governi (e agli interessi) della borghesia.
L'opposizione di principio, su
cui si è fondata l'Internazionale Comunista, è stata poi sostituita
dagli stalinisti che (a partire dal VII Congresso del 1935) hanno
reintrodotto nel movimento operaio il morbo governista e teorizzato la
possibilità dei comunisti di partecipare a governi nel capitalismo.
In realtà non esiste
conciliazione possibile tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei
padroni e ogni tentativo di dimostrare il contrario lo ha confermato:
non c'è stato un solo caso in cui i lavoratori hanno goduto di benefici
-fossero pure minimi e immediati- per la presenza di loro
rappresentanti in governi costituiti nel sistema capitalistico. Anzi:
ognuna di queste esperienze si è rivelata una sconfitta e spesso una
tragedia: dalla partecipazione di Blanc al governo nel 1848, passando
per i fronti popolari degli anni Trenta; dalla collaborazione di
governo dei comunisti europei nel secondo dopo-guerra ai governi di
"unità nazionale" degli anni Settanta; dal cosiddetto "esperimento
cileno" di Allende ai "governi di sinistra" in Francia a fine anni
Settanta inizio anni Ottanta; dal primo governo Prodi in Italia al
governo Jospin in Francia; e poi ancora dal "modello Lula" in Brasile
ai governi di centrosinistra in Sudafrica; fino al secondo governo
Prodi... La lista è lunghissima ma non c'è un solo caso positivo per i
lavoratori: mentre in ognuno di questi casi la borghesia si è
rafforzata imponendo le sue politiche e indebolendo le reazioni della
classe operaia, asservita al carro padronale.
Così come la socialdemocrazia
odierna (ad es. Rifondazione) riparte dalle teorie governiste dei
riformisti e dello stalinismo, così il comunismo non può anche oggi che
ripartire dalla teoria del rifiuto di ogni collaborazione di governo
con la borghesia. Se un partito che si definisce comunista abbandona il
ruolo di opposizione ed entra in un governo borghese, abbandona il
compito principale dei comunisti. Lo stesso si può dire di quei partiti
che si definiscono comunisti e che invece di spiegare alle masse la
natura di classe dello Stato e dei suoi apparati repressivi, spargono
illusioni "nonviolente". In ogni Paese abbiamo visto in questi decenni
in azione quelle "bande armate a difesa del capitale" di cui parlava
già Engels, costituite dalle varie polizie ed eserciti, ufficiali e
clandestini (v. Gladio), il cui unico scopo è appunto quello di
difendere lo Stato della classe sfruttatrice dall'assalto futuro della
classe sfruttata, iniziando già oggi con l'ostacolare le manifestazioni
dei lavoratori e dei giovani. In Italia (Paese di grandi mobilitazioni
operaie) la natura di classe degli apparati repressivi è stata
particolarmente evidente: è la storia delle stragi di Stato (cioè
organizzate dagli apparati dello Stato, non certo "deviati") e degli
attacchi alle manifestazioni (come è successo decine di volte e da
ultimo, su grande scala, a Genova per il G8). Le teorie "gandhiane"
sono dunque incompatibili con il comunismo perché non fanno i conti,
per l'oggi, con la necessità di autodifesa di ogni lotta e rimuovono,
per il domani, il problema della violenta resistenza che le classi
dominanti opporranno a ogni tentativo di espropriarle.
dell'insurrezione
rivoluzionaria): a "metodi" diversi corrispondono prospettive diverse.
Per i comunisti la prospettiva del socialismo, per i riformisti quella
di un immaginario miglioramento di questa società immodificabile (il
capitalismo). Non è un caso quindi se ogni teoria riformista (che non
nasce nella testa di qualche filosofo ma si combina sempre con
l'integrazione di apparati all'interno del sistema borghese) finisce
con l'assumere l'orizzonte del capitalismo come invalicabile.
Tesi 14 - IL METODO DEL PROGRAMMA TRANSITORIO
La peculiarità del programma
dei marxisti rivoluzionari - rispetto all'impostazione della
socialdemocrazia che di socialismo "parla solo nei giorni di festa"
limitandosi ad elaborare un programma minimo di riforme compatibili col
sistema capitalistico - è il fatto che si basa sul tentativo di creare
un ponte tra le rivendicazioni attuali e la rivoluzione socialista.
Il programma di transizione
("L'agonia del capitalismo e i compiti della Quarta Internazionale; la
mobilitazione delle masse attorno al programma di transizione in
preparazione della conquista del potere") del 1938 - il testo politico
che ha dato un fondamento programmatico alla nascita della Quarta
Internazionale di Trotsky - è un testo chiave per comprendere il
corretto approccio dei marxisti rivoluzionari alla questione del
programma. L'essenza del riformismo e del centrismo di tutti i tempi
può essere individuata nel rifiuto dell'approccio transitorio, cioè
della necessità di connettere le rivendicazioni immediate delle masse
proletarie alla prospettiva anticapitalista.
Il metodo transitorio si
articola in tre momenti essenziali: l'obiettivo finale, gli obiettivi
immediati e il ponte tra gli uni e gli altri. L'obiettivo finale - che
trova la sua sostanza "oggettiva" nel fatto che si danno le premesse
concrete della rivoluzione proletaria - è la rivoluzione socialista, la
dittatura del proletariato, in funzione della costruzione del
socialismo. Come espresso nel programma del '38, "il compito strategico
della Quarta Internazionale non consiste nel riformare il capitalismo,
bensì nel rovesciarlo. Il suo fine politico è la conquista del potere
da parte del proletariato per assicurare l'espropriazione della
borghesia".
La peculiarità del programma di
transizione - rispetto all'impostazione della socialdemocrazia che di
socialismo "parla solo nei giorni di festa" limitandosi ad elaborare un
programma minimo di riforme compatibili col sistema capitalistico - è
il fatto che si basa sul tentativo di creare un ponte tra le
rivendicazioni attuali e la rivoluzione socialista. Questo ponte anche
oggi, come nel 1938, "consiste in un sistema di rivendicazioni
transitorie che partono dalle condizioni attuali e dal livello di
coscienza attuale di larghi strati della classe operaia e portino
inevitabilmente a una sola conclusione: la conquista del potere da
parte del proletariato". Lo strumento indispensabile per costruire quel
ponte, quindi per guadagnare la maggioranza delle masse politicamente
attive alla prospettiva rivoluzionaria, è il partito. In questo senso,
la crisi dell'umanità si risolve nella crisi della sua direzione.
Il senso degli obiettivi
transitori - cioè di una piattaforma di rivendicazioni che si proponga
di intercettare i bisogni delle masse - sta essenzialmente nel fatto
che nessuna rivendicazione può essere completamente realizzata sicché
sussiste il potere borghese. Il programma di transizione è lo strumento
attraverso il quale il partito guadagna le masse alla prospettiva
rivoluzionaria: tanto più si approfondisce la crisi sociale, tanto più
gli obiettivi immediati assumeranno una valenza rivoluzionaria.
Il metodo transitorio, benché compaia con questo nome solo nel Programma del 1938, è stato tuttavia nella storia l'elemento discriminante dell'azione dei marxisti rivoluzionari. Anche nel Manifesto del partito comunista del
1848, Marx ed Engels indicavano la necessità, ai fini della rivoluzione
proletaria, di una serie di "misure che appaiano economicamente
insufficienti e insostenibili, ma che nel corso del movimento
sorpassano se stesse e spingono in avanti". Similmente, la presa del
potere da parte dei bolscevichi nel 1917 in Russia è potuta avvenire
grazie all'acquisizione, da parte del partito, dell'approccio
transitorio: momento fondamentale furono le cosiddette "Tesi di
Aprile", presentate da Lenin nella primavera del '17. Queste tesi
ribadivano l'elemento centrale dell'approccio transitorio: la necessità
di guadagnare la maggioranza del proletariato - a partire dalla sua
avanguardia - alla prospettiva della rivoluzione socialista. Ne
derivava l'indicazione da parte di Lenin di una serie di obiettivi
adatti al contesto rivoluzionario, che in grado di portare, guadagnando
la maggioranza del proletariato, alla realizzazione del fine (la
dittatura del proletariato): nessun appoggio al governo transitorio,
passaggio di tutto il potere ai soviet, confisca di tutte le proprietà
terriere, nazionalizzazione (senza indennizzo) delle terre e delle
banche sotto il controllo dei soviet, passaggio del controllo della
produzione sociale ai soviet.
Lo stesso metodo ha
caratterizzato il programma varato dai primi quattro congressi
dell'Internazionale comunista, acquisito dalla maggioranza dei partiti
comunisti nazionali aderenti. In particolare, le tesi del III Congresso
dell'Internazionale comunista (1921) ribadivano la necessità di evitare
che i partiti diventino "ospizi di dottrinarismo puro": questo si può
fare solo attraverso l'individuazione di una serie (una piattaforma) di
obiettivi concreti che intercettino i bisogni immediati delle masse:
"In luogo del programma minimo dei centristi o dei riformisti,
l'Internazionale comunista pone la lotta per i bisogni concreti del
proletariato, per un sistema di rivendicazioni che nel loro insieme
demoliscano la potenza della borghesia, organizzino il proletariato,
costituiscano le tappe della lotta per la dittatura proletaria e
ciascuna delle quali, in particolare, esprima chiaramente uno dei
bisogni delle larghe masse, anche se queste masse non si collocano
ancora coscientemente sul terreno della dittatura del proletariato".
E' da questi concetti di fondo e
dall'acquisizione di questo metodo che anche oggi bisogna ripartire nel
programma di un partito comunista. Si tratta ovviamente di ridefinire
alcune rivendicazioni in relazione al mutato contesto storico; di
rilanciare la maggior parte di quegli stessi obiettivi che invece
rimangono pienamente attuali; ma soprattutto di riprendere il senso di
quelle parole d'ordine: cioè la capacità di rendere comprensibile, agli
occhi delle masse, la necessità di una prospettiva anticapitalista.
Tesi 15 - I COMUNISTI NEL SINDACATO
All'interno del sindacato
tende a differenziarsi uno strato burocratico che, pur elevandosi al di
sopra della massa rappresentata, mantiene con essa un rapporto
dialettico. La burocrazia sindacale riformista è sensibile al clima
sociale: si adatta ai momenti di ascesa e di riflusso delle lotte,
proprio per non perdere il contatto con la propria base sociale. I
comunisti devono costruire nei sindacati frazioni organizzate per
strappare alla burocrazia sindacale riformista l'egemonia nella classe.
Il sindacato è una delle forme
di organizzazione che i lavoratori si sono dati per difendere i propri
interessi immediati dalla sete di profitto del capitale. Per svolgere
questo ruolo il sindacato deve tendere ad organizzare la maggioranza
dei lavoratori. Nel corso del loro sviluppo nei sindacati si
differenzia uno strato burocratico riformista portatore di una linea di
collaborazione di classe. Questo strato, pur elevandosi al di sopra
della massa rappresentata, mantiene con essa un rapporto dialettico.
Esso è sensibile al clima sociale: si adatta ai momenti di ascesa e di
riflusso delle lotte, proprio per non perdere il contatto con la
propria base sociale.
Tale burocrazia trae la sua
origine e forza sia dal ruolo svolto di mediatore delle condizioni di
vendita della forza-lavoro nel mercato capitalistico, sia dai legami
sempre più profondi che instaura con la borghesia e i suoi governi,
tramite i partiti riformisti e centristi del movimento operaio.
L'approccio metodologico generale al lavoro dei comunisti nei sindacati
è pertanto finalizzato a strappare la massa dei lavoratori
all'influenza della burocrazia sindacale riformista e centrista: è la
lotta per l'egemonia rivoluzionaria. Volgere le spalle a questo lavoro
significa rinunciare alla lotta per l'egemonia nella classe.
I comunisti attivi nei sindacati
devono organizzarsi contro questo strato piccolo-borghese e
parassitario, lottare per la democrazia operaia, presentare proprie
piattaforme politico-sindacali su cui acquisire il consenso dei
lavoratori, avendo come prospettiva la costruzione del sindacato di
classe. Pur riconoscendo la centralità del lavoro nei sindacati, nel
contempo non bisogna fare di questi un feticcio nella lunga e difficile
battaglia per la rivoluzione socialista.
Nel corso delle lotte e al
culmine di esse, i lavoratori si danno altri strumenti organizzativi
come i Comitati di lotta, i Consigli di fabbrica e d'azienda (organismi
diversi dalle Rsu aziendali sia per le diverse modalità di elezione dei
delegati che per i connessi rapporti con le organizzazioni sindacali)
e, in fasi più avanzate, i Soviet. Queste strutture di democrazia
proletaria organizzano masse di lavoratori più ampie dei sindacati
stessi: compito del partito comunista rivoluzionario è la loro
conquista egemonica alla prospettiva rivoluzionaria, alla lotta per il
socialismo. Non è possibile neppure ipotizzare la rottura
rivoluzionaria del sistema capitalistico, la conquista del potere
politico della classe operaia, senza aver prima conquistato la
maggioranza della classe operaia, strappato il controllo di intere
categorie alla burocrazia sindacale riformista, conteso e vinto i
partiti riformisti e centristi nello scontro per l'egemonia nel
proletariato.
La riaffermazione della
centralità politica della classe operaia non è ideologica, ma deriva
dalla sua collocazione materiale nei meccanismi di estorsione del
plusvalore nell'ambito del modo di produzione capitalistico. Il
capitale vive solo nella misura in cui riesce a estorcere plusvalore,
che non deriva dalle macchine. Il capitalismo è condannato dalla
concorrenza tra capitali a portare al massimo grado l'utilizzo di
macchinari e l'automazione, ma non può portare fino in fondo questo
processo proprio a causa del fatto che il lavoro umano è l'unica fonte
di plusvalore.
Il vero problema che ha la
borghesia in questa fase storica è come mantenere i profitti a danno
dei lavoratori. La classe operaia italiana è oggi più frammentata,
precaria e flessibile, effetto combinato e composto della crisi
economica che viene scaricata sui lavoratori e della prevalenza nella
struttura produttiva del Paese della piccola e media impresa. Una
classe operaia più frammentata ha maggiori difficoltà nel difendersi,
deve quindi ricreare condizioni di unità al proprio interno.
L'organicità unitaria
dell'intervento dei comunisti nei sindacati è dato dal programma
politico-sindacale di rivendicazioni immediate e transitorie elaborato
dal partito. Il programma transitorio non solo deve tendere ad
unificare la classe, le diverse categorie e settori del lavoro
salariato, dei precari e dei disoccupati, le masse popolari mediante
una piattaforma unificante in funzione di una vertenza generale contro
il padronato e il governo; ma oltre a ciò nella sua articolazione deve
tendere a costruire un ponte tra le lotte immediate e la prospettiva
socialista.
Su questa base programmatica
sviluppiamo il nostro intervento diretto alla costruzione di
un'opposizione di classe e rivoluzionaria interna ai sindacati per
strappare la massa dei lavoratori dall'influenza dei burocrati
riformisti (cioè di chi antepone i propri interessi parassitari a
quelli della classe) e sindacalisti (cioè di chi antepone le
rivendicazioni immediate alla prospettiva socialista, giungendo a
negare la funzione dirigente e finanche la necessità del partito
rivoluzionario); miriamo al coordinamento attivo delle tendenze di
classe che si sviluppano e organizzano nella Cgil e negli altri
sindacati di sinistra nella prospettiva della costruzione del sindacato
di classe.
E' proprio a partire dalla lotta
contro le burocrazie sindacali riformiste e centriste che l'impegno dei
militanti comunisti nel sindacato deve essere indirizzato a rafforzare
il proprio partito, a conquistare le avanguardie che i lavoratori
esprimono nelle lotte alla prospettiva comunista, alla militanza nel
partito comunista rivoluzionario.
Tesi 16 - IL PARTITO D'AVANGUARDIA
La classe operaia non è
"scomparsa" e non può scomparire perché senza di essa non esisterebbe
il capitalismo. Anche la lotta di classe non è scomparsa e non può
scomparire finché esisterà una società divisa in classi in scontro tra
loro perché animate da interessi vitali inconciliabili. Ma la nascita
costante, con flussi e riflussi, delle lotte non conduce di per sé alla
prospettiva socialista. Essa necessita di un partito d'avanguardia che
partecipi a ogni lotta per tentare di ricondurla al suo logico
sviluppo: la prospettiva della conquista rivoluzionaria del potere.
Continua dunque a essere vero ciò che scriveva Trotsky diversi decenni
fa: "Senza il partito, al di fuori del partito, aggirando il partito,
con un surrogato del partito, la rivoluzione proletaria non può
vincere".
Una tesi ricorrente è quella
della "integrazione" degli operai nella società borghese; un'altra -
più audace - sancisce addirittura la "scomparsa" della classe operaia;
un'altra ancora descrive l'ineluttabile "riflusso" e "abbandono della
lotta" da parte degli operai. Queste teorizzazioni si rincorrono, con
poche varianti, da più di cento anni. Il primo a parlare di una mancata
"polarizzazione" tra le due classi estreme (negando così un postulato
dell'analisi marxiana) fu il revisionista Bernstein agli inizi del
Novecento. In genere, queste idee riemergono e trovano fortuna in
concomitanza con la deriva a destra dei partiti operai e con la loro
integrazione nel mondo borghese e nei suoi governi.
Di là dalla loro maggiore o
minore raffinatezza (Revelli non è certo all'altezza di Bernstein)
hanno come unico scopo quello di decretare (su pezzi di carta) la
vittoria "definitiva" della borghesia e del suo sistema sociale: o per
scomparsa immaginaria dell'antagonista (la classe operaia); o per la
sua presunta incapacità di battersi contro le classi dominanti: di
volta in volta per una questione di "frantumazione", "integrazione",
"assimilazione", ecc.
Ma il primo nemico di queste
teorizzazioni è la realtà concreta dei fatti. Il proletariato (inteso
non solo come classe operaia industriale ma, marxianamente, come la
massa di coloro che sono costretti a vendere la propria forza lavoro
per un salario) è in costante crescita, in parallelo con la
concentrazione progressiva del capitale (industriale e finanziario,
strettamente intrecciati). I salariati aumentano non solo su scala
internazionale (con l'apporto di nazioni popolose che si
industrializzano) ma crescono nei Paesi imperialisti: con lo stesso
sviluppo del Terziario (che impiega - come salariati - milioni di
lavoratori nei Trasporti e nelle Comunicazioni, che sono peraltro parte
integrante della produzione industriale); con la proletarizzazione dei
ceti medi nel Commercio (la grande distribuzione che assorbe il piccolo
negoziante); e persino nell'Agricoltura (in cui scompare la piccola
coltivazione a vantaggio delle grandi aziende).
Alla crescita oggettiva del
proletariato corrisponde anche uno sviluppo (con ritmi differenti tra i
diversi Paesi e con fasi alterne in ciascuno) delle sue lotte contro la
borghesia. Ciclicamente la classe operaia si mobilita. Ciò accade
perché la lotta di classe è inevitabile in una società divisa in classi
in cui chi domina ha necessità di sfruttare e chi è dominato deve
reagire per difendersi. Così come il movimento del diaframma nella
respirazione non può essere fermato indefinitamente dalla semplice
volontà, così la volontà dei "teorici" non può impedire il movimento
della classe operaia.
Ma le lotte e i movimenti non
sono di per sé sufficienti a rovesciare il sistema sociale esistente.
Per guadagnare successi immediati, anche parziali, per crescere su
scala nazionale e sovrannazionale, ogni lotta, ogni sciopero, ha
bisogno di collegamenti, di organizzazione, di una teoria generale e
della memoria delle lotte precedenti. Tutto ciò può essere assicurato
solo da un partito. Il partito e il movimento sono necessari l'uno
all'altro come spiega questa efficace immagine di Trotsky: "Senza
un'organizzazione dirigente, l'energia delle masse si volatilizzerebbe
come il vapore non racchiuso in un cilindro a pistone. Eppure il
movimento dipende dal vapore e non dal cilindro o dal pistone" (dalla
Prefazione del 1930 alla Storia della rivoluzione russa).
In alcuni casi, in assenza di un
partito (o di sua egemonia sul movimento) si possono determinare
crescite persino rivoluzionarie. Ma nessuna rivoluzione socialista è possibile in assenza di una direzione socialista che porti al movimento la coscienza socialista.
Il socialismo e la lotta di classe nascono, infatti, l'uno accanto
all'altra, non l'uno dall'altra. In questo senso, come argomenta Lenin
nel Che fare?, "la coscienza socialista è qualcosa di portato
nella lotta di classe dall'esterno [del rapporto produttivo
padrone-operaio] e non qualcosa che ne sorge spontaneamente". Ciò
perché nel suo sviluppo "spontaneo" la classe operaia tende a
subordinarsi all'ideologia dominante (quella che asserisce la
"naturalità" di un sistema di produzione in cui una minuscola minoranza
di uomini sfrutta la stragrande maggioranza dell'umanità, detenendo il
controllo dei mezzi di produzione).
Il processo di crescita della coscienza di classe avviene in modo discontinuo e contraddittorio. Discontinuo perché in fasi di lotta la coscienza dei lavoratori tende a superare il particolarismo e a ricercare forme di crescita; contraddittorio
perché il proletariato non è omogeneo ma è costituito da una serie di
fasce concentriche di numero crescente e di consapevolezza decrescente.
Se lo strato più avanzato è organizzato da un partito può guadagnare
nel corso delle lotte al programma rivoluzionario anche strati più
arretrati e rompere parzialmente l'altrimenti incontrastato dominio
ideologico della borghesia (basato sul suo dominio materiale).
Solo un partito può condurre la
classe operaia ad essere "classe per sé", cioè cosciente del proprio
ruolo di classe potenzialmente dominante, cioè alla coscienza socialista,
coagulando attorno a sé le classi subalterni e gli altri settori
oppressi. Questo partito non può che essere minoritario nelle fasi
ordinarie (laddove saranno maggioritari i partiti riformisti). Ma non
per questo deve attendere un'inesistente "ora X" per costruirsi: anzi,
potrà svilupparsi con ritmi velocissimi in una fase di ascesa della
lotta solo a condizione di arrivarvi preparato avendo lavorato a
organizzare la "fascia" più ristretta, quella più avanzata, quella
costituita dall'avanguardia (cioè da quei lavoratori che in una
determinata fase trascinano la lotta).
Questo partito di tipo
particolare - il partito d'avanguardia - che fu teorizzato e costruito
dai bolscevichi e grazie al quale essi vinsero nell'Ottobre '17 è il
partito che noi siamo impegnati a costruire. Un partito che intende
costruirsi, nelle lotte e nelle rivendicazioni di tutti i lavoratori e
di tutti gli oppressi; per questo la nostra azione nei confronti dei
lavoratori non può limitarsi al semplice appoggio frammentario di
singoli conflitti, ma deve andare oltre, nella direzione di una
ricomposizione di tutte le rivendicazioni degli sfruttati e degli
oppressi che abbia come motore, come leva centrale, la classe operaia
stessa.
Per farlo, è necessario
costruire un partito non solo programmaticamente ma anche
organizzativamente operaio; nella prima fase di costruzione è possibile
che il corpo militante del partito non sia a maggioranza operaia: la
natura di classe di un partito si determina anzitutto dal programma,
che a sua volta influisce dialetticamente sullo sviluppo della sua
composizione. Una corretta linea politico-organizzativa deve però
andare in questa direzione, secondo due direttrici generali: il
baricentro dell'azione e, appunto, il programma.
Il baricentro dell'azione, tra
gli operai e per la formazione di un numero sempre maggiore di quadri
operai del partito (ovviamente senza tralasciare ogni altra lotta che
attraversi la società e rifuggendo ogni ripiegamento operaista in senso
deteriore e settario); e il programma, perchè è a partire dalla
partecipazione alla lotta, sotto una direzione conseguente, che si può
sviluppare negli operai la coscienza socialista. Dunque il compito
principale in questa fase consiste nel massimizzare il nostro
radicamento nella classe, sviluppando in essa un'azione concentrata di
propaganda, agitazione e lotta, finalizzata alla costruzione di un
partito operaio d'avanguardia.
Tesi 17 - I PRINCIPI ORGANIZZATIVI DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO CHE VOGLIAMO COSTRUIRE
Il partito d'avanguardia è un
partito di quadri: solo così esso può trasformare in avanguardia
settori più larghi dei lavoratori. I criteri di iscrizione e più in
generale i principi politico-organizzativi su cui vogliamo costruire il
nuovo partito sono gli stessi su cui si è basato il marxismo
rivoluzionario dei bolscevichi, dell'Internazionale Comunista dei primi
anni e della Quarta Internazionale prima della sua disgregazione.
Dunque un partito di militanti, basato sul centralismo democratico,
cioè su un insieme di norme di funzionamento che, garantendo
l'elaborazione collettiva, il principio di maggioranza e i diritti
delle minoranze, consenta la massima efficacia del partito.
A ogni programma corrisponde un
partito. Il partito che vuole rovesciare il capitalismo è diverso da
tutti gli altri, è un partito d'avanguardia. Un partito che è
contemporaneamente integrato e separato (cioè distinto)
dalla classe, si propone di dirigerne la parte più avanzata e in
prospettiva di influenzarne settori di massa: è dunque un partito di
quadri. Perché questa è la condizione necessaria - lo sosteneva Lenin,
lo ha confermato tutta la storia successiva - per essere in grado "di
elevare strati sempre più ampi al livello dell'avanguardia". Un
partito, cioè, che non iscrive ogni manifestante e non è composto da
una massa amorfa di iscritti: seleziona e forma quadri dirigenti delle
lotte.
L'adesione al partito risponde
ai criteri già indicati dai bolscevichi nello scontro cruciale del 1903
che li contrappose alla concezione organizzativa (e quindi politica,
come si capirà meglio quando nel 1917 i menscevichi si schiereranno col
governo liberale borghese) dei menscevichi. Ovviamente noi non siamo
oggi paragonabili a un partito come quello bolscevico, nemmeno nei suoi
primi anni di vita. Ma, a differenza dei centristi (che relegano il Che fare?
alla "specificità russa"), noi non relativizziamo i concetti
politico-organizzativi del bolscevismo - che difatti erano intesi come
universali, tanto da costituire l'architrave delle tesi dei primi
congressi dell'Internazionale. Se le tappe di costruzione di un partito
sono differenti a seconda della sua taglia, i principi generali non
mutano.
I criteri per l'adesione al
partito sono: la condivisione del programma generale, la militanza
regolare, il pagamento delle quote per il finanziamento del partito,
l'accettazione della disciplina e cioè del centralismo democratico. La
distinzione tra militanti e simpatizzanti (cioè coloro che manifestano
una condivisione generale ma non sono disponibili a sottostare ai
criteri qui elencati) deve essere chiara. Solo con la militanza si
acquisisce il diritto di definire la linea e le strutture del partito.
E' questa peraltro l'unica forma non solo efficace ma anche
effettivamente democratica, che rifugge dalla finta "apertura" dei
partiti di massa, in cui chiunque, purché iscritto, ha diritti
decisionali anche se non partecipa alla militanza, alla discussione e
alla costruzione quotidiana del partito (finendo così abitualmente per
sostenere acriticamente il leader di turno).
L'adesione è una scelta
individuale ma anche il partito ha il diritto di valutare l'effettiva
condivisione di chi vuole entrare nelle sue file. Per garantire questa
possibilità, ogni nuovo militante è per una fase iniziale (di sei mesi)
"candidato"; ha cioè gli stessi doveri degli altri militanti, ma non
gode di diritti elettorali e ha solo voto consultivo. Al termine di
questa fase, sarà la sua struttura di base a votare sull'accettazione
come militante effettivo.
Il principio
politico-organizzativo che informa il partito che noi vogliamo
costruire è il centralismo democratico. Non la sua caricatura
stalinista, ma la modalità attuata dal partito bolscevico e dalle
sezioni dell'Internazionale Comunista nei primi anni, così come dalle
sezioni della Quarta Internazionale prima della sua disintegrazione
negli anni Cinquanta.
Il centralismo democratico non è
una norma giuridica astratta ma una modalità per garantire l'attuazione
degli scopi rivoluzionari del partito. Esso prevede una forte
centralizzazione e una disciplina senza le quali il partito non
potrebbe porsi il compito storico di dirigere le masse contro la
vecchia società borghese.
Il centralismo democratico
prevede la massima discussione interna, intesa non come un esercizio
per l'affermazione individuale, ma come passaggio per l'assunzione di
scelte corrispondenti alle necessità del partito, frutto di
un'elaborazione realmente collettiva, che coinvolga l'intero corpo
militante e che non siano assunte in solitudine da qualche leader più o
meno illuminato.
Perché la discussione sia però
realmente funzionale a un partito concepito come organizzazione di
lotta, essa deve essere regolamentata dal principio di maggioranza, che
implica la piena e leale disciplina di ciascuno e di eventuali
minoranze nel momento dell'attuazione della linea discussa, così che il
partito si presenti all'esterno in modo uniforme, con una completa
unità nell'azione. Perché la disciplina sia reale e frutto di
convinzione è necessario che il partito garantisca sia durante la fase
di elaborazione di una scelta che successivamente - fermo restando
l'applicazione unitaria - la possibilità di ogni minoranza di diventare
maggioranza. Ciò implica il riconoscimento del diritto di costituire
tendenze (quando il disaccordo è su singole questioni) e frazioni
interne (quando il disaccordo è su aspetti generali) per sostenere in
modo organizzato, con altri militanti, una battaglia politica tesa a
modificare gli orientamenti del partito.
Divergenze di vedute e, se
necessario, tendenze e frazioni interne fanno parte della fisiologica
attività di un partito vivo. Altra cosa è la frazione pubblica (cioè
con esplicitazione all'esterno del partito di posizioni diverse da
quelle assunte a maggioranza): essa può essere consentita dal partito
solo in casi estremi (come ultimo tentativo per mantenere un quadro
unitario) ma non costituisce un diritto in ogni fase, bensì l'eccezione
alla norma. Anche in questi casi, tuttavia, ogni militante del partito
si disciplina sempre nell'azione alla linea definita a maggioranza.
TESI 18 - PERCHÉ UN PARTITO TROTSKISTA
Gli assi fondamentali del
nostro partito sono quelli del marxismo rivoluzionario: un lungo filo
rosso che a partire dalla Lega dei comunisti di Marx ed Engels si
sviluppa nella costruzione del partito bolscevico di Lenin e nella
Rivoluzione d'Ottobre; quindi nella costruzione della Terza
Internazionale di Lenin e di Trotsky, come partito della rivoluzione
mondiale; infine nella lotta di Lenin fino al 1924 e dell'Opposizione
di sinistra animata da Trotsky contro la degenerazione burocratica
stalinista, fino alla fondazione della Quarta Internazionale.
La lotta per la costruzione del
partito rivoluzionario nel nostro Paese ha una lunga e travagliata
storia, una storia che affonda le proprie radici nella storia del
marxismo rivoluzionario mondiale. Il movimento comunista fin dalle
origini esprime una vocazione internazionalista. Marx ed Engels,
infatti, intesero costruire la Lega dei comunisti (1847-1852) come
partito rivoluzionario mondiale, il cui testo programmatico, Il Manifesto del Partito comunista del
1848, dopo oltre centocinquanta anni conserva la sua attualità. I
contributi teorici e politici di Marx ed Engels si svilupparono nel
corso della seconda metà del XIX secolo: nell'ambito della battaglia
politica nella Prima Internazionale; nell'approfondimento dell'analisi
del modo di produzione capitalistico e della critica dell'economia
politica; nella analisi dell'origine e della natura dello Stato; nella
acquisizione degli insegnamenti emersi nella prima rivoluzione
proletaria, la Comune di Parigi, quali la necessità della distruzione
dell'apparato statale borghese e l'edificazione di un nuovo potere
statale operaio basato sulla dittatura del proletariato per
l'emancipazione del lavoro. In questi contributi ed analisi, qui
schematicamente indicati, diedero un contenuto materiale all'analisi
dialettica e alla costruzione di partiti rivoluzionari.
Lenin contribuirà in modo
determinante allo sviluppo del marxismo liberandolo dal revisionismo
riformista dominante nella Seconda Internazionale, coniugando la lotta
per la costruzione del partito rivoluzionario, su solide basi
programmatiche e organizzative, all'approfondimento dell'analisi
dell'imperialismo e della guerra. La lezione leninista sta nel fatto
che il partito non rappresenta un fine in sé, bensì uno strumento. E,
come tale, ad esso corrisponde un programma. Dunque, un partito è un
programma, il programma per la rivoluzione. La Terza Internazionale
delle origini, i cui primi quattro congressi condensano l'esperienza
storica fino ad allora accumulata, proprio in quanto partito mondiale
della rivoluzione socialista, doveva assicurare la direzione della
rivoluzione mondiale, perché il socialismo si costruisce sul terreno
internazionale. La sua ultima battaglia Lenin la dedicò a salvaguardare
lo Stato operaio nato dalla rivoluzione contro i primi segni della
degenerazione burocratica, quando iniziava a delinearsi una casta
parassitaria che proprio per difendere i propri privilegi si
contrapponeva socialmente alla classe operaia e politicamente al
programma del marxismo rivoluzionario, che cominciava ad avere in
Stalin il proprio massimo rappresentante. Una battaglia portata avanti
da Trotsky e dall'Opposizione di sinistra.
Il contributo di Trotsky al
marxismo rivoluzionario è stato vitale per il successivo sviluppo sulle
proprie basi: dall'analisi del fascismo alla teoria della Rivoluzione
permanente; dalla lotta contro il settarismo del terzo periodo
("socialfascismo") alla lotta contro i fronti popolari (di
collaborazione con la "borghesia democratica" nei Paesi imperialisti e
subordinazione alle borghesie nazionali nei Paesi dipendenti) di una
Terza Internazionale ormai definitivamente stalinizzata ed in via di
scioglimento; dalla necessità della rivoluzione politica negli Stati
operai degenerati, proprio per aprire la strada verso il socialismo ed
impedire la restaurazione capitalista da parte della burocrazia
stalinista "divenuta l'organo della borghesia mondiale dello Stato
operaio", alla fondazione nel 1938 della Quarta Internazionale, come
partito mondiale della rivoluzione socialista. Il cui testo
programmatico, L'agonia del capitalismo e i compiti della Quarta Internazionale, più noto come Il programma di transizione,
sintetizza le acquisizioni teoriche e le esperienze, sul terreno della
lotta di classe internazionale, nella fase successiva alla vittoria
della Rivoluzione d'Ottobre: un testo che ancora oggi mantiene tutta la
sua attualità.
In questo senso, il partito che
vogliamo è un partito trotskista, poiché il trotskismo ha rappresentato
e rappresenta la reale continuazione del bolscevismo e della
Rivoluzione d'Ottobre; anzi, l'unico ed autentico sviluppo del marxismo
rivoluzionario sulle fondamenta politico-programmatiche del leninismo.
Un partito impegnato a guadagnare la maggioranza politicamente attiva
dei lavoratori ad un progetto di trasformazione rivoluzionaria della
società attraverso il radicamento nei luoghi di lavoro e la
partecipazione alle lotte sulla base di un programma di rivendicazioni
transitorie; un partito che non disdegna anche la presenza
"strumentale" nelle istituzioni borghesi (allo scopo, cioè, di
"utilizzarle" come tribuna per l'agitazione rivoluzionaria) per
"mobilitare le masse sulle parole d'ordine della rivoluzione
proletaria" e ben consapevole che "il parlamento non può essere in
nessun caso (...) il teatro di una lotta per delle riforme e per il
miglioramento delle condizioni della classe operaia" (Tesi sul parlamentarismo del II Congresso dell'IC).
Il partito che noi vogliamo è
quello che combatte una battaglia senza quartiere contro i principali
nemici dei comunisti e della classe operaia: la socialdemocrazia e lo
stalinismo, entrambi assertori di un revisionismo antimarxista che
passa attraverso l'eliminazione dei concetti cardine che presidiano il
processo di emancipazione delle masse: la rivoluzione bolscevica e la
dittatura del proletariato.
Il crollo dello stalinismo e la
crisi della socialdemocrazia, da un lato; dall'altro, la ripresa della
lotta di classe e la resistenza dei popoli alle aggressioni coloniali
ripropongono il programma della rivoluzione socialista internazionale
che riconduca la produzione e le risorse naturali sotto il controllo
cosciente delle masse lavoratrici. Solo un partito trotskista che fa
proprio il patrimonio teorico e politico del marxismo rivoluzionario,
il cui filo rosso è stato qui sommariamente descritto, può
rappresentare una soluzione alla crisi di direzione del movimento
operaio nel nostro Paese e sul terreno internazionale.
Tesi 19 - LA RIFONDAZIONE DELLA QUARTA INTERNAZIONALE
La costruzione del partito
sul piano nazionale deve congiungersi alla più ampia costruzione
dell'Internazionale rivoluzionaria: la Quarta Internazionale. E'
responsabilità storica dello stalinismo aver negato, tra gli altri,
questo principio del marxismo mediante la teoria controrivoluzionaria
delle "vie nazionali al socialismo". La rifondazione della Quarta
Internazionale può avvenire solo a partire dal recupero dei principi
espressi nel suo programma originario. Le nostre relazioni
internazionali e il nostro impegno muovono da queste basi.
Il lavoro di costruzione di un
partito comunista marxista rivoluzionario non può essere separato da
quello, analogo, che deve svolgersi sul piano internazionale. Senza
un'Internazionale rivoluzionaria del proletariato non vi è soluzione
sul piano nazionale per l'avanguardia proletaria. Il dominio che le
burocrazie stalinista e riformista hanno esercitato sul movimento
operaio italiano ha distolto le masse - e addirittura le avanguardie -
dalla consapevolezza e dalla piena comprensione di un principio
fondante del marxismo rivoluzionario: che ogni sviluppo del movimento
operaio rivoluzionario è sempre stato legato alla sua organizzazione in
forma internazionale.
Già nel Manifesto del partito comunista
del 1848 Marx affermava la vocazione internazionale del partito dei
comunisti. Ed è stata sempre questa l'impronta che ha distinto il
marxismo rivoluzionario nelle pur diverse epoche della Prima, Seconda e
Terza Internazionale. Il partito rivoluzionario della classe operaia,
in altri termini, non può che avere una caratterizzazione ed una
realizzazione internazionali: il palcoscenico della lotta di classe,
infatti, non è limitato a questo o a quel Paese ma è esteso all'intera
realtà globale; e, d'altro canto, la prospettiva socialista ha un senso
(ed è possibile come sistema sociale alternativo) solo a livello
mondiale. La natura rivoluzionaria ed internazionalista del movimento
operaio non è stata un'invenzione del marxismo. Al contrario,
quest'ultimo si limitò ad esprimere ed a riconoscere tale natura.
Tuttavia, proprio la burocrazia
staliniana ha capovolto integralmente questa verità: prima trasformando
l'Internazionale comunista da strumento rivoluzionario in strumento
controrivoluzionario e poi sciogliendola ufficialmente per dar vita
alle varie "vie nazionali", alla collaborazione di classe o, in
situazioni particolari, ad un processo di trasformazione sociale
deformata da un dominio burocratico, che ha poi portato alla
restaurazione del capitalismo.
La Quarta Internazionale,
peraltro, nata in circostanze politiche internazionali sfavorevoli,
sullo sfondo di un gigantesco arretramento del proletariato mondiale e
di una fase di reazione da parte delle classi dominanti e di crisi
delle masse, ha avuto il merito storico di aver proclamato la vigenza
della rivoluzione proprio quando si riteneva definitiva la sconfitta
del movimento operaio internazionale; tuttavia, era troppo debole nel
momento della sua nascita per modificare a livello di massa questa
situazione, dovendosi battere contro i colpi incrociati dello
stalinismo e del fascismo, che ne eliminarono i principali dirigenti
nei primi anni di vita.
Negli anni successivi è stata
inoltre intaccata, nella sua maggioranza, da una progressiva
degenerazione politica subendo divisioni organizzative profonde.
L'origine di questa degenerazione va individuata negli errori e nei
limiti di una direzione che, a partire dagli anni Cinquanta, ha avviato
una contraddittoria politica di revisione e di liquidazione degli
obiettivi stessi fondanti la Quarta Internazionale. Sotto la guida di
Pablo e Mandel, la Quarta Internazionale ha iniziato a scindersi e
dividersi, a negare i fondamenti del partito leninista, a capitolare
dinanzi allo stalinismo e a riconoscerne il presunto "sviluppo a
sinistra" e, quindi, a sciogliersi nei vari movimenti riformisti,
stalinisti o nazionalisti (di qui l'appoggio ai vari Tito, Gomulka, Ben
Bella, Castro, Ortega, ecc). In sostanza, è stata tutto fuorché la vera
avanguardia mondiale del marxismo-rivoluzionario.
Eppure, la battaglia per la
rifondazione dell'Internazionale rivoluzionaria costituisce un elemento
centrale della battaglia politica dei comunisti. Trotsky affermava nel
1934 che "il proletariato ha bisogno di un'Internazionale, in tutti i
tempi ed in tutte le circostanze. Se ora non esiste, è necessario dirlo
apertamente e mettersi da subito a prepararla".
E, proprio per questo, la
battaglia politica nostra, che ci accingiamo a costruire in Italia il
partito rivoluzionario della classe operaia, non può prescindere
dall'impegno per la rifondazione dell'Internazionale rivoluzionaria dei
lavoratori, la Quarta Internazionale, laddove il numero indica un
programma e un lascito storico.
Ciò da cui si deve partire è
l'attualità della rivoluzione proletaria perché attuali sono le sue
premesse oggettive (la crisi della società) e soggettive (l'esistenza
di una classe rivoluzionaria): e la connessione fra tali premesse è
stata operata solo dal programma (e dall'Internazionale) trotskista.
Solo il programma (e l'Internazionale) trotskista integra la lotta
antiburocratica nella prospettiva della rivoluzione anticapitalista e
proletaria mondiale: è l'unico programma che oggi - nella dichiarata
continuità col bolscevismo dell'Ottobre, con le prime tre
Internazionali e con la parola d'ordine principale del marxismo, la
dittatura del proletariato - difende esplicitamente la prospettiva
storica del socialismo.
Per dare una prospettiva di
vittoria alla classe operaia occorre partire dal recupero di quel
programma e di quell'Internazionale, soprattutto oggi che la crisi
congiunta del capitalismo, della socialdemocrazia e dello stalinismo
apre uno spazio storico sociale e politico obiettivamente più ampio per
il rilancio di quel programma e del suo partito mondiale. L'obiettivo
non è quello di raggruppare dunque sulla base di provenienze politiche
di singoli e di organizzazioni ma sulla convergenza
politico-programmatica. Ovviamente ciò va fatto a partire dalle forze
che già si richiamano al trotskismo: avendo però presente che la gran
parte delle organizzazioni che derivano dalle diverse scissioni della
Quarta Internazionale originaria si collocano oggi su posizioni
centriste o riformiste.
Il Segretariato Unificato (Suqi)
non solo ha abbandonato da anni, anche formalmente, il concetto stesso
di dittatura del proletariato ma oggi pratica politiche riformiste in
vari Paesi, ad esempio: in Italia, la sua sezione (Erre) sostiene
"criticamente" il governo imperialista di Prodi; in Brasile, la
maggioranza dei militanti del Su sostiene il governo Lula. Lutte
Ouvrière (Lo), pur collocandosi su un terreno più avanzato sul piano
teorico, nella pratica è viziato da posizioni "operaiste" e non
interviene nelle lotte sulla base di un programma transitorio. In
questo modo Lo - che pure è una forza numericamente significativa -
finisce col diventare un ostacolo alla crescita in Francia di un
partito trotskista. Le altre organizzazioni di derivazione trotskista,
piccole e grandi, dal Swp britannico al Cwi-Militant, dall'Imt (la
corrente di Falcemartello) alle altre, coniugano un sostanziale
allontanamento dalle posizioni fondamentali del marxismo rivoluzionario
con vari adattamenti opportunistici. Il Coordinamento per la
Rifondazione della Quarta Internazionale (Crqi), con cui Pc-Rol ha
rotto al momento della scissione con la frazione di Ferrando in Italia,
sta conoscendo una deriva al contempo opportunista e settaria, come
testimoniano le posizioni assunte dal suo gruppo italiano (Mpcl, di cui
parliamo in altre tesi) o le politiche espresse dalla sua unica
organizzazione numericamente significativa, il Partido Obrero (Po) che
coniuga una ideologia "piquetera" e populista (in sostituzione del
concetto di centralità operaia), con un atteggiamento "codista" verso
le direzioni nazionaliste delle lotte (si veda la posizione assunta su
Hezbollah). Di là dalla proclamata volontà di contribuire a "rifondare
la Quarta Internazionale", il Crqi si atteggia in modo settario verso
ogni altra organizzazione, utilizzando il metodo delle polemiche
infondate e degli attacchi denigratori calunniosi. Questo approccio ha
condotto il Crqi invece che a contribuire al raggruppamento
internazionale prima a uno stallo (dalla sua nascita non ha aggregato
nuove sezioni) e infine a perdere ampi settori (tra cui la maggioranza
della sezione più numerosa dopo l'Argentina, quella italiana).
In questo quadro, abbiamo
intrapreso la nostra costruzione come partito sul piano internazionale
partendo dal lavoro di verifica delle divergenze e convergenze che
possono sussistere con le due più grandi tendenze internazionali che si
richiamano al trotskismo conseguente, la Lit-Ci (Lega internazionale
dei lavoratori-Quarta Internazionale) e la Ft-Ci (Frazione
trotskista-Quarta Internazionale). Questo confronto - al quale abbiamo
invitato anche altre organizzazioni che hanno nel proprio orizzonte i
principi del marxismo rivoluzionario - ha per noi la funzione di una
chiarificazione delle rispettive posizioni; e costituisce anche
metodologicamente un passaggio importante nel processo della
rifondazione della Quarta Internazionale, che rappresenta l'obiettivo
comune di tutti i soggetti indicati.
Tesi 20 - LE OPPRESSIONI DOPPIE
Le discriminazioni sessuali
ed etniche all'interno della società capitalista rappresentano
strumenti formidabili di dominio da parte del capitale, nonché una
forma ulteriore, "doppia", di oppressione. La classe lavoratrice,
organizzata in partito rivoluzionario, deve far proprie le istanze di
liberazione delle donne, degli omosessuali, dei lavoratori immigrati e
lottare per il cambiamento delle loro condizioni di vita, per
l'acquisizione dei diritti essenziali, ma all'interno di un sistema di
rivendicazioni transitorie che prospettino l'abolizione della proprietà
privata e un nuovo potere della classe degli sfruttati.
Le oppressioni di genere,
etniche e quelle legate alle scelte sessuali sono create e mantenute
dal sistema capitalista che se ne serve per perpetuarsi. A tale scopo
la borghesia si serve di immensi strumenti di propaganda a livello
ideologico; mette in campo le proprie istituzioni statali, poliziesche,
religiose per esercitare il proprio dominio sulla classe lavoratrice e
creare divisioni al suo interno tentando di occultare la vera divisione
strutturale esistente tra borghesia e classe salariata.
La doppia oppressione di classe
e di genere colpisce le donne a tutte le latitudini e a tutt'oggi non è
risolta la questione della disuguaglianza tra uomo e donna. Tutte le
conquiste di emancipazione delle donne realizzate nei Paesi a
capitalismo avanzato, alcune delle quali come sottoprodotto di lotte
rivoluzionarie da parte dell'intera classe operaia, nella realtà dei
fatti hanno portato ad una uguaglianza formale ma non hanno risolto il
problema dell'oppressione. Tali conquiste ponendosi esclusivamente
nell'ambito della "questione di genere", quindi in ambito culturale
all'interno del sistema di produzione dato, sono soggette a continue
retrocessioni a seconda di come la cultura dominante si impone come
apparato sovrastrutturale della borghesia.
L'esaltazione della famiglia
borghese, monogamica, patriarcale e l'imposizione sociale
dell'eterosessualità sono funzionali al controllo sociale. Lo Stato e
le gerarchie vaticane accentuano le discriminazioni omofobe
scomunicando l'omosessualità come "peccato" e approfondiscono le
discriminazioni di genere attraverso politiche familistiche che
relegano le donne ai ruoli di riproduzione della forza lavoro e di
custodi del "focolare domestico". Nel mercato del lavoro le donne sono
le prime ad essere soggette a disoccupazione, licenziamenti,
flessibilità, bassi salari e rappresentano un esercito di riserva da
utilizzare all'occorrenza come fonte di risparmio per il capitale,
nell'erogazione di lavoro gratuito. Lo smantellamento dello stato
sociale, le privatizzazioni dei servizi e le politiche familistiche,
portati avanti da governi di centrodestra e di centrosinistra sono la
dimostrazione di come il capitale gestisca a suo vantaggio l'entrata o
l'uscita delle donne dalla sfera del pubblico a quella del privato.
Tale sistema di sfruttamento si amplifica per le donne immigrate che
oggi rappresentano una fascia di proletariato consistente privo dei
diritti più elementari e al quale il sistema affida, per lo più,
proprio quei lavori di cura e di conservazione degli ambiti familiari
di cui ha necessità per automantenersi.
La campagne ideologiche dello
Stato e della Chiesa a sostegno del modello di famiglia borghese
impediscono l'espressione di una libera sessualità da parte delle
donne, degli uomini e dei giovani. Vengono messi in discussione il
diritto alla procreazione libera e responsabile attraverso attacchi
ripetuti alla legge 194, impedimenti alla procreazione medicalmente
assistita, controllo ossessivo sul libero uso dei mezzi contraccettivi;
vengono considerati devianti rispetto ai modelli imposti, tutte le
esigenze di riconoscimento delle unione tra gay, lesbiche e
transessuali. E' necessario dunque che l'intera classe lavoratrice
faccia proprie le istanze di liberazione delle donne e degli
omosessuali: dal diritto al lavoro e a un salario dignitoso, ad una
libera scelta un tema di maternità, ai Pacs, ai matrimoni, alla
procreazione medicalmente assistita, all'adozione, perché anche
attraverso la conquista di questi diritti è possibile scardinare
l'istituzione familiare borghese, e fungere da grimaldello per
l'abbattimento di questo sistema di oppressione.
Anche le forme di oppressione
che gli immigrati vivono in questa società hanno a che vedere con una
logica superiore che determina tutto il resto: la necessità del
capitale di riprodursi continuamente, di superare i momenti di crisi
puntando su forza lavoro poco qualificata e a basso costo, priva di
diritti, da poter sfruttare ed espellere a piacimento. Allo stesso
tempo la borghesia ha interesse a mantenere migliaia di lavoratori e
lavoratrici immigrati/e nella clandestinità per renderli più
ricattabili, per dividere e indebolire la classe operaia, alimentando
pregiudizi razzisti e xenofobi, riconducendo la loro presenza a
questione di ordine pubblico. Governi di centrodestra e di
centrosinistra non si distinguono nelle politiche di controllo
poliziesco delle frontiere, di programmazione dei flussi, di
segregazione degli immigrati in quelle vere e proprie galere che sono i
Cpt.
In una prospettiva immediata è
necessario lavorare per l'unificazione di questa importante frazione di
lavoratori con la classe operaia italiana, combattendo tutti i
pregiudizi razzisti e xenofobi. E' tutto il movimento operaio che deve
far proprie le battaglie per il diritto di asilo, per il permesso di
soggiorno per tutti, per l'abolizione dei Cpt, per i diritti di
cittadinanza, politici e sociali, per l'abolizione delle leggi Bossi
Fini e Turco-Napolitano; allo stesso tempo sul versante sindacale i
comunisti devono battersi per la loro sindacalizzazione e l'inserimento
di specifiche rivendicazioni contro bassi salari, lavoro nero,
supersfruttamento, in una vertenza generale del mondo del lavoro che
riunifichi l'intera classe lavoratrice.
Nella costruzione del partito
rivoluzionario, lottiamo contro ogni discriminazione sessuale ed etnica
per la conquista dei diritti democratici e di cittadinanza, favorisce
l'autorganizzazione delle donne, degli omosessuali e degli immigrati e
lavora affinché essi maturino la coscienza che ogni eventuale conquista
in ambito democratico borghese non risolve le singole oppressioni di
genere, di orientamento sessuale ed etnico e che soltanto
l'abbattimento della proprietà privata, dello stato e delle istituzioni
che lo sostengono, in una prospettiva socialista, creerà le condizioni
necessarie per la loro liberazione. E' necessaria dunque la loro
ricomposizione attorno ad un programma di classe transitorio che
prefiguri l'abbattimento del capitalismo sotto l'egemonia della classe
lavoratrice, soggetto centrale in tale processo.
Tesi 21- LA BATTAGLIA PER CONQUISTARE LA GIOVENTU'
Nei giovani e tra le nuove
avanguardie di tutto il mondo cresce la volontà di porre fine alla
barbarie capitalistica e "costruire un mondo nuovo". Nuovi settori di
proletari e di oppressi abbracciano la causa della rivoluzione,
scavalcando l'ostacolo influente ed ostruente rappresentato dalle
direzioni riformiste. Sta al nostro partito, italiano e mondiale, il
compito di guidare quest'avanguardia determinata e generosa,
indirizzandola verso un programma di lotta che sia radicale, unitario e
anti-sistema
"La morale deve servirci a
elevare la società umana, a liberarci dallo sfruttamento del lavoro.
Questo risultato può raggiungerlo la giovane generazione che ha
cominciato a dare uomini coscienti, in un ambiente di lotta accanita e
disciplinata contro la borghesia (...). Essere comunisti significa
organizzare e raggruppare tutta la nuova generazione, dare esempio di
educazione e di disciplina in questa lotta" (Lenin, I compiti delle associazioni giovanili)
Nel solco degli insegnamenti - e
delle battaglie - di Lenin, di Trotsky e delle giovani generazioni che
hanno dato vita alle più importanti esperienze rivoluzionarie del
Novecento, il nostro partito aspira ad abbattere una volta per sempre
l'attuale sistema economico, col contributo significativo e decisivo
delle nuove avanguardie in lotta in tutto il mondo.
Proprio l'affacciarsi di nuovi
settori di giovani sul terreno del conflitto rivoluzionario lascia ben
sperare sulla possibilità di conquistare un'alternativa radicale e
socialista per questo Pianeta. Le manifestazioni imponenti di dissenso,
susseguitesi in tutti questi anni, di Seattle, Nizza, Praga, Genova,
Firenze (le cui altissime ambizioni e potenzialità sono state tradite
dalle loro direzioni); l'esplosione della lotta in America Latina
(soltanto ad agosto, migliaia di giovani studenti cileni sono scesi in
piazza contro un governo dei più "amati" a sinistra, trovando come sola
risposta cruenti tentativi di intimidazione e centinaia di arresti a
carico di minorenni); la resistenza dei giovani del Medio Oriente e dei
territori occupati dall'imperialismo; lo straordinario esempio di
sciopero ad oltranza degli studenti francesi (i quali hanno preceduto e
condotto milioni di lavoratori in piazza all'inizio del 2006 contro il
Cpe) hanno messo a tacere quanti, soprattutto a sinistra, tanto hanno
fantasticato circa la progressiva e definitiva passivizzazione delle
giovani masse di sfruttati.
La semente per coltivare la
trasformazione rivoluzionaria del presente, per edificare la società
dei giovani e degli oppressi, non si è certo esaurita: sta ai marxisti
rivoluzionari, agli uomini e alle donne impegnati nella fondazione del
partito e nella ricostruzione della Quarta Internazionale, offrire a
chiunque dia un cenno - anche timido - di rivolta la possibilità di
affrancarsi dalle direzioni riformisti-borghesi, da quelle
opportuniste, staliniste o centriste, per unire tutti gli sforzi verso
una battaglia che sia ultima e vincente.
Anche in Italia, assistiamo al
medesimo e combinato disgelo generazionale: non vale solo per gli
studenti (che nel 2005, contro la "riforma" Moratti hanno bloccato
intere facoltà universitarie a La Sapienza di Roma, alla Statale di
Milano, a Bologna, ecc) o per i lavoratori dei più noti poli
industriali (vedi Melfi) che tornano alla ribalta nonostante gli
innumerevoli tentativi di disorientarli e dividerli (tramite
terziarizzazioni-esternalizzazioni, mobbing, ecc); vale tanto
più per quella nuova classe di oppressi che va individuata tra i
precari dei call-center (vedi Atesia, Tim), tra i commessi degli
ipermercati, tra i lavoratori delle cooperative sociali; tra tutti i
nuovi proletari della moderna (ma tanto vecchia) catena di montaggio.
Tra questi, moltissimi giovani laureati, legati a contratti di lavoro
ultraprecari, privi di diritti sindacali minimi e spesso costretti al
lavoro sommerso, che, scottati sulla propria pelle dal fuoco del
Pacchetto Treu (votato e sostenuto dal Prc nella passata esperienza di
governo) e dalla Legge Biagi, con le loro lotte hanno guadagnato non
solo le prime pagine dei giornali, ma soprattutto il consenso di
tantissimi lavoratori di altre categorie - anche al costo di subire
violenze e cariche dalla polizia (vedi presidio Atesia del 9 giugno).
Se a penare sono i giovani
italiani, nati e cresciuti nel "Belpaese", ancora peggiori condizioni
vivono i numerosi giovani immigrati della penisola: discriminati e
sfruttati fino al midollo; utilizzati dalle classi dominanti al
principale scopo di frammentare ed indebolire la classe operaia,
suggestionati di tanto in tanto con le promesse di riforma sulla
concessione dei presunti "diritti di cittadinanza" per gli stranieri
(diritti ovviamente legati alla "certezza del reddito e del lavoro").
Ma in due casi su tre questi "diritti" sono destinati a perire in quei
Centri di Permanenza Temporanea (Cpt, diciotto quelli "ufficiali" in
Italia, destinati ad aumentare ed espandersi) che Rifondazione
Comunista ha votato (Legge Turco-Napolitano) solo qualche anno fa. I
giovani immigrati, lavoratori industriali, precari, studenti in rivolta
contro questa sistema sono l'oro su cui investe il nostro nuovo partito
comunista. L'attuale governo di Romano Prodi, gli esponenti di governo
di Rifondazione Comunista - vero strumento e torchio della borghesia
contro le classi lavoratrici del Paese - non promettono altro che
guerra ai giovani e un futuro per loro crudele e fosco. Contro un
governo che impone "tagli e sacrifici" a danno delle classi
lavoratrici; contro un esecutivo reazionario spalleggiato da tutta la
"sinistra ufficiale" (Ds, Verdi, Comunisti Italiani, Prc e burocrazia
Cgil) e da una parte di quella "radicale" (come è nel caso di alcuni
settori dei centri sociali); contro una coalizione che uccide e spara
le sue cartucce (non metaforiche) nei teatri bellici di Afghanistan e
Medio Oriente e, in generale, contro quel mondo confindustriale,
bancario, sindacale che non può reggersi se non sugli stenti dei
giovani e degli sfruttati, occorre la più vasta, unitaria, potente
azione di lotta che il capitalismo possa prevedere.
La soluzione è l'avanzamento di
una piattaforma di conflitto - continuato e ad oltranza, contro questo
governo, che abbia come suoi punti qualificanti il ritiro di tutte le
deleghe governative; l'abolizione di tutte le leggi precarizzanti il
lavoro; l'assunzione a tempo indeterminato dei precari, con l'aumento
di salario per tutti e l'attribuzione del salario sociale ai
disoccupati; la riduzione a 35 ore dell'orario settimanale di lavoro
(senza contropartite fiscali o di flessibilità); la soppressione di
tutte le leggi razziste sull'immigrazione; la fine delle politiche
proibizioniste sulle droghe; il ritiro delle riforme scolastiche
Berlinguer-De Mauro-Moratti (oggi riprese da Fioroni). E' questo il
programma col quale il partito si candida a licenziare il governo dei
banchieri; è questo lo spirito col quale c'impegniamo a dar voce ai
"primi costruttori tra i milioni di costruttori della società
comunista, quali devono essere senza eccezione i giovani e le giovani"
(Lenin).
Tesi 22 - LA TATTICA SINDACALE
L'articolazione tattica
dell'intervento dei comunisti rivoluzionari nei sindacati deve essere
differenziata e flessibile, proprio perché differenti sono per
radicamento nella classe, per consistenza, per linea sindacale, per
strutturazione organizzativa i diversi sindacati di sinistra. Sulla
base di questi parametri oggettivi affermiamo la centralità ma non
l'unicità dell'intervento dei comunisti nella Cgil, su questi medesimi
criteri deve basarsi l'intervento negli altri sindacati di sinistra
(che in determinati contesti di categoria e locali possono offrire
maggiori opportunità ai fini della costruzione del sindacato di
classe).
La presenza consolidata di un
pluralismo sindacale nel nostro Paese comporta una articolazione
tattica dell'intervento dei comunisti rivoluzionari nei sindacati
differenziata e flessibile, proprio perché differenti sono per
radicamento nella classe, nelle diverse categorie del lavoro salariato,
per consistenza e strutturazione organizzativa, per linea
politico-sindacale i diversi sindacati di sinistra. L'articolazione
tattica deve tener conto anzitutto della forza organizzata dei
comunisti, del grado di inserimento di propri quadri e militanti nelle
strutture sindacali. Proprio per questo è necessario individuare alcune
priorità basate sul reale radicamento delle diverse organizzazioni
sindacali tra i lavoratori, nelle varie categorie, in ambito nazionale
e locale. La Cgil costituisce il maggiore sindacato del Paese, tra i
lavoratori del pubblico impiego e del settore privato, in particolare
nelle categorie industriali. Ne consegue il riconoscimento della
centralità ma non dell'unicità dell'intervento dei comunisti
rivoluzionari in questo sindacato. Per grado di inserimento soprattutto
tra i lavoratori del pubblico impiego segue, per ordine di importanza,
la Cub-Rdb, quindi altri sindacati minori organizzati sul modello cobas.
Il XV Congresso Nazionale della
Cgil, svoltosi all'inizio di marzo 2006 ha visto l'affermazione della
maggioranza concertativa di Patta-Epifani. Le due tesi alternative
presentate da Rinaldini, sostenute anche dalla Rete 28 aprile, non
potevano colmare la mancanza di un documento congressuale alternativo
proprio per la loro compatibilità all'impianto complessivo del
documento di maggioranza.
La Rete 28 aprile, la nuova
sinistra sindacale in Cgil, pur raggruppando i settori più avanzati
della Confederazione sindacale non rappresenta la sua sinistra di
classe. La presentazione il 12 giugno a Roma, nel corso dell'assemblea
nazionale costitutiva dell'area programmatica della Rete 28 aprile, del
documento Ricostruiamo su basi di classe la sinistra sindacale in Cgil ha
avuto l'intento di iniziare, mediante un contributo di analisi, una
proposta programmatica e organizzativa, il processo non semplice ne
lineare di porre le basi per la delimitazione di una sinistra di classe
in Cgil.
A differenza della lotta in
Cgil, dove i militanti comunisti devono combattere contro un enorme
apparato burocratico riformista, contro le politiche e pratiche
concertative, la battaglia per la delimitazione di una sinistra
classista nella Cub-Rdb presenta caratteri diversi. In questa
organizzazione sindacale in linea generale è acquisita la lotta contro
le politiche concertative, così come fanno parte della sua concezione
politico-sindacale le lotte per le rivendicazioni immediate. Si tratta,
pertanto, da un lato di operare perché sia superato un certo modo
autocentrato di azione sindacale marcando nel contempo l'importanza
dell'unità nella lotta dei lavoratori, la loro indipendenza di classe,
nella prospettiva della vertenza generale; dall'altro lato per inserire
nelle piattaforme rivendicazioni di carattere transitorio. Un lavoro
politico non semplice, proprio per il rilievo dato dall'organizzazione
sindacale e dal gruppo dirigente al programma minimo, ma anche per le
modalità organizzative dell'organizzazione sindacale che ostacolano la
formazione di tendenze organizzate sulla base di piattaforme sindacali.
Quindi, la lotta per la democrazia sindacale assume nella Cub-Rdb un
rilievo particolare: non ci facciamo illusioni sul fatto che questa
rivendicazione susciterà l'opposizione della burocrazia sindacale
riformista.
Le organizzazioni sindacali le
cui forme richiamano il "modello Cobas" - Slai Cobas e Confederazione
Cobas - sono radicate in settori lavorativi diversi: mentre lo Slai
Cobas è radicato in alcuni settori di classe operaia industriale e dei
servizi, il Confederazione Cobas è presente prevalentemente tra gli
insegnanti nella scuola. Se è vero che entrambe le organizzazioni
teorizzano il superamento del partito come strumento di direzione
rivoluzionaria della classe, la Confederazione Cobas si situa sul
terreno del movimentismo e in definitiva della pressione sul
centrosinistra, mentre lo Slai Cobas, per concezioni e pratica
politico-sindacale, richiama maggiormente l'anarcosindacalismo. Nello
Slai Cobas, infatti, l'attività politica è subordinata all'attività
sindacale che si esprime nelle rivendicazioni immediate. Si tratta con
tutta evidenza di un settore di classe operaia particolarmente
combattivo e costantemente sottoposto alla repressione padronale. Non
c'è dubbio che tra questi lavoratori è acquisita la necessità di
lottare contro entrambi i poli dell'alternanza borghese.
Il ruolo dei militanti comunisti
nei Cobas dell'industria, come in altri sindacati, è pertanto quello di
coniugare le rivendicazioni immediate alla prospettiva socialista
attraverso il metodo delle rivendicazioni transitorie, di acquisire
l'avanguardia di questi lavoratori alla necessità della direzione
politica del partito e quindi della necessità di subordinare la lotta
sindacale alla più generale lotta politica contro il padronato e il
governo, per la rivoluzione socialista.
La diversificazione della
tattica sindacale nel quadro di un'unica prospettiva strategica è
pertanto finalizzata alla delimitazione, al coordinamento e alla
convergenza della sinistra di classe dei vari sindacati, nella
prospettiva della costruzione del sindacato di classe.
Tesi 23 - LA NOSTRA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA
Il programma, oltre a
definire le tendenze di sviluppo, deve indicare i passaggi con cui si
concretizzano gli obiettivi finali, quindi le rivendicazioni immediate
e transitorie in vista dei quali conduciamo fin d'ora le masse alla
lotta in opposizione al riformismo. Occorre evitare nel contempo la
tendenza all'astrazione settaria, ripetendo parole d'ordine generali
senza alcuna connessione al livello di coscienza del proletariato e,
all'opposto, l'adattamento alla congiuntura politica, allo stato
d'animo delle masse.
La piattaforma rivendicativa, su
cui il partito rivoluzionario conduce la propria opera di propaganda e
agitazione tra il proletariato, è finalizzata alla mobilitazione delle
masse, a elevare il loro livello di coscienza, fino a raggiungere gli
obiettivi rivoluzionari fondamentali: la conquista del potere da parte
della classe operaia e la transizione al socialismo. Proprio perché
finalizzate alla mobilitazione delle masse, le rivendicazioni immediate
e transitorie devono tener conto della struttura materiale e politica
del Paese.
Il Paese è attraversato dalla
crisi economica, aggravata dal serio dissesto del bilancio pubblico. La
crisi si manifesta nel grave arretramento della produzione industriale,
conseguente alla contrazione assoluta delle merci esportate, investe
tutta l'economia del Paese ed accentua gli squilibri interni tra
regioni e aree geografiche. Essa è il prodotto, da un lato di
peculiarità proprie del capitalismo italiano, dall'altro lato dal
contesto di crisi capitalistica mondiale.
Dopo la liquidazione negli anni
Novanta delle grandi aziende a partecipazione statale, spesso acquisite
da grandi aziende straniere, il capitale industriale italiano ha
preferito investire in aree meno esposte alla concorrenza
internazionale. Tra le grandi industrie manifatturiere con un peso
rilevante rimane ormai solo la Fiat. Quest'azienda emerge, assieme ad
altre imprese industriali esportatrici, in un panorama di piccole e
medie imprese, spalmati su ampie aree geografiche con fenomeni di grave
deterioramento ambientale, concentrati su produzioni tradizionali o di
nicchia, fortemente esposte alla concorrenza delle aree emergenti. Alla
crisi le diverse frazioni della borghesia italiana danno risposte
diversificate: sul terreno economico-sociale, istituzionale e
internazionale. La tendenza dominante è data dalla precarizzazione dei
rapporti di lavoro, dalla privatizzazione dei servizi sociali, sanitari
e pensionistici, dalle riforme istituzionali federaliste associate al
rafforzamento degli esecutivi, dal rafforzamento del polo imperialista
europeo. Questa tendenza, in questa fase dominante, cerca ed ottiene la
collaborazione indispensabile della sinistra riformista e dei maggiori
sindacati.
Il secondo governo Prodi nasce
quindi su questo sfondo, con un ambizioso progetto: rilanciare il
capitalismo italiano nel mercato internazionale facendo pagare la crisi
ai lavoratori e alle masse popolari. Le voci del conto le conosciamo
bene: nuove liberalizzazioni e privatizzazioni, nuovo modello
contrattuale e relativo indebolimento del contratto nazionale,
ulteriore innalzamento dell'età pensionabile e scippo del Tfr,
risanamento del debito pubblico a spese dei lavoratori e delle masse
popolari, elargizione di risorse alle imprese (la riduzione del "cuneo
fiscale" per le imprese in cambio di nuove tasse per i lavoratori),
prosecuzione delle politiche di esclusione per gli immigrati,
disoccupazione dilagante nel mezzogiorno, lavoro precario per i
giovani, nuove guerre imperialiste.
In contrapposizione alla
borghesia e ai suoi governi è necessario costruire un fronte unico di
classe che coniugando indipendenza di classe e rivendicazioni immediate
e transitorie pone in discussione gli stessi principi su cui si fonda
il diritto borghese. Di seguito i punti essenziali: la battaglia per la
difesa del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni deve essere
congiunta ad aumenti salariali uguali per tutti, alla rivendicazione
della scala mobile; la lotta contro la disoccupazione e per il lavoro
deve essere inserita nella più vasta battaglia per l'assunzione a tempo
indeterminato dei lavoratori precari, per un salario dignitoso ai
disoccupati, per la riduzione settimanale dell'orario di lavoro a
parità di salario, senza flessibilità e annualizzazione; la lotta
contro i licenziamenti deve essere congiunta alla richiesta di apertura
dei libri contabili delle aziende, alla nazionalizzazione, senza
indennizzo e sotto controllo operaio, delle fabbriche e delle banche;
la lotta per i diritti e le tutele deve coniugare la rivendicazione
dell'eliminazione delle leggi che limitano il diritto di sciopero,
precarizzanti e contro gli immigrati con la difesa e il rilancio delle
pensioni, della scuola e della sanità pubblica; la lotta per il diritto
alla casa deve essere collegata alla drastica riduzione degli affitti,
alla requisizione delle case sfitte, all'esproprio delle grandi
proprietà immobiliari; la lotta per la salute nei luoghi di lavoro,
contro gli infortuni e le malattie professionali, deve essere congiunta
alla più generale difesa delle condizioni di vita collettive contro il
degrado ambientale e le fonti di inquinamento: salvaguardia ambientale
che solo una società socialista può pienamente e realmente garantire.
Non meno importante è l'impegno
sul terreno dei diritti democratici sia in ambito istituzionale che in
relazione all'estensione dei diritti sindacali e alla rappresentanza
nei luoghi di lavoro: la lotta per l'elezione proporzionale nelle Rsu,
senza quote garantite, deve legarsi alla lotta per la costituzione dei
Consigli di fabbrica. La lotta contro le guerre imperialiste deve
essere congiunta alla rivendicazione della chiusura delle basi militari
e alla loro riconversione ad uso civile.
Questi elementi di una
piattaforma rivendicativa devono confluire in una vertenza unificante
dei lavoratori, dei disoccupati e delle masse popolari contro il
padronato e i governi della borghesia, avendo come orizzonte la
costruzione di un governo dei lavoratori, l'unico in grado di attuarla.
Tesi 24 - LA STRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA DEL PARTITO
Per costruire il partito come
esercito di punta dei lavoratori serve un'organizzazione di quadri e
militanti, informata ai principi classici del centralismo-democratico;
un'organizzazione coesa e robusta, educata alla discussione e unita
nell'azione. Solo un partito leninista - avversario del federalismo e
nemico del burocratismo, con istanze elettive, responsabili e
revocabili - può perseguire realmente i bisogni della classe. In
relazione a questi principi, costruiamo i nostri organismi dirigenti e
diamo vita ad una nuova organizzazione marxista-rivoluzionaria.
"Il partito è l'avanguardia
cosciente della classe lavoratrice e la sua forza è dieci o cento volte
maggiore della sua entità numerica. Ma è proprio vero? Il potere di
cento uomini può essere superiore a quello di mille? Sì, quando questi
cento sono organizzati!" (Lenin).
Per costruire il partito come
avanguardia della classe, come direzione cosciente della classe
operaia, dei giovani e dei settori proletarizzati della piccola
borghesia, la sua organizzazione interna deve informarsi ai principi
classici e leninisti del centralismo democratico; deve elevarsi ad un
metodo di costruzione che, partendo dall'alto verso il basso, sappia
raccogliere le migliori energie intorno e dentro al partito per
l'elaborazione e la propagazione di una coerente e forte tattica
rivoluzionaria.
Se "una centralizzazione
assoluta e una rigorosissima disciplina sono condizioni fondamentali
per la vittoria sulla borghesia" (Lenin), è al tempo stesso vero che un
partito marxista-rivoluzionario per assolvere ai suoi compiti storici
non può in alcun modo svilupparsi e crescere sotto logiche burocratiche
e verticistiche; al contrario, una solida direzione può essere frutto
solo di un'organizzazione con istanze elettive, responsabili e
revocabili; un'organizzazione retta sul contatto vivo e reciproco tra
gli iscritti, sui rapporti costanti e paritari tra dirigenti e base.
I militanti tutti del partito,
gli attivisti, i quadri che animano la nostra organizzazione devono
abbracciare imprescindibilmente questo principio: senza unità d'azione,
risultante immediata di una discussione interna che sia ampia e libera;
senza la lealtà politica verso il partito e in spregio alla conformità
verso le scelte generali della maggioranza dei compagni, si creerebbe
un danno alla vita stessa del partito e, più in generale, agli
obiettivi stategici della classe. Parimenti, sarebbe un errore, nonché
un incomprensione di fondo del nostro metodo organizzativo, impostare
l'attività di base del partito come lavoro a sé stante, in
corrispondenza a quei costumi federalistici di costruzione (propri dei
movimenti centristi e-o riformisti) che una volta approntati sarebbero
il principale fomite della burocratizzazione della struttura, dello
scardinamento dei valori generali del partito, della scissione del
nostro impegno e dei nostri sacrifici a servizio della classe.
Se il congresso degli iscritti è
il supremo organo deliberativo del partito - per Lenin, la sede che
"approva delle risoluzioni tattiche per determinare esattamente quale
deve essere l'atteggiamento politico del partito, nel suo insieme, nei
confronti dei nuovi problemi o di fronte ad una nuova situazione
politica" (Due tattiche della socialdemocrazia) - il momento più
importante della vita, dell'esistenza e del dibattito
dell'"intellettuale collettivo", nel quale si definiscono programma e
obiettivi cui devono attenersi gli associati, dall'altro lato le nostre
sezioni locali, spina dorsale del partito leninista, sono la traduzione
organizzata e costante dei suoi ordini e della sua volontà; quella
"parte" essenziale ed indispensabile dell'organigramma interno, in
assenza della quale il "tutto" (il partito) non avrebbe ragion d'essere.
Le sezioni locali sono uno dei
principali "biglietti da visita" dell'organizzazione: è anche grazie al
loro lavoro che il partito guadagna consensi e simpatie, riuscendo a
strappare alle direzioni riformiste e borghesi quei soldati
indispensabili per la rivoluzione noti come giovani e lavoratori. Le
sezioni locali cresceranno tanto più quando rispetteranno e
rafforzeranno le decisioni del congresso, diffondendo con la massima
pubblicità esterna i suoi "aspetti pubblici"; quando daranno regolarità
e disciplina durevole all'impegno degli iscritti, valorizzando senza
discriminazioni le loro doti e il loro entusiasmo; quando educheranno
gli stessi al centralismo democratico e alla selezione delle priorità
politiche - contro i vezzi dei "circoli di dibattito"; quando ancora
combatteranno qualsivoglia forma di settarismo, opportunismo, sessismo
o razzismo manifestantisi - anche in forme latenti - nel suo seno; e se
si rapporteranno continuamente ai principali organismi di elaborazione
politica e di indirizzo del partito, eletti tra un congresso e l'altro,
che sono il Consiglio Nazionale (Cn) e il Comitato Centrale (Cc).
Il Consiglio Nazionale, per
primo, è il collegamento tra l'esecutivo del partito e le indicazioni,
le volontà, le eventuali difficoltà delle sezioni locali. Queste
ultime, nella migliore tradizione bolscevica, non esercitano sui propri
iscritti, membri del Cn, alcun vincolo di mandato; questo in nome del
principio d'autonomia della direzione e in luogo delle logiche
federalistiche di cui sopra. I dirigenti del Cn, oltre a verificare il
lavoro svolto dal Comitato Centrale e a controllare l'effettiva
adesione del partito alle risoluzioni congressuali, contribuiscono alla
definizione della linea politica, sindacale, teorica ed organizzativa
poi applicata dai dipartimenti esecutivi del Cc.
Il Comitato Centrale, a sua
volta, è l'organismo politico-esecutivo, chiamato a sovraintendere a
qualsiasi attività del partito. Le sue braccia esecutive sono i
dipartimenti, dalle cui deliberazioni - vagliate e verificate dal Cc -
dipende l'azione quotidiana del partito.
La compattezza del partito, la
sua disciplina interna, il reale rispetto delle opinioni di tutti gli
iscritti sono garantite da questo organismo collegiale e democratico
che ha come primo dovere quello di forgiare un'organizzazione di
quadri, capaci alfine di influenzare e dirigere le masse verso
l'abbattimento dell'attuale sistema economico.
Tesi 25 - I NOSTRI MEZZI DI COMUNICAZIONE
Un partito comunista deve
avere necessariamente una stampa all'altezza dei compiti della fase
politica che stiamo attraversando. La nostra stampa (con il giornale
nazionale, i giornali locali, i quaderni di formazione politica) e il
nostro sito possono diventare il reale "organizzatore collettivo" del
partito.
Dalla nascita di Pc - Rol, il nostro giornale, Progetto Comunista,
ha compiuto molti passi in avanti, sia per ciò che concerne la qualità
della grafica e dei contenuti degli articoli, sia per l'aumento delle
copie che sono diffuse. I tempi di uscita si sono notevolmente ridotti
(infatti si è passati da un'uscita trimestrale a una quasi mensile),
facendo del nostro giornale un mezzo di stampa molto apprezzato. La
redazione si è data un'organizzazione più stabile, arricchendosi anche
della collaborazione di compagni esterni a essa che scrivono con
continuità.
Il lavoro di impaginazione e di
grafica è stato fortemente potenziato e ormai raggiunge una qualità
spesso paragonabile a quella di molti quotidiani borghesi, nonostante
la evidente discrepanza di risorse economiche a disposizione. Ne è
stata migliorata la gestione con un'organizzazione redazionale molto
snella e vivace nella discussione interna.
Le nuove rubriche introdotte
dalla redazione, il restringimento dei tempi di uscita, l'ampliamento
della diffusione, sono anche la testimonianza della giusta direzione di
marcia impressa dalla direzione e dalla redazione del nostro più
importante organo di stampa.
In pochi mesi, attraverso la
pubblicità sul nostro sito internet, che abbiamo migliorato negli
ultimi mesi e la cui funzione in tal senso ha aumentato di molto le
nostre potenzialità informative, ha fatto sì che, con le nostre
iniziative politiche sul territorio e la diffusione larga, si sia avuto
un forte incremento di nuovi abbonati, di richieste di copia che
rendono ancora più chiara la forte attenzione che vi è nei confronti
delle nostre idee e del partito che stiamo costruendo con forte tenacia.
Dalla scissione da Rifondazione
comunista a oggi, la rete dei diffusori si è fortemente ampliata. La
nostra stampa viene diffusa in quasi tutte le province italiane,
raggiungendo località che in precedenza erano scoperte, così come è
aumentato il numero delle copie che i diffusori distribuiscono davanti
ai luoghi di lavoro, di studio, alle manifestazioni, alle iniziative
pubbliche della nostra organizzazione e delle altre alle quali
partecipiamo.
Ovviamente va migliorato il
tutto, col perfezionamento di alcuni meccanismi. La costruzione del
partito rende più ambiziosi gli obiettivi del nostro lavoro di
propaganda e prepara il terreno per un nuovo piano di diffusione
capillare sul territorio della nostra stampa. Sarà ampliata la rete dei
diffusori, puntando a coprire tutte le province e ad aumentare il
numero dei diffusori nella stessa provincia, partendo dai nuovi
contatti e dalle nuove sezioni che si stanno costituendo; così come
sarà potenziata l'offerta per gli abbonati, la presenza del giornale
nelle librerie, nelle biblioteche, nei centri di documentazione
politica, ecc.
Ma la nostra stampa non si limita alla produzione del giornale. Procede la pubblicazione dei Quaderni di Progetto comunista,
legata alla nostra attività formativa; stiamo organizzando anche la
pubblicazioni di materiale librario. Importante sarà anche la stampa e
la diffusione di fogli delle nostre sezioni locali, materiale di
propaganda sulle tematiche più strettamente locali.
La nostra stampa deve fungere da
"organizzatore collettivo": un giornale politico che, per dirla con
Lenin, "deve essere il filo conduttore: seguendolo, potremo continuare
a sviluppare, approfondire ed estendere l'organizzazione (cioè
l'organizzazione rivoluzionaria, sempre pronta a sostenere ogni
protesta e ogni esplosione)".
Quindi il giornale deve porsi
l'obiettivo di essere fino in fondo propagandista, agitatore collettivo
e soprattutto organizzatore collettivo. La nostra stampa, proprio in
quest'ottica, deve sviluppare un forte legame tra le sezioni locali del
nostro partito come base per un lavoro di costruzione comune contro i
rischi di "chiusura" nella propria realtà di base.
Conoscere e far conoscere la
linea nazionale del partito, le situazioni di lotta, il nostro
intervento di massa, il nostro lavoro formativo è fondamentale per
accrescere la necessaria esperienza rivoluzionaria dei nostri compagni,
per acquisire nuovi militanti e per accrescere la sfera dei
simpatizzanti.
Il giornale, senza dubbio il
nostro maggiore mezzo di propaganda esterna, va inteso proprio in
quest'ottica, non solo come mezzo di informazione per i nostri compagni
(per questo ci sono i bollettini interni), ma come vero soggetto
propulsore della nostra capacità organizzativa e propagandistica
collettiva.
Il potenziamento della
diffusione fa sì che ci sia un conseguente sviluppo della conoscenza
delle idee e della piattaforma programmatica del nostro nuovo partito
che si pone l'obiettivo concreto di coprire quello spazio a sinistra
ricoperto abusivamente e poi lasciato libero dal Partito della
Rifondazione comunista e dalla sinistra cosiddetta radicale dopo
l'entrata al governo.
Nella prossima fase, il nostro
giornale, il nostro sito (che è di fatto un giornale quotidiano con
centinaia di "accessi" giornalieri) e la nostra newsletter di posta
elettronica devono diventare ancora più, per dirla con Lenin, "il
nutrimento intellettuale" per tutti i militanti del nostro partito e
per coloro ai quali viene diffuso. Quella che stiamo perfezionando è
sicuramente una delle tante impalcature del cantiere
politico-organizzativo del partito che stiamo edificando con il massimo
dell'efficacia e della tenacia: sicuramente una delle più importanti.
Il lavoro dei prossimi mesi, sia
di chi si occupa della redazione che di chi si occupa della diffusione
del nostro giornale, andrà in direzione ancor più di una crescita
qualitativa degli articoli e quantitativa del numero delle copie
diffuse, correggendone eventuali errori o deficienze e puntando al
miglioramento della sua resa propagandistica.
"Il nostro giornale, il nostro
organizzatore collettivo, il nostro maggiore mezzo d'informazione
propagandistica, un giornale simile sarà una piccola parte di un
gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di
classe e dell'indignazione popolare per farne divampare un immenso
incendio" (Lenin, Che fare?).
Tesi 26 - COME ORGANIZZARE LA PROPAGANDA
Nella situazione attuale una
buona propaganda organizzata centralmente e localmente è un punto
centrale dell'azione politica del nostro partito. L'utilizzo di tutti
gli spazi propagandistici - dalla stampa borghese, ai siti internet,
dalla nostra newsletter, ai forum di discussione, dai blog alle
emittenti radio televisive locali e nazionali, dai banchetti ai
volantinaggi - è una condizione importante anche per lo sviluppo della
nostra costruzione quotidiana.
La base di partenza per far
conoscere il nostro nuovo partito e la sua azione politica sarà la
propaganda organizzata nazionalmente e localmente. Una buona propaganda
è un buon lasciapassare per lo sviluppo della nostra influenza di
massa. Attraverso l'esperienza pratica delle masse sfruttate lavoreremo
per sconfiggere la separazione, creata ad arte dai partiti e dalle
organizzazioni della sinistra governista e riformista, tra presente e
futuro, ossia tra l'azione politica quotidiana e la lotta per una
società socialista.
Per questo è giusto elaborare
una strategia propagandistica di attacco che unisca presente a futuro
attraverso obiettivi anticapitalistici di rivendicazione transitori
uniti alla prospettiva futura di un sistema sociale senza sfruttati e
sfruttatori, ma socialista.
La propaganda del nostro partito
contro il governo Prodi, contro la corresponsabilità dei partiti della
cosiddetta sinistra radicale, contro le spedizioni militari
imperialiste, contro gli attacchi alle condizioni materiali dei
lavoratori, contro l'immiserimento della piccola borghesia, contro la
segregazione degli immigrati, saranno alla base della nostra strategia
per lo sviluppo di una coscienza anticapitalista e rivoluzionaria.
Il dato importante è che
migliaia di simpatizzanti ed elettori di sinistra che, in buona fede,
dopo la sconfitta di Berlusconi credevano nel governo Prodi, quale
alternativa sociale a quello precedente, accusano il colpo della
disillusione e cercano una nuova sponda politica che dia loro certezze
e prospettive. Il nostro intervento deve essere rivolto a conquistarne
le avanguardie, nella prospettiva di guadagnare un'influenza di massa.
Inizialmente, il nostro partito
sarà necessariamente minoritario, per questo prediligeremo, nella fase
iniziale, un intervento propagandistico che renda riconoscibile e
stimato il nostro partito nelle varie mobilitazioni sociali che si
susseguiranno nei prossimi mesi. Solo così ci sarà una progressiva
adesione al nostro programma politico, concretizzabile nel progressivo
aumento delle adesioni militanti e simpatizzanti alla nostra
organizzazione.
Un principio fondamentale da
elevare ad azione propagandistica sarà, tra gli altri, la confutazione
della logica del "meno peggio", che crea illusorie speranze in vasta
parte del popolo della sinistra circa la possibilità di riformare il
sistema capitalistico. Il nostro partito dimostrerà che la borghesia
non assicura il meno peggio ma solo il peggio e che solo un'alternativa
comunista e rivoluzionaria può creare il meglio per la classe
lavoratrice, per gli immigrati, per gli studenti, per i precari: una
vera alternativa di sistema e di potere.
Rifondazione comunista e le
altre forze politiche della sinistra cosiddetta radicale hanno
alimentato negli anni questa idea del meno peggio e della riformabilità
del sistema, costruendo la veste ideologica della loro
corresponsabilità in un governo di guerra e di "lacrime e sangue". La
nostra propaganda deve servire dunque ed in primo luogo a spiegare la
necessità di un'opposizione intransigente e senza sconti al governo
Prodi e ai governi locali, tanto di destra che di centrosinistra, quale
punto di partenza per aggregare, attorno al nostro partito,
un'avanguardia cosciente con influenza di massa, alternativa reale e
necessaria ai partiti che rappresentano gli interessi della borghesia.
Nel momento di massimo sviluppo dei movimenti di lotta, il nostro
partito dovrà raccogliere e organizzare le nuove energie che si
libereranno, sviluppandone la radicalizzazione e spingendo
all'espulsione delle forze riformiste che rallentano o bloccano tale
avanzata, dimostrando che anche semplici parole d'ordine che vanno in
direzione di obiettivi parziali vengono rifiutate ed osteggiate dai
governi.
A maggior ragione, con il
passaggio da frazione interna del Partito della Rifondazione comunista
a partito comunista indipendente che ci ha permesso di conquistare
alcuni dei migliori quadri del partito di Bertinotti, si pone la
necessità di far conoscere ancor più il nostro programma alternativo
attraverso uno sforzo massimo di esposizione propagandistica. Di qui la
strada per costruire ovunque piattaforme di lotta attorno a vertenze
anche locali che riguardano chiusure di fabbriche, licenziamenti,
delocalizzazioni produttive, precarizzazione del lavoro, tagli alla
spesa sociale, privatizzazioni ed altri attacchi alla condizione
materiale delle classi meno abbienti. Occorre, entrare nei comitati di
lotta dei lavoratori già esistenti e crearne là dove non esistono;
creare uno spazio di intervento a sostegno degli immigrati e contro la
legislazione razzista dei governi nazionali; organizzare presidi contro
la guerra imperialista per propagandare le nostre posizioni a riguardo;
preparare iniziative pubbliche per far conoscere il nostro partito sia
dove siamo presenti e, a miglior ragione, dove non lo siamo o lo siamo
in minima parte.
Ogni sezione locale, nell'ambito
della sua attività politica, deve calendarizzare il suo intervento
esterno con banchetti, gazebo davanti alle fabbriche, feste di partito,
volantinaggi, dibattiti pubblici, sit-in e presidi di protesta contro
l'azione del governo, fronti unici con altre organizzazioni di sinistra
antagonista e propaganda antifascista. Così, vanno utilizzati tutti gli
spazi di intervento sulla stampa borghese, nazionale e locale, su gli
altri mezzi di comunicazione, quali siti internet, blog, forum di
discussione, emittenti televisive e radiofoniche, per far conoscere le
nostre posizioni attraverso comunicati stampa ed articoli su singole
questioni politiche.
La nostra propaganda di denuncia
degli interessi della borghesia e di sviluppo del nostro partito
comunista di opposizione si svilupperà anche sul piano elettorale, ove
ci presenteremo come unica alternativa alle forze politiche della
borghesia, con un programma anticapitalisti: gli eventuali eletti
utilizzeranno le istituzioni rappresentative borghesi esclusivamente
quali tribune per denunciare i crimini della classe dominante, le sue
guerre, i suoi attacchi alle condizioni dei lavoratori, senza alcuna
illusione di poter condizionare i governi e i loro parlamenti, nei
confronti dei quali non sarà risparmiata la più dura opposizione.
Lo spazio a sinistra creatosi
con l'entrata al governo dei partiti sedicenti comunisti e della
sinistra radicale ci dà la possibilità concreta di fare del nostro
partito il cuore dell'opposizione comunista in Italia ai governi
liberali e di fronte popolare. Le forze giovani e piene di energia che
si stanno liberando attorno al nostro progetto ci danno la misura delle
possibilità concrete di far crescere e decollare il nostro nuovo
partito comunista, l'unica vera novità della scena politica italiana
degli ultimi anni.
Tesi 27 - L'AUTOFINANZIAMENTO DEL PARTITO
Il nostro partito ha una base
organizzativa chiara e cosciente, basata su diritti e doveri
democratici per i suoi militanti. Uno di questi è senza dubbio il
dovere militante di contribuire all'autofinanziamento del partito.
All'autofinanziamento basato sul pagamento regolare di quote fisse si
devono aggiungere necessariamente mezzi di finanziamento esterni
(feste, lotterie, gadget, opuscoli), che tuttavia non possono
sostituire la centralità del primo. L'impegno nel finanziamento del
partito è una condizione importante per l'adesione militante al partito.
La nostra organizzazione, sia
nella fase precedente alla scissione dal Prc, sia e a maggior ragione
adesso, quale organizzazione partitica indipendente, ha sempre avuto e
continua ad avere un meccanismo di autofinanziamento interno. La scelta
di costruire un partito di militanti con influenza di massa è una
scelta politica che ci distingue da altre organizzazioni settarie e
verticistiche, il cui rapporto privilegiato con la direzione crea
situazioni di profonda differenziazione organizzativa, alla stregua di
un federalismo strutturale. Il nostro impegno va invece verso una
direttrice alternativa, ossia in direzione del raggiungimento
dell'obiettivo ambizioso e del tutto innovativo nel panorama politico
italiano, di costruzione di un partito comunista i cui militanti
abbiamo realmente, e non solo sulla carta, eguali diritti e eguali
doveri.
Intendiamo costruire
un'organizzazione che sappia conciliare centralismo democratico,
massima chiarezza nei principi, unità d'azione con un impegno cosciente
di tutti i militanti nell'autofinanziamento. Va seguito il percorso
tracciato nella costituente, un percorso che prevede il versamento
mensile di quote nazionali percentuali alle entrate economiche del
singolo militante, oltre al contributo per il tesseramento.
D'altronde, le tante iniziative
nazionali, dalle assemblee ai seminari, passando per necessari
investimenti in infrastrutture per la nostra sede centrale di Roma,
sono stati finanziati dai contributi che i compagni versano
centralmente nella cassa dell'organizzazione. I rimborsi per le
riunioni nazionali, quelli per i disoccupati e per gli studenti per i
seminari, le spese per il materiale nazionale di propaganda, sono
esattamente il frutto di un impegno economico militante dei nostri
iscritti. La militanza è anche la consapevolezza che tanti muratori,
per dirla con Marx, con lo stesso impegno e con la stessa coscienza,
possono edificare il nuovo partito. Tra l'altro, l'autofinanziamento è
sempre stato un aspetto centrale dell'impegno politico e militante
nelle organizzazioni rivoluzionarie.
Il meccanismo che è già vigente
nella nostra organizzazione, sin dall'avvio della fase costituente del
partito, è un criterio cardine della militanza nello stesso e serve per
affrontare adeguatamente i compiti politico-organizzativi che ci siamo
dati. Per questo, è necessario che ogni sezione locale, ogni struttura
provinciale e regionale, si doti, nell'ambito dell'organizzazione
interna, di responsabili del tesseramento e dell'autofinanziamento che
interloquiscano con i responsabili nazionali del settore. Eventuali
eletti del nostro partito nelle istituzioni rappresentative nazionali
verseranno interamente la loro indennità di carica nelle casse del
partito nazionale, salvo trattenere l'equivalente di un salario da
operaio.
Un meccanismo di
autofinanziamento interno non deve naturalmente escluderne uno esterno.
A tal riguardo le sezioni locali debbono lavorare su questo fronte, sia
per aumentare la capacità di interlocuzione con le masse, sia per
temprare le proprie capacità organizzative, sia per sviluppare le
proprie capacità economiche. In questa ottica è importante
l'organizzazione di feste locali di partito, che possano conciliare la
necessità di sviluppare la nostra propensione all'influenza di massa e
nello stesso tempo autofinanziare le nostre strutture periferiche. Le
feste di partito sono una buona base di lancio propagandistico e in
molti casi un buon mezzo di autofinanziamento esterno. L'esperienza
insegna che feste di partito organizzate bene possono diventare non
solo una buona fonte per entrate economiche, ma anche offrire un buon
ritorno politico anche dal punto di vista dell'acquisizione di nuovi
contatti e di nuovi rapporti sociali. Le feste di partito possono
essere sia di natura cittadina, sia di natura provinciale o regionale.
Localmente è possibile creare
altre forme di finanziamento esterno che possono spaziare dalle
lotterie, alla vendita di libri usati scolastici a metà prezzo durante
il periodo di apertura delle scuole, alla vendita di libri politici
usati, alla vendita di opuscoli e pubblicazioni nazionali e locali,
alla vendita di gadget, come magliette, spillette, agende e
calendari politici prima dell'inizio di ogni anno solare, alle
sottoscrizioni simpatizzanti.
Così, sono buona fonte di
entrate le campagne di autofinanziamento collegate a temi politici
specifici, le cene sociali, l'organizzazione di eventi musicali
giovanili. Una buona capacità organizzativa nello sviluppo del
finanziamento esterno permette sicuramente di compiere un salto di
qualità necessario per la crescita delle nostre strutture locali e
nazionali, sia dal punto di vista del reperimento dei fondi
indispensabili per l'attività politica, sia per far conoscere il nostro
partito e il suo programma.
TESI 28 - LA FORMAZIONE DEI MILITANTI
Con la nascita del nuovo
partito, la formazione teorico-politica dei militanti e dei quadri
assume un ruolo centrale per il suo sviluppo. Tanto più oggi, è
necessario accrescere e potenziare una scuola d'educazione politica il
cui portato essenziale non può essere il riflesso di un esercizio di
acculturazione libresca sui temi del marxismo rivoluzionario, ma la
formazione di quadri e di militanti che fin da oggi si pongono sul
terreno della costruzione del partito rivoluzionario.
"Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario": così scriveva Lenin nel Che fare?,
riferendosi non solo alla necessità della lotta di frazione contro il
riformismo, ma anzitutto alla necessità della formazione teorica e
politica dei militanti impegnati sul terreno della lotta di classe. La
centralità della formazione politica per un partito d'avanguardia non
è, dunque, un riflesso ideologico e scolastico, la ricerca chimica di
codici teorici, ma essa si misura anzitutto nella necessità di
costruire e sviluppare quel patrimonio politico che nell'esperienza
pratica diviene un'imprescindibile "cassetta degli attrezzi".
Un partito d'avanguardia, per
dirla con Gramsci, lungi dall'essere un'ideologia politica è,
viceversa, un organismo di volontà collettiva che si afferma nella
prassi e si pone l'obiettivo di sconvolgere i rapporti intellettuali e
morali: la sua funzione in questo senso è "educativa ed intellettuale".
Una funzione intellettuale, ma al contempo organica e collettiva,
costruita nel vivo della lotta di classe e nella formazione teorica,
che fa divenire la funzione di ogni militante "direttiva e
organizzativa".
Senza la formazione teorica e
politica non è possibile la costruzione di un partito rivoluzionario:
un partito che sappia sviluppare un'analisi marxista dei rapporti di
classe; portare un progetto complessivo di trasformazione sociale;
avere un rapporto con l'esperienza storica. Un partito, così come è
stato quello bolscevico, che dalla formazione teorica e politica dei
propri militanti diviene un'avanguardia selezionata e cosciente del
movimento operaio che assume la prospettiva di guadagnare alla
rivoluzione socialista la maggioranza dei lavoratori.
Un progetto ambizioso, difficile, ma assolutamente irrinunciabile.
Questa condizione non può
rappresentare un ostacolo, ma viceversa, costituisce il motivo
essenziale per rimuovere gli impedimenti e le difficoltà che
emergeranno. In questa direzione, da subito, abbiamo dato prova della
nostra volontà: nonostante una doppia scissione dalla corrente Ferrando
e successivamente dal Prc, abbiamo creato un nuovo sito e una pagina
web che in questi mesi hanno registrato migliaia di contatti; al
contempo abbiamo realizzato il nostro organo di stampa, Progetto Comunista, che a breve avrà una cadenza stabilmente mensile, in cui è stata inserita una sezione specifica sulla teoria marxista.
E' bene ricordare che il nostro
lavoro di formazione è stato ben sperimentato in passato da una serie
di compagni, che oggi danno vita al nuovo partito, sia
nell'associazione Proposta, sia nella Amr Progetto Comunista,
realizzando quaderni e opuscoli finalizzati alla divulgazione dei
principali temi del marxismo rivoluzionario; sia realizzando seminari
nazionali e locali che hanno rappresentato un'esperienza di elevato
approfondimento teorico, ma al contempo hanno segnato un metodo
essenziale per l'organizzazione della formazione. Questi presupposti
devono essere generalizzati, poiché costituiscono il terreno di
preziose esperienze pratiche già verificate.
Un'eredità storica che
costituisce un tassello centrale del nostro progetto, tanto più oggi
che siamo impegnati alla costruzione di un vero partito comunista in
Italia. Un primo momento significativo in questa direzione è stato
caratterizzato dal Seminario nazionale che si è tenuto a Bellaria dal
21 al 23 luglio del 2006. Un'esperienza preziosa e ben riuscita, sia
per i temi trattati ma soprattutto per il dibattito che si è animato
tra i partecipanti, espresso con domande specifiche ai relatori e con
approfondimenti sui temi affrontati.
Un'esperienza, che, tanto più,
dopo la scissione dal Prc ha assunto un significato politico
importante; ma al contempo ha evidenziato la necessità di un ulteriore
sviluppo in avanti dell'organizzazione seminariale: accostare alle
lezioni dei relatori gruppi di studio quali strumento di
approfondimento e verifica collettiva dell'assimilazione dei temi
trattati. Una metodica, quest'ultima, da generalizzare nella attività
di formazione a livello locale e che costituisce un prezioso strumento
per la costituzione di un organismo collettivo su scala nazionale che
si occupi stabilmente dell'organizzazione della formazione, che, fin
d'ora, stiamo parzialmente sperimentando, coinvolgendo compagni del Cn
della nostra organizzazione, nella formulazione degli articoli teorici
sul giornale.
In questa direzione nei prossimi
mesi sarà essenziale un lavoro ricognitivo di tutte le esperienze
seminariali svolte a livello locale al fine di costruire una mappatura
delle iniziative già collaudate. E' fondamentale costruire la memoria
dell'attività realizzate per impedire che le stesse rimangono fatti
episodici; ma al contempo è necessario un coordinamento e una selezione
di queste esperienze per socializzarle su scala nazionale con
l'obiettivo di costruire una vera scuola quadri, quale sede permanente
della formazione.
In questo senso, la presentazione dei quaderni Il marxismo rivoluzionario e la questione sindacale e Antonio Gramsci, i comunisti e la rivoluzione
rappresenta indubbiamente un importante risultato. In questa direzione
abbiamo intenzione di intensificare la nostra attività, realizzando
altri quaderni su precedenti seminari nazionali, riproducendo alcuni
classici del marxismo con nostre introduzioni e approfondimenti,
selezionando testi dei fondamenti teorici da pubblicare sul sito web.
Un'attività in itinere che in questi mesi è riuscita a realizzare una
piccola dotazione di libri (custodita nella sede nazionale che abbiamo
aperto a Roma), che costituisce un'attività di finanziamento e al
contempo un importante strumento di divulgazione politica. Risultati
ancora modesti rispetto alla prospettiva che ci siamo dati, ma che
indicano la rotta per la costruzione del partito rivoluzionario.